venerdì 28 novembre 2014

Lettera di Lilia a Colomba Di Pasquale

in occasione della presentazione recanatese
 
Alla carissima amica Colomba!
I miei interventi, di solito, non li scrivo, preferisco andare a “braccio”, ovvero cerco di capire guardando chi mi sta davanti quali parole e toni usare, ma questa volta ho voluto scrivere quello che mente e cuore volevano condividere con voi perché penso, anzi sono sicura, di trovarmi di fronte a persone che con me condividono una profonda amicizia per Colomba.
Non sono una persona che lascia trasparire molto le emozioni e sono profondamente rammaricata per non essere riuscita a mostrarti il profondo turbamento che ho provato nel leggere la poesia che conclude Il mio Delta, sono rimasta senza parole e mi fa ancora male quando ricordo il tuo viso un po’ stupito e deluso sicuramente ti aspettavi almeno un grazie: oggi desidero, anzi voglio, dirti grazie davanti a tutti, dalla tua poesia traspare un profondo sentimento di amicizia, quasi di gratitudine per esserci stata, ma anche di preoccupazione e di profonda paura di avermi persa.
Ecco ora cerco di recuperare, mi è più facile perché ho metabolizzato il profondo sentimento di gratitudine provato nei tuoi confronti.
Colomba, ci conosciamo da pochi anni, ma hai capito subito che sono una persona semplice, non mi piacciono i giri di parole e per questo ci siamo capite subito. Ho apprezzato il lavoro che hai svolto a scuola, per te non ci sono gli studenti, ma i ragazzi con i loro vissuti e per questo hai raccolto tanto.
Poche volte ho visto in altri insegnanti l’entusiasmo che hai profuso nei tanti progetti che hai sviluppato, ti sei spesa oltre misura per aiutare chi aveva bisogno, sei andata oltre l’impegno chiesto ad un docente, sei stata vicina a chi aveva bisogno di sentirsi accettata, l’hai sostenuta e fatta sentire parte della scuola, grazie anche per lei.
Lo stesso Comitato di valutazione chiamato a valutare il passaggio di ruolo ha riconosciuto le tue doti, alcuni passaggi del verbale:


“La docente ha mostrato nei confronti degli studenti disponibilità e attenzione alle problematiche di apprendimento, riuscendo a coinvolgere anche i più deboli.
Giudica molto positivo il lavoro svolto e l’impegno profuso nei molti progetti attivati nelle classi che hanno avuto esiti molto positivi.
Tenuto conto delle qualità intellettuali, la preparazione culturale e professionale, la diligenza nel comportamento, l’efficacia dell’azione educativa e didattica, la collaborazione con gli altri docenti, con il personale ATA, con gli Organi Collegiali della scuola.
Considerati i buoni rapporti instaurati con studenti e loro famiglie.”

Certamente anche a me manca il rapporto quotidiano con te, in particolare, la mattina, come dici nella poesia, soprattutto mi mancano le chiacchierate che si facevano al termine delle lezioni quando andavamo a casa, quel breve percorso che, in solitudine, si può percorrere in pochissimi minuti, diventava un “lungo percorso” i tempi dilatati non erano mai “patiti”, ma risultavano piacevoli. Quello che mi è sempre piaciuto è l’entusiasmo che metti in tutto quello che fai e il desiderio di condividere i momenti belli che vivi, testimoniati dai numerosi messaggi con le bellissime foto allegate che mandi, tanto che chi li riceve ha la sensazione di essere li con te. 

Chi mi conosce sa che sono sempre molto diretta e poco incline ai lunghi discorsi, pertanto concludo queste mie poche riflessioni con un grazie per avermi fatto capire che il mio modo di essere è stato apprezzato, e, come quando eri sorpresa per i miei comportamenti, ancora una volta ti confermo che sono così, prima di essere una preside sono una persona che crede in quello che fa, a volte sbaglia, ma sempre in buona fede e poiché il “punto” è molto vicino a casa mia, quando hai voglia di fare due chiacchiere, devia e suona il campanello!

Grazie e rimani sempre così.
Lilia

E' cino, la gran bòta, la s-ciuptèda di Miro Gori a Cesena 4 dic

Giovedì 4 dicembre 2014 alle ore 20.30 
 
All'interno del  Torrione del Nuti in Cesena
 
(v. locandina qui sotto)
 
 
presenta il suo nuovo volume di poesie
 
 
introducono
 


 
ingresso libero
 
 

mercoledì 26 novembre 2014

Il mio primo Natale

di Vincenzo DAlessio

Caro Alessandro sono questi i giorni nei quali si respira l’aria del Natale che sta per arrivare. Sai, noi uomini festeggiamo questo giorno per ricordare la nascita di Gesù ma anche perché nel nostro animo c’è una lu
ce antichissima che viene tramandata, contro ogni nostra volontà, nel sangue che ci permette di vivere. Calore che viene dalla luce che non vorremmo finisse nel buio della scomparsa definitiva dalla scena terrena, dai nostri affetti, dai nostri amici sinceri, proprio come te.

Ti scrivo per questo: per rinnovare il calore che ci accomuna nel vivere quotidiano, anche a distanza, che ci permette di vincere la solitudine, la tristezza che ci coglie di sera quando il buio rinnova il suo patto con la finitezza dell’esistenza e ce lo ricorda. Il Natale è per noi e per tanti come noi il momento magico nel quale i ricordi riaffiorano e siedono a tavola, imbandita per il cenone, riportandoci i volti degli affetti persi, dei viaggi superati, delle musiche serene piene di vita.

La nascita dell’amore nell’uomo per l’universo, per l’infinito e durevole gesto dell’attesa di una nuova vita è quasi una staffetta continua per non lasciarci acchiappare dalla Morte. Il ricordo che tante volte ho raccontato ai ragazzi a scuola è legato al Natale dell’anno 1956 e alla grande nevicata che seguì a febbraio. Abitavo allora in una piccola abitazione nel rione della Misericordia, due stanzette: la cucina che fungeva anche da sala da pranzo e la stanza da letto dei miei genitori e sorelle. Come unico maschio dormivo da solo in cucina, in una piccola branda accanto alla stufa di ghisa alimentata a legna. La porta d’ingresso era di legno e dava su di un balcone pianerottolo dove c’era la scala che portava al piano terra rappresentato da alcuni vani adibiti a depositi. Un portone più grande dava sul vicolo a poca distanza dalla chiesa.

Il rione, dove ero nato pochi anni prima, aveva preso quel nome proprio dalla chiesa eretta nel 1673 dalla nobile famiglia Vigilante per ringraziare Maria SS. di avere risparmiato quei superstiti dalla peste del 1656: infatti il rione era stato il più colpito da quella terribile epidemia. La porta d’ingresso alla cucina di casa era in legno con la parte superiore in vetro, le notti d’inverno il vento la faceva traballare ed io, che dormivo proprio di fronte , immaginavo chissà quali demoni potessero spiarmi: per questo dormivo quasi sempre con la testa sotto le coperte.

Il Natale arrivò con la novena suonata dagli zampognari: misteriosi uomini vestiti di un caldo mantello con una cornamusa realizzata con una pelle quasi verdognola: seppi in seguito da mia madre si trattasse di una pelle di lupo. Venivano da Campobasso, dormivano presso una famiglia del rione e si accontentavano di qualche spicciolo o del poco cibo che le famiglie offrivano loro a fine novena. La vigilia di Natale faceva un gran freddo, mia madre era andata alla fontana pubblica a prendere l’acqua che doveva bastare per l’intera giornata. Era tornata intirizzita e con il naso rosso. A mezzogiorno aspettavamo mio padre che tornasse dal lavoro. La cena di Natale la passavamo dai nonni materni che abitavano a poca distanza: da loro c’era un calore più forte a causa del focolare, c’era il baccalà fritto, le caldarroste, il pane fatto in casa da mia nonna e per gli adulti il capitone. Per noi più piccoli i pop corn e qualche dolcetto portato dagli zii e da mio padre.

Verso le undici di quel mattino di vigilia mia madre preparò la pentola grande di alluminio sul fornello a gas con acqua, pane duro dei giorni precedenti, un filo d’olio e una foglia di lauro: il pane cotto! Questo era il pranzo della vigilia. Appena cotto il profumo del pane si spandeva nella cucina, mia madre con il mestolo prelevava dalla grande pentola fumante una parte del contenuto e la versava in un recipiente di alluminio più piccolo munito di solido coperchio. Lo legava in un panno pulito da cucina e me lo affidava: “ – scendi piano le scale, bussa alla porta accanto al nostro portone, entra e porta questo alle sorelle Nicolina e Caterina, lascia lì tutto e torna subito a casa!”

Vivevano accanto alla nostra abitazione due sorelle nubili, anziane, poverissime. Una di queste, Caterina, era un poco ritardata mentalmente, rideva quasi sempre. Uscivano poco in strada e non le vedevo quasi mai a messa: allora ero chierichetto nella vicina chiesa della Misericordia. Mia madre mi raccontò che a Caterina mentre dormiva un topo, di notte, le aveva rosicchiato una parte dell’orecchio. Queste abitavano in un’unica stanza a piano terra con il pavimento in terra battuta. Ripenso spesso a loro.

Quel Natale mi è rimasto particolarmente nel cuore perché la sera del cenone, dai nonni, mentre il vento del Nord faceva rientrare il fumo nel camino, mia madre con la mantella di lana sulle spalle e un fazzoletto colorato a quadroni tra le mani , con dentro delle patate cotte sotto la cenere del camino, sparì dietro l’uscio del portone dei nonni , nel buio del vicolo illuminato dall’unica lampadina posta all’angolo. Tornò dopo poco tempo, sorrise e venne accanto al focolare dov’ero seduto anch’io e rivolto a me sottovoce esclamò: “ È Natale anche per loro!”

Caro Alessandro, a raccontarla questa parte della mia infanzia ai ragazzi a scuola quasi mi vergogno, perché nei loro occhi scorgo la luce fredda dell’incredulità e del benessere.
 

Con affetto, tuoi Vincenzo e famiglia
24 novembre 2014

tourismA Salone Internazionale dell’Archeologia a Firenze feb 2015

iniziativa segnalata da Rosamaria Rita Lombardo
autrice de L'ultima dimora del Re (bellissimo dono natalizio per chi ama l'archeologia).
 

FIRENZE - Palazzo dei Congressi
20-22 febbraio 2015

PALAZZO VECCHIO PER TOURISMA Il grandioso Salone de’ Cinquecento di Palazzo Vecchio aprirà le porte di sera per ospitare l’inaugurazione di “tourismA”, alle 21 di giovedì 19 febbraio. L’evento sarà dedicato ai “padroni di casa”, gli Etruschi, con una lectio magistralis delI’etruscologo Giovannangelo Camporeale, a cui seguirà una proposta ricostruttiva di “musica etrusca” a cura dell’archeologa Simona Rafanelli e del sassofonista Stefano Cocco Cantini. Salvo impegni istituzionali, interverrà il sindaco di Firenze Dario Nardella.

VEDI IL PROGRAMMA Sul sito web di “tourismA” è già consultabile l’intenso programma congressuale che caratterizza questa prima edizione del Salone Internazionale dell’Archeologia con oltre cento relatori che affronteranno – nel modo dinamico e divulgativo tipico degli eventi organizzati da Archeologia Viva – le tematiche più coinvolgenti relative alla ricerca archeologica e ai beni culturali in genere. Inoltre, sono previsti mostre, dimostrazioni e laboratori di archeologia sperimentale. www.tourisma.it/programmazione



PER TRE GIORNI&hellip TOURISMA Dal 20 al 22 febbraio Firenze sarà la capitale della divulgazione archeologica e del turismo culturale con un vasto settore fieristico (stand, box/poster e spazi espositivi), convegni e workshop. “tourismA” è il grande evento europeo 2015 dedicato alla valorizzazione del patrimonio archeologico, monumentale e ambientale, realizzato nella città mondiale dell’arte da Archeologia Viva (Giunti Editore) in collaborazione con Firenze Fiera e sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. www.tourisma.it/settore-espositivo
www.tourisma.it

Info: 055.5062302    info@tourisma.it
 

martedì 25 novembre 2014

Io non ho nulla da dire... a Cesenatico


Silenzi, afasie, grado zero nella cultura del Novecento


L’APPROFONDIMENTO AUTUNNALE

CICLO DI INCONTRI/SPETTACOLO


L’argomento affrontato durante l’estate 2014 da Casa Moretti, ovvero quello dell’impotenza della letteratura e della poesia, e della parola còlta nel suo sprofondare e dileguare verso il silenzio e il nulla, sia per la crisi dei valori sia per gli eventi drammatici della storia accaduti nel secolo breve, non è disgiunta dalla dolorosa coscienza esistenziale, che in quelle sillabe, in quelle parole si risolve e si deposita per sempre, e a volte viene affidata al silenzio.
Ma la riflessione ha certamente interessato l’intero panorama culturale non soltanto nazionale. Nel Novecento l’impotenza delle arti di dire e spiegare diviene traumatica e disperante. Come parlare tra le catastrofi delle guerre mondiali e le distruzioni immani che ad esse si accompagnano, comportando sconvolgimenti sociali ed economici devastanti; e, inoltre, con la crisi dei valori e la perdita del senso dell’umano che ne è derivato? Il secolo breve assiste così, in pochi decenni, a mutamenti radicali che riguardano non solo i rapporti tra individuo e società, ma la concezione stessa del tempo e dello spazio e del rapporto tra soggetto e linguaggio, sottoposti a precarietà, frantumazione, velocizzazione, condizionamenti sempre più devastanti, come illustrano tra gli altri Bergson e Wittgenstein, Heidegger e Benjamin, Freud e Marcuse.
Servirà pertanto illustrare quanto accadde anzitutto nel pensiero e nelle idee che poi sottesero gli sviluppi nel campo delle arti visive, del teatro, della musica.
Per questo Casa Moretti ha previsto e organizzato un ciclo di incontri (letture, spettacoli, ecc.) con i nomi più autorevoli per illustrare il tema.
Aprirà la rassegna il filosofo Franco Rella, autore, tra l’altro, del saggio Il silenzio e le parole, e che parlerà del pensiero al tempo della crisi.


Venerdì 5 dicembre: Franco Rella. Silenzi e afasie nella cultura del Novecento

Seguirà un incontro volto a presentare come nel campo delle arti visive il silenzio e l’impotenza del dire può essersi concretizzato. Bisogna andare oltre, immaginare, sognare... ci dicono diversi artisti. Ci sono silenzi cromatici, silenzi grafici, silenzi gestuali. E l’arte è un bacino particolarmente fertile per l’emergere di forme di silenzio inattese. Tra i più celebri e immediati esempi che si possono trovare nell’arte contemporanea, la ricerca del silenzio - in una particolarissima accezione - è sfociata nelle cancellature di Emilio Isgrò. Ma basti avere di fronte i drammatici Tagli di Lucio Fontana, o le solitarie bottiglie di un Morandi per avvertire, con la medesima potenza, la percezione di un silenzio assordante. Ce ne parlerà Vittorio Sgarbi.



Mercoledì 10 dicembre: Vittorio Sgarbi. Il silenzio nell’arte

Situazione altrettanto ossimorica, quanto quella poetica, si è verificata nella musica. Non fosse che la musica elude la parola. Tuttavia essa tenta di spiegare col suono e dunque, in teoria, tradisce il silenzio. Anche per un musicista l’assenza di suoni però può rappresentare ispirazione e vera e propria musica per le orecchie. Al musicista non interessa un silenzio qualunque, ma quello in cui la musica si forma, prende vita e diventa arte. Dal silenzio nascono le note: all’interno di una specie di luogo in cui non ci sono, in cui, per l’appunto domina il silenzio che permette però all’artista di entrare, di essere segnato. E così nasce la musica. Il suono si sistema in quel silenzio. Ecco allora la ricerca di luoghi dove il silenzio è d’oro, dove esso prospera e viene rispettato, come una montagna o un deserto. Persino però in un mercato pieno di colori e di casino, il musicista trova il suo silenzio e lo trasforma in qualcosa che potrebbe addirittura diventare Bach. La vita come sempre è linfa vitale per l’arte, la nutre e la tiene sveglia, attenta, piena. È il pensiero del violoncellista Mario Brunello che ha scelto sovente spazi silenziosi e sconfinati per esibirsi.



Sabato 13 dicembre: Mario Brunello. Il silenzio della musica 






Gli incontri si terranno nel Teatro Comunale di Cesenatico alle ore 21.
I primi due incontri (Rella, Sgarbi) sono ad ingresso libero su prenotazione
Il terzo incontro/concerto (Brunello) è a pagamento (10 Euro) su prenotazione.
Info e prenotazioni: 0547.79255


lunedì 24 novembre 2014

Ardea Montebelli più grande del mare

articolo pubblicato sul Corriere Romagna del 13 novembre 2014 dedicato alla mostra su Matteo Ricci

 

“La scrittura come la vita”: sul pensiero e la poetica di Caterina Camporesi

AA.VV. Letteratura… coni piedi a cura di A. Ramberti, FaraEditore, 2014
recensione di Vincenzo D’Alessio
 

Il vantaggio delle Antologie poetiche consiste nel panorama letterario composito, un caleidoscopio che mostra al lettore ogni volta una sequenza nuova degli eventi, le esistenze, le comuni passioni coinvolgenti. Nell’Antologia Letteratura… con i piedi scaturita dall’incontro dei tanti autori a Perugia nella primavera di quest’anno, guidati dall’Editore e curatore dell’opera Alessandro Ramberti, compare il contributo della poetessa  Caterina Camporesi recante il titolo: “La scrittura come la vita è un instancabile cammino” (pp. 23 ss.).

La poesia della Nostra ha trovato spazio in molteplici manifestazioni ed ha ricevuto critiche positive perché è capace di spaziare nelle tematiche più profonde della contemporaneità,  complice anche la sua attività di psicoterapeuta. La scrittura poetica intesa come viaggio accanto agli altri, conosciuti o sconosciuti, consapevole che “è un evento che coinvolge la dimensione del tempo più di quella dello spazio, pertanto asseconda lo spostamento e la fusione dei tempi”.

Le partiture poetiche prodotte negli anni hanno un inizio, un luogo conosciuto, che la Nostra indica con queste parole: “La scrittura ha bisogno di un grembo, deve essere concepita e potere crescere per essere pronta ad uscire fuori nel mondo per abitarlo.”  
La sensibilità si sposa alla ragione e nel lento labor limae  prova a recuperare il filo che consenta alla parola di trasmettere il paesaggio interiore della poeta agli occhi del lettore e all’umanità intera. Questo luogo ha, in Camporesi, una chiave di lettura raccolta in questi versi: “Ora che il tuo non riconoscermi / non mi prosciuga e pietrifica più; /  Ora che il tuo sentire appartiene a te / e il tuo desiderio devasta te. /  Ora: posso intravedere l’infinito / del mio sentire e l’incalzare del mio /  DESIDERIO.”

Il tempo scandito nella metafora “Ora” costituisce la poetica e il punto di partenza del viaggio nella Poesia di Camporesi. Viaggio meditato che raccoglierà nel 2013 un importante riconoscimento al Premio “Civetta di Minerva – Antonio Guerriero”, con sede a Summonte (AV), con la raccolta Dove il vero si coagula (Raffaelli, 2011), mentre il primo incontro con il pubblico avviene con la raccolta Poesie di una psicologa (Euroforum,1982). Un lungo tragitto alla scoperta del sé e dell’Infinito che lo abita e i nodi che l’esistenza pone. Una lenta lotta contro Kronos per attualizzare il significante della parola poetica, capace di adempiere al passaggio dall’ignoto del “desiderio” al divenire  lettere di un alfabeto comune.

Scandisce questo desiderio, la Nostra, nell’intervento che segue: “Lo stile dona la possibilità di costruire ponti di unione non solo nel caos dell’interiorità del soggetto, ma anche nella relazione tra l’io, il noi e il mondo”. In particolar modo il viaggio intrapreso dalla Camporesi crea un argine al fluire veloce del tempo umano, ricercando nel tempo poetico (quasi fosse un tempo opportuno contenuto in ogni essere vivente: kairos) il porto sepolto dove emergono le schiere dei poeti che l’hanno preceduta. Un viaggio instancabile nella memoria collettiva che non si perderà. I versi trasmettono l’esperienza di un singolo alla collettività e  animano le corde più profonde dell’Io , lontana dalla banalizzazione del linguaggio.

Leggiamo quest’altro contributo offerto al viaggio e ai viaggiatori presenti al convegno:  “Ho graffiato i brandelli del rifiuto / che con astuzia provocavo /  Ho provocato i brandelli dell’attenzione / che non si rivolgeva a me / Il deserto dell’indifferenza / mi faceva morire”. Il viaggio condiviso con il respiro alto della poesia, di fronte all’immane indifferenza di gran parte del genere umano. Camporesi invita il viaggiatore a portare con sé i fogli dell’accoglienza per mitigare il Tempo inesorabile dell’abbandono: “non quello che si dice / neppure quello che si fa /  – dispera quello che si è”. La coscienza del nostro essere simili nell’umanità e differenti nella coscienza del migrare.
Il colore del viaggio che promana dai versi di Caterina Camporesi è il blu: un blu caldo e avvolgente compagno lungo  il nostro breve cammino nel deserto degli uomini assetati di materialità, lungo le piste millenarie del tempo.

venerdì 21 novembre 2014

Domenica 23 novembre : Madre Natura e gli uomini

di Vincenzo D'Alessio
& G.C. “F.Guarini”


Domenica prossima, 23 novembre, si compiranno trentaquattro anni dalla distruzione operata dal terremoto dell’80 in tutta l’Irpinia. Troppi morti, troppi ritardi, tante responsabilità non pagate. Una memoria ancora lancinante perché gran parte dei danni umani potevano essere evitati. La sfrenata corsa all’edificazione selvaggia, la costruzione dell’edilizia economica e popolare in aree poco protette, la mancanza di solidarietà civile, tipica delle genti del Sud, lasciano una cicatrice insanabile nelle menti dei superstiti. Le generazioni attuali devono essere istruite con la testimonianza dei vivi, alla stregua della Shoah, specialmente nelle scuole statali di primo e secondo grado.
I libri sono l’esercito della Storia, anche se vengono bruciati nei periodi dittatoriali, costituiscono la fonte inesauribile dell’eterna giovinezza della memoria. Tra questi riluce il libro del chiarissimo professore monsignore Michele RICCIARDELLI dal titolo: Il minuto più lungo della vita, pubblicato dal Centro Orizzonte 2000 nel primo decennale del sisma. Il testo è una fonte inesauribile di dati scientifici, di testimonianze dei superstiti e dei protagonisti di quel tristissimo evento. Inoltre si avvale di dati storici sui sisma precedenti e di una scheda prontuario dei materiali utili da tenere costantemente in casa per far fronte alle calamità naturali.
Don Michele RICCIARDELLI ritornò nella sua città natale per sollevare la popolazione dallo stato di profonda angoscia seguita al sisma: organizzò la Biblioteca Civica “Renato Serra” con corsi gratuiti di inglese aperti a tutte le età. Si prodigò con i Padri Oblati di San Giuseppe di Solofra nella realizzazione di progetti ancora attuali come il Centro Culturale Orizzonte 2000 e il giornale Solofra Oggi. Aiutò segretamente gli umili, gli studenti, i giovani intenti agli studi. Celebrava la santa Messa in ogni parrocchia dove veniva chiamato e quasi sempre volontariamente senza compenso. Le sue omelie erano rivolte ai fedeli proprio come faceva nelle Università di Stato americane dove aveva insegnato per quarant’anni: in modo semplice, cordiale, interpersonale che andavano diritto al cuore.
Il volume da lui realizzato nel primo decennale del sisma contiene ancora la sua voce e la sua vocazione sacerdotale: umile di cuore perché fedele a Dio, puro di cuore perché servo di Maria SS., fedele alla Storia attraverso la voce di tutti.

Sulla mostra “Più grande del mare” di Ardea Montebelli dedicata a Matteo Ricci

di Marcello Tosi 


http://it.radiovaticana.va/news/2014/11/20/pi%C3%B9_grande_del_mare;_una_mostra_per_ricordare_pmatteo_ricci/1111775
“Ambasciatore dello spirito – scrive nella presentazione Massimo Pulini, assessore comunale alla cultura – “figura di mistico esploratore che ancora oggi esempio di un atteggiamento evoluto ed etico all’incontro del diverso”, padre Matteo Ricci, l’intrepido gesuita maceratese che, come un novello Marco Polo, andò alla scoperta della Cina nella propria opera di evangelizzazione, è protagonista della mostra Più grande del mare di Ardea Montebelli (intervistata in merito anche dalla Radio Vaticana), ancora aperta al pubblico fino al 7 dicembre alla Galleria dell’Immagine di Rimini (ingresso libero, 16-19 tutti i giorni eccetto il lunedì).

Insegnante, poetessa e fotografa, che propone percorsi di approfondimento della Sacra Scrittura utilizzando parola e immagine, l’autrice presenta un percorso intenso nella storia, nella mistica, nella filosofia, attraverso propri versi e fotografie, note storiche e citazioni di grandi pensatori come Confucio e Laozi, oltre che delle lettere e delle riflessioni dello stesso Matteo Ricci, dandone un’interpretazione poetica, fotografica e calligrafica.
Nella storia dei rapporti tra la Cina e l’occidente è nota la figura dei Xitai del Grande Occidente, che trascorse gli ultimi 28 anni della sua vita in Cina durante la dinastia Ming (Regno Centrale). Matteo Ricci si spense nella capitale cinese l’11 maggio del 1610. Pechino era stata la sua meta, come anticipato in un sogno avvenuto nel giugno 1595, nel quale Gesù lo aveva rincuorato per le difficoltà che incontrava e gli aveva assicurato che un giorno avrebbe raggiunto la capitale, ben sei anni prima del suo arrivo a Pechino
Ancora oggi il nome del padre gesuita (1552-1610), di cui è in corso il processo di beatificazione, è oggetto di grande venerazione e fama in Cina e il suo monumento sepolcrale viene conservato con rispetto e onore.
«Matteo Ricci – spiega – cercava ‘il vero significato del Signore del cielo’ (tiānzhŭ, il termine scelto da Ricci per indicare il Dio cristiano). Si sofferma sulla parola ‘Dio’ che non era mai esistita (nell
accezione biblico-cristiana) nella lingua cinese. Una parola più grande delle varie metafore del cambiamento e della creazione ma anche una vera sfida ai pericoli del mondo e incitamento al rinnovamento umano e spirituale. Dalle antiche scritture cinesi fatte con il pennello, trae la via della conoscenza e della trascendenza. Cinque caratteri che ho inserito in mostra mostrano come Matteo Ricci si rivolgesse a confratelli e amici e familiari narrando tutto il suo percorso e le sue difficoltà. Riporta quelli che sono i caratteri costitutivi del cielo infinito e di tutti gli esseri viventi, in un contesto cristiano, perché “è Dio che chiude questo cielo”. La sua è una trasformazione di vita interiore, che avviene al cospetto del mondo cinese, affrontato conducendo studi filosofici , di lingua, e di tutto ciò che apparteneva alla Cina.»

Ardea Montebelli accompagna con i suoi versi brani tratti dagli scritti dei grandi filosofi cinesi e dalle lettere di Matteo Ricci, e fotografie di mattini, di acque e cascate (“Il bene più alto è simile all’acqua”, scrisse Laozi), fatte nel paesaggio italiano, ma che vogliono essere un ulteriore elemento di riferimento spaziale e temporale.
Cinque gli elementi costitutivi dell'universo per i cinesi, posti dall’autrice ad intervallare il percorso della mostra; Legno, Fuoco, Terra, Metallo e Acqua. Tutti i caratteri sono calligrafati da Ardea che riporta al senso di questo messaggio: “Avverti solo la vita che nasce, / sulle immobili acque / nulla si perde / della vita e della danza”.
Una consonanza del messaggio cristiano che Ricci individuò nella ricerca profonda del Daodejing di Laozi di quanto sia misterioso e indefinibile definire quale sia stata l’origine del mondo , la radice, la zolla di terra, e fra queste, l'uomo (“Tutte le cose operano insieme. Le hai osservate ritornare…” ), così come nel pensiero di Confucio: “Fun-cha domandò che cosa fosse la benevolenza. Il maestro (disse):
amare gli uomini… e soltanto il cielo è tanto grande. “La Cina – aggiungeva pieno d’ammirazione il gesuita – è tanto bella… che sembra tutto un giardino”.
Una Via (dào) che ha un senso, una direzione, una bellezza che vengono dall'alto.
Un affascinante percorso la mostra attraverso le varie dimensioni del cammino missionario di evangelizzazione intrapreso: dalla bellezza della natura, espressa nell’arte, al pensiero dei saggi cinesi connesso all’annuncio del Vangelo “dottrina del cielo”, che diventano anello di congiunzione tra occidente e oriente, tra la civiltà confuciana e la sapienza cristiana, come scrive nella presentazione della mostra monsignor Savio Han-Tai Fai, Segretario Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli).
Per monsignor Francesco Lambiasi, Vescovo di Rimini, Matteo Ricci “novello Paolo ha saputo avvicinare la millenaria cultura del Regno di Mezzo, facendosi cinese con i cinesi”.
“Partire significa andare lontano, andare lontano significa ritornare”, scriveva Laozi nel 
Daodejing.
“Prendo le distanze dalle cose consuete”, si legge ancora nei versi di Ardea Montebelli. 

“Ciò che manca / a fatica sazia l’attesa / di una verità / che mi scruti / e continuamente mi domandi / dove sia il largo del mare.”

martedì 18 novembre 2014

Io non ho nulla da dire... a Cesenatico in dicembre

Io non ho nulla da dire...

Silenzi, afasie, grado zero nella cultura del Novecento

L’APPROFONDIMENTO AUTUNNALE
CICLO DI INCONTRI/SPETTACOLO




L’argomento affrontato durante l’estate 2014 da Casa Moretti, ovvero quello dell’impotenza della letteratura e della poesia, e della parola còlta nel suo sprofondare e dileguare verso il silenzio e il nulla, sia per la crisi dei valori sia per gli eventi drammatici della storia accaduti nel secolo breve, non è disgiunta dalla dolorosa coscienza esistenziale, che in quelle sillabe, in quelle parole si risolve e si deposita per sempre, e a volte viene affidata al silenzio.
Ma la riflessione ha certamente interessato l’intero panorama culturale non soltanto nazionale. Nel Novecento l’impotenza delle arti di dire e spiegare diviene traumatica e disperante. Come parlare tra le catastrofi delle guerre mondiali e le distruzioni immani che ad esse si accompagnano, comportando sconvolgimenti sociali ed economici devastanti; e, inoltre, con la crisi dei valori e la perdita del senso dell’umano che ne è derivato? Il secolo breve assiste così, in pochi decenni, a mutamenti radicali che riguardano non solo i rapporti tra individuo e società, ma la concezione stessa del tempo e dello spazio e del rapporto tra soggetto e linguaggio, sottoposti a precarietà, frantumazione, velocizzazione, condizionamenti sempre più devastanti, come illustrano tra gli altri Bergson e Wittgenstein, Heidegger e Benjamin, Freud e Marcuse.
Servirà pertanto illustrare quanto accadde anzitutto nel pensiero e nelle idee che poi sottesero gli sviluppi nel campo delle arti visive, del teatro, della musica.
Per questo Casa Moretti ha previsto e organizzato un ciclo di incontri (letture, spettacoli, ecc.) con i nomi più autorevoli per illustrare il tema.

Aprirà la rassegna il filosofo Franco Rella, autore, tra l’altro, del saggio Il silenzio e le parole, e che parlerà del pensiero al tempo della crisi.


Venerdì 5 dicembre: Franco Rella. Silenzi e afasie nella cultura del Novecento

Seguirà un incontro volto a presentare come nel campo delle arti visive il silenzio e l’impotenza del dire può essersi concretizzato. Bisogna andare oltre, immaginare, sognare… ci dicono diversi artisti. Ci sono silenzi cromatici, silenzi grafici, silenzi gestuali. E l’arte è un bacino particolarmente fertile per l’emergere di forme di silenzio inattese. Tra i più celebri e immediati esempi che si possono trovare nell’arte contemporanea, la ricerca del silenzio – in una particolarissima accezione – è sfociata nelle cancellature di Emilio Isgrò. Ma basti avere di fronte i drammatici Tagli di Lucio Fontana, o le solitarie bottiglie di un Morandi per avvertire, con la medesima potenza, la percezione di un silenzio assordante. Ce ne parlerà Vittorio Sgarbi.


Mercoledì 10 dicembre: Vittorio Sgarbi. Il silenzio nell’arte
Situazione altrettanto ossimorica, quanto quella poetica, si è verificata nella musica. Non fosse che la musica elude la parola. Tuttavia essa tenta di spiegare col suono e dunque, in teoria, tradisce il silenzio. Anche per un musicista l’assenza di suoni però può rappresentare ispirazione e vera e propria musica per le orecchie. Al musicista non interessa un silenzio qualunque, ma quello in cui la musica si forma, prende vita e diventa arte. Dal silenzio nascono le note: all’interno di una specie di luogo in cui non ci sono, in cui, per l’appunto domina il silenzio che permette però all’artista di entrare, di essere segnato. E così nasce la musica. Il suono si sistema in quel silenzio. Ecco allora la ricerca di luoghi dove il silenzio è d’oro, dove esso prospera e viene rispettato, come una montagna o un deserto. Persino però in un mercato pieno di colori e di casino, il musicista trova il suo silenzio e lo trasforma in qualcosa che potrebbe addirittura diventare Bach. La vita come sempre è linfa vitale per l’arte, la nutre e la tiene sveglia, attenta, piena. È il pensiero del violoncellista Mario Brunello che ha scelto sovente spazi silenziosi e sconfinati per esibirsi.


Sabato 13 dicembre: Mario Brunello. Il silenzio della musica
Gli incontri si terranno nel Teatro Comunale di Cesenatico alle ore 21.



I primi due incontri (Rella, Sgarbi) sono ad ingresso libero su prenotazione
Il terzo incontro/concerto (Brunello) è a pagamento (10 Euro) su prenotazione

Info e prenotazioni: 0547.79255



SCHEDE:
 

Franco Rella risiede nel comune di nascita, da dove si sposta dal 1975 per tenere le lezioni presso la "Facoltà di Design e Arti" dello IUAV di Venezia, dove insegna Estetica (è stato allievo di Gillo Dorfles a Milano) ed è responsabile del programma di dottorato di ricerca in storia e filosofie delle arti.
Ha organizzato e partecipato a convegni e seminari di diverse istituzioni italiane e straniere, in qualche occasione invitato come visiting professor, organizzando anche mostre e volumi collettanei.
Tra i saggi pubblicati, L'enigma della bellezza (1991), Miti e figure del moderno (1993), Negli occhi di Vincent. L'io nello specchio del mondo (1998), Ai confini del corpo (2000), La responsabilità del pensiero (2009), ecc.
Tra gli autori indagati, Rainer Maria Rilke, Charles Baudelaire, Louis Aragon, Gustave Flaubert, Georges Bataille, Otto Weininger, altre figure del "moderno", dell'erotismo e del romanticismo, e il personaggio di Edipo in Sofocle e in Hölderlin.
Tra le riviste a cui ha collaborato Casabella, Lotus, Assemblage, Substance, Utopica (in ambito architettonico ed estetico), Nuova Corrente, aut aut, Alfabeta (in ambito filosofico e letterario), ecc.
Ha inoltre scritto i romanzi Attraverso l'ombra (1986, Premio Dessì), La disattenzione (1992) e L'ultimo uomo (1996), qualche racconto e qualche poesia (Bios).
Dal 1989 al 1996 è stato coordinatore e poi membro del comitato scientifico del MART, per il quale ha collaborato alle mostre: Il Divisionismo italiano, La giovane pittura europea, Il Romanticismo, L'Espressionismo dei Musei di Dormund.
È stato nel consiglio d'amministrazione della Fondazione Opera Bevilacqua La Masa di Venezia. Altre mostre ed esposizioni con saggi e introduzioni in catalogo le ha presentate presso Palazzo Forti e presso la Galleria dello Scudo di Verona, Palazzo Bricherasio a Torino, il Goethe-Institut e l'Università di Palermo, la GNAM di Roma, il Museo d'Orsay di Parigi, il PAC di Milano, la Galleria Civica di Modena ecc. presentando opere di Annamaria Gelmi, Marco Nereo Rotelli, Roberto Giannone, Piero Pizzi Cannella, Sergio Bernardi, Giovanna Bergamaschi, Léon Krier, Chi Wing Lo, Massimo Scolari, Marino Marini, Michele Canzoneri, Paola Grott, Anna Cavallaro, Marilena Sassi ecc.
Ha collaborato al progetto del 1993 su Anversa capitale europea della cultura. Ha diretto collane presso Bertani Editore, Feltrinelli, Cluva e Pendragon e ha anche scritto articoli per i quotidiani "l'Unità" e "la Repubblica".
Nel 2001 ha pubblicato con Feltrinelli Il silenzio e le parole. Il pensiero nel tempo della crisi, un percorso che conduce dal fascino del silenzio e del nulla alle parole di un sapere che cerca di avere ragione della crisi fino al superamento della razionalità classica in un nuovo rapporto con il mondo e la realtà: da Weininger a Wittgenstein, Musil, Freud, Rilke, Nietzsche e Benjamin.
Il silenzio e le parole si muove attraverso alcune delle più significative manifestazioni del pensiero filosofico e letterario del Novecento: quelle che emergono dalle opere di Weininger, Wittgenstein, Rilke, Heidegger, Freud e Benjamin. Ma non si limita a ripetere, con le loro parole, la fine dei fondamenti della ragione classica; cerca piuttosto di individuare, all'interno di quei testi, la genesi di un sapere critico, che si pone come un superamento dell'aura del silenzio del primo Wittgenstein e della “rappresentazione luttuosa” della crisi di Hofmannsthal e del pensiero negativo. Il sapere della precarietà e della caducità, il sapere critico, si scontra con la ragione post cartesiana nel suo punto di massima resistenza e di massima tensione: nell'idea del progresso e di un sapere lineare e cumulativo. Infatti, a partire dallo Zarathustra di Nietzsche, ma soprattutto con Proust, Freud e Benjamin, si produce una diversa concezione del tempo: il tempo ripetizione dell'inconscio, della memoria involontaria, dell'immagine dialettica di Benjamin. Questa concezione del tempo propone un atteggiamento nuovo nei confronti del presente e del passato e rende pensabile anche una diversa costruzione del futuro. È un orizzonte di senso in cui ciò che appariva come un paesaggio desertico e terribile trova una sua diversa ragione: nuove parole in cui si esprime e si rappresenta.


Vittorio Sgarbi. Nato a Ferrara nel 1952, si è laureato in Filosofia a Bologna con una specializzazione in Storia dell’Arte. È funzionario, storico dell’arte, direttore-coordinatore assegnato alla Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Venezia. Saggista e conduttore televisivo ha saputo proporre la materia dell’arte con immediatezza con tutti i media con cui si è misurato. È autore di numerose pubblicazioni sull’arte e sulla critica d’arte tra le quali: “Carpaccio”, Capitol Editore, Bologna, 1979; ha curato gli atti del convegno nazionale su Lorenzo Lotto (Asolo, 1980); “Palladio e la Maniera. I pittori vicentini del '500 e i collaboratori del Palladio, 1530-1630”, Electa, Milano, 1980; “Pietro Longhi. I dipinti di Palazzo Leoni Montanari”, Electa, Milano, 1982; “Gnoli”, FMR Editore, Milano, 1983 (Premio Acquasparta); “Antonio da Crevalcore e la pittura ferrarese a Bologna”, Mondadori, Milano, 1985; “Il sogno della pittura”, Marsilio Editori, Venezia, 1985 (Premio Estense 1985); “Carlo Guarienti”, Fabbri Editore, Milano, 1985. Ha curato la mostra su Valerio Adami nel 1985 al Centre Georges Pompidou e diverse mostre fra le quali: “Paesaggio senza territorio”, 1986; “Natura morta”, 1987, e “Il ritratto”, 1991, per il Castello di Mesola; “Vitalità della figurazione” (1988) per il Palazzo della Permanente a Milano. Mattioli (Il Bulino, 1987), Vangi (Il Bulino, 1988), Soutine (L’Obliquo, 1988). “Storia Universale dell’arte”, a cura di Vittorio Sgarbi, Mondadori, Milano, 1988; “Rovigo. Le chiese”, Inventario dei beni artistici e storici di Rovigo, Marsilio Editore, Venezia, 1988; “Davanti all’immagine”, Rizzoli Editore, Milano, 1989 (Premio Bancarella 1990, nove edizioni, duecentomila copia); “Il pensiero segreto. Viaggi, incontri, emozioni” (settecentomila copie), Rizzoli Editore, Milano, 1990; “P. Brandolese. Del genio de’ lendinaresi per la pittura”, Minelliana, Rovigo, 1990; “La Certosa di Pavia. Le tarsie lignee”, Torchio de' Ricci, Pavia, 1990; Ha curato la mostra e il catalogo di Botero. Dipinti, sculture, Disegni, Forte di Belvedere, Firenze (giugno 1991); “Dell’Italia. Uomini e luoghi”, Rizzoli Editore, Milano, 1991 (Premio Fregene 1991); “Roma: dizionario dei monumenti italiani e dei loro autori”, Bompiani, Milano, 1991. Per la Fonit Cetra ha curato “Poesie d’amore” di John Donne, Andrew Marvell, William Shakespeare, traduzione di Vittorio Sgarbi (novembre, 1991). Ha curato la mostra e il catalogo “Scultura italiana del primo Novecento”, Castello di Mesola, Ferrara, maggio 1992; “Arturo Nathan. Illusione e destino”, Centro Saint-Benin, giugno 1992, “Le mani nei capelli”, Mondadori, Milano, 1993; “Lo sgarbino. Dizionario della lingua italiana”, Edizioni Larus, Bergamo, 1993; “Onorevoli fantasmi”, Mondadori, Milano, 1994.
Nel settembre 1994 è stata pubblicata dall’editore Liana Levi di Parigi, dall’editore Abbeville in America e dall’editore Hirmer in Germania la monografia su Vittore Carpaccio.
Nelle Lezioni Private pubblicate da Mondadori nel novembre 1995 parla di arte, di poesia e di letteratura mantenendo intatta quell’attenzione costante alle vicende della nostra quotidianità. Nel novembre 1996 è uscito il secondo volume di Lezioni Private, edito dalla Mondadori. Nel maggio 1998 è uscito il volume Notte e giorno d’intorno girando edito dalla Rizzoli. Nel 1998 è uscito il volume Gli immortali edito dalla Rizzoli. Il 5 dicembre 1998 è uscito il volume A regola d’arte, edito dalla Mondadori, del quale sono state realizzate nove edizioni.
Ha condotto dal 1992 al 1999 la fortunata rubrica televisiva “Sgarbi Quotidiani”. Nel dicembre 1999 ha pubblicato con la Casa Editrice Mondadori il volume La casa dell’anima. Nel dicembre 2000 è stato pubblicato il volume Le tenebre e la rosa edito dalla Rizzoli e una riedizione de La storia universale dell’arte. È stato titolare della rubrica televisiva “La casa dell’anima” e della trasmissione “Sgarbi Clandestini” in onda su Telemarket.
Vincitore del Premio Internazionale Flaiano per la televisione, 2000.
Nel mese di novembre 2001 è stato pubblicato il libro Percorsi perversi edito dalla Rizzoli. Nel mese di marzo 2002 è stato pubblicato dalla Rizzoli, per la Fondazione Cassa di Risparmio di Imola, il volume Viaggio sentimentale e pittorico di un emiliano in Romagna. Nel mese di ottobre 2002 la Casa Editrice Bompiani ha pubblicato Il bene e il bello. La fragile condizione umana che, nel mese di dicembre, ha raggiunto la II edizione. Nel mese di dicembre 2002 è stato pubblicato il volume Da Giotto a Picasso (Skira Editore). Nel mese di gennaio 2003 la Skira Editore ha pubblicato il volume su Francesco Mazzola detto il Parmigianino in occasione del V° centenario della nascita del pittore. Nel mese di gennaio 2003 è stato nominato, con decreto ministeriale, Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Urbino. È uscito nel mese di novembre uno degli ultimi libri da lui scritto, edito dalla casa editrice Rizzoli Libri Illustrati, Un Paese sfigurato, oltre a il Parmigianino e Francesco Del Cossa. Nel mese di Aprile 2004 la casa editrice Bompiani ha pubblicato Dell’Anima e Andrea Palladio. La luce della ragione.
Nel 2005 sono stati pubblicati Vedere le parole. La scrittura d’arte da Vasari a Longhi, Caravaggio (pubblicato invece dalla Casa Editrice Skira) e Ragione e passione. Nel 2008 è stato pubblicato Clausura a Milano e non solo… e nel 2009 L’Italia delle meraviglie. Una cartografia del cuore (pubblicati da Bompiani).



Mario Brunello  nel 1986 è il primo artista italiano a vincere il Concorso Čaikovskij di Mosca che lo proietta sulla scena internazionale. Viene invitato dalle più prestigiose orchestre, tra le quali London Philharmonic, Munich Philharmonic, Philadelphia Orchestra, Mahler Chamber Orchestra, Orchestre Philharmonique de Radio-France, DSO Berlin, London Symphony, NHK Symphony di Tokyo, Kioi Sinfonietta, Filarmonica della Scala, Accademia di Santa Cecilia; lavora con direttori quali Valery Gergiev, Sir Antonio Pappano, Yuri Temirkanov, Manfred Honeck, Riccardo Chailly, Vladimir Jurowski, Ton Koopman, John Axelrod, Riccardo Muti, Daniele Gatti, Myung-Whun Chung, Seiji Ozawa.
Brunello si presenta sempre più di frequente nella doppia veste di direttore e solista dal 1994, quando fonda l'Orchestra d'Archi Italiana, con la quale ha una intensa attività sia in Italia che all’estero. Nell’ambito della musica da camera collabora con celebri artisti, tra cui Gidon Kremer, Yuri Bashmet, Martha Argerich, Andrea Lucchesini, Frank Peter Zimmermann, Isabelle Faust, Maurizio Pollini, Valery Afanassiev e l’Hugo Wolf Quartett.
Nella sua vita artistica riserva ampio spazio a progetti che coinvolgono forme d'arte e saperi diversi (teatro, letteratura, filosofia, scienza), integrandoli con il repertorio tradizionale. Interagisce con artisti di altra estrazione culturale, quali Uri Caine, Paolo Fresu, Marco Paolini, Stefano Benni, Gianmaria Testa, Margherita Hack, Moni Ovadia e Vinicio Capossela. Attraverso nuovi canali di comunicazione cerca di avvicinare il pubblico a un'idea diversa e multiforme del far musica, creando spettacoli interattivi che nascono in gran parte nello spazio Antiruggine, un’ex-officina ristrutturata, luogo ideale per la sperimentazione.
I diversi generi artistici si riflettono nell’ampia discografia che include opere di Vivaldi, Bach, Beethoven, Brahms, Schubert, Franck, Haydn, Chopin, Janáček e Sollima. Deutsche Grammophon ha pubblicato il Triplo Concerto di Beethoven diretto da Claudio Abbado e EGEA Records ha dedicato all’artista la collana “Brunello Series” composta da cinque Cd: “Odusia”, odissea musicale nella cultura del Mediterraneo, “Brunello and Vivaldi”, “Violoncello and” per violoncello solo, “Schubert e Lekeu” con Andrea Lucchesini e le Suites di Bach (Premio della Critica 2010). Il suo ultimo disco, per EMI, contiene la registrazione live del Concerto di Dvorak con l’Accademia di Santa Cecilia e Antonio Pappano.
Tra i principali impegni della stagione 2014-15 un lungo tour in Giappone dove terrà recital per violoncello solo, con pianoforte e concerti con orchestra. Alla Kioi Hall di Tokyo presenterà l’integrale delle Sonate e Variazioni di Beethoven con Andrea Lucchesini, mentre nelle principali sale del Giappone e della Cina sarà solista dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta da Antonio Pappano con il Concerto di Dvorak. “Bach Networks” è il titolo del nuovo progetto ideato con Uri Caine che sarà presentato in varie sale italiane. Brunello sarà artista residente dell’Orchestra della Svizzera Italiana, solista con la Mahler Chamber Orchestra e ritornerà al Teatro La Fenice di Venezia nel doppio ruolo di direttore e solista.
Mario Brunello ha studiato con Adriano Vendramelli, perfezionandosi in seguito con Antonio Janigro. È direttore musicale del festival “Artesella arte e natura” e Accademico di Santa Cecilia. Suona il prezioso violoncello Maggini dei primi del Seicento appartenuto a Franco Rossi.
È autore di un importantissimo saggio uscito nel 2014 per l’editore bolognese Il Mulino, dal titolo Silenzio.
Anche per un musicista l’assenza di suoni può rappresentare ispirazione e vera e propria musica per le orecchie. Mario Brunello con Silenzio racconta che cos’è questa strana forma, ormai quasi aliena all’umanità, sovraccaricata e inquinata dai rumori che si fanno spesso moleste presenze. Violoncellista e direttore dell’Orchestra d’archi italiana, Brunello è un’artista alla ricerca di ispirazione e di una sorta di meditazione, come dimostra la sua esperienza di camminata nel Sahara, o le sue sperimentazioni di concerti in luoghi non normalmente nati per queste attività come una cima dolomitica o un monastero. Ma è proprio qui che nasce l’unicità di Brunello che racconta in Silenzio che cosa davvero significhi per lui questa magica parola, che per lui si è fatta luogo, con una sua presenza, agli occhi e alle orecchie. Al violoncellista ovviamente non interessa un silenzio qualunque, ma quello in cui la musica si forma, prende vita e diventa arte. Mario Brunello racconta così come nascono le sue note: all’interno di una specie di luogo in cui non ci sono, in cui, per l’appunto domina il silenzio che permette però all’artista di entrare, di essere segnato. E così nasce la musica. Il suono si sistema in quel silenzio. Ecco allora la ricerca di luoghi dove il silenzio è d’oro, dove esso prospera e viene rispettato, come una montagna o un deserto. Persino però in un mercato pieno di colori e di casino, il musicista trova il suo silenzio e lo trasforma in qualcosa che potrebbe addirittura diventare Bach. La vita come sempre è linfa vitale per l’arte, la nutre e la tiene sveglia, attenta, piena.

Un elettronico epistolario

Mariacristina Robertini, Un anno di e-mail, De Ferrari Editore, Genova, 2014, pp. 70, euro 12,00

recensione di Marco Furia
 
http://www.editorialetipografica.com/sc.asp?ID=2503
 
Un anno di e-mail, articolato ed elegante libretto dell’esordiente Mariacristina Robertini, è una raccolta di lettere elettroniche scritte e ricevute da un personaggio immaginario che con l’autrice sembra avere molto in comune.
Timore di esporsi in prima persona?
Desiderio di ampia libertà compositiva?
Volontà di mischiare realtà e fantasia?
Difficile rispondere ai suddetti quesiti (e ad altri che si potrebbero formulare).
Quel che si nota è una sorta di commistione di personalità che si richiamano non come immagini riflesse l’una nell’altra in maniera fredda e ripetitiva, bensì come vivide valenze affettive che nel distacco della finzione letteraria trovano alimento per parole ulteriori.
Il volumetto conta settanta pagine ma molte altre e-mail potrebbero essere aggiunte.
Il tono è piano, le pronunce sono immediatamente comprensibili: nondimeno, in questa chiara spontaneità è annidato un enigmatico quid che rimanda alla vita nella sua essenza.
La quotidianità non è ritenuta banale: al contrario, il suo ripetersi illumina uno stare al mondo che si svolge secondo cadenze giornaliere ricche di significato e di affetto.
Questa lettere non sono (o non sono soltanto) confessioni, bensì prese d’atto in cui il dato concreto dice tutto o, comunque, molto.
Le persone, gli oggetti, gli avvenimenti e i luoghi non abbisognano di troppe spiegazioni: il loro mostrarsi è sufficiente.
Un mostrarsi che ricorda il disporre note su un pentagramma allo scopo di comporre ben individuati contrappunti: il mondo di Mriacristina non può essere sostituito da un altro, perché l’io scrivente traccia lo spartito del suo stesso esistere in maniera assidua e precisa.
Il linguaggio della nostra autrice presenta, per via di partecipi successioni di personaggi, oggetti ed episodi, tratti narrativi intensi e calibrati.
Si legge, ad esempio, a pagina 23:

“È quasi sera, il cielo è striato di rosso, questa luce, quest’ora mi fanno venire nostalgia, mi succede sempre, mi viene nostalgia di chi non c’è, del passato. Ma stasera ho un motivo ben più valido per la mia nostalgia: mi manchi!”

E a pagina 67:

“Finché sull’ampio lungomare il vento la fa da padrone si vede una sagoma che, a passo svelto, percorre la lunga striscia di asfalto che separa gli attracchi delle navi dalle basse costruzioni in stile nordico dove trovano posto i ristoranti.”

Siamo al cospetto di descrizioni in cui il dato oggettivo (“il cielo striato di rosso”, “la lunga striscia di asfalto”) entra, per così dire, nella sensibilità di chi scrive (e di chi legge) ponendo in essere immagini nello stesso tempo intime ed esteriori.
Gli aspetti dell’umano esistere sono innumerevoli eppure fanno parte di una fisionomia più ampia nel cui àmbito le linee di confine sono segmentate e, talvolta, quasi inesistenti?
Sì e, forse, proprio quel “quasi” è precipuo carattere del territorio visitato da una scrittura che avverte la precarietà del dualismo soggetto – oggetto e riesce a vivere simile incertezza senza cadere in inutili inquietudini: prendere atto di una circostanza significa compiere il primo passo verso maggiori consapevolezze, ossia verso un più alto livello di equilibrio.
Con fiducia, allora, attendiamo Mariacristina alla prossima prova.

lunedì 17 novembre 2014

E' cino, la gran bòta, la s-ciuptèda di Miro Gori in Cineteca 27 nov

Giovedì 27 novembre 2014 alle ore 21.00 
 
La Cineteca di Rimini presenta
con immagini di film e parole
 il libro di poesie in dialetto romagnolo
 
 

intervengono

Massimo Pulini, assessore alla cultura


 
ingresso libero
 
Cineteca, via Gambalunga 27
0541 704302  cineteca@comune.rimini
 

mercoledì 12 novembre 2014

Su Ludopatia – La debolezza della volontà di Andrea Costantino

recensione di Teresa Armenti





Nel giro di pochi mesi sono terminate le copie della prima tiratura del libro stampato in proprio Ludopatia – la debolezza della volontà. La casa editrice KIMERIK ne sta curando la ristampa, riveduta e corretta, che uscirà a breve con una nuova veste tipografica.
L’autore è il dottore Andrea Costantino di Castelsaraceno, funzionario statale, che ha operato sempre nel campo politico, sociale ed amministrativo. Ha organizzato eventi, escursioni con il CAI, ha fatto battaglie, fin dagli anni Novanta, per la salvaguardia dell’ambiente per quanto riguarda l’estrazione petrolifera in Val d’Agri. L’unico suo problema: il gioco che, con il passare del tempo, è diventato patologico e ha compromesso la sua vita. Non a caso il presidente della CEI, cardinale Bagnasco, definisce il gioco d’azzardo «una piovra che allunga i suoi mortali tentacoli promettendo molto e sradicando moltissimo, non di rado tutto».
Tutto questo viene descritto in modo coinvolgente da Andrea Costantino nel testo Ludopatia, che si legge d’un fiato. La copertina con il sottotitolo “La debolezza della volontà” incuriosisce e spinge alla lettura. Le pagine si aprono come un ventaglio, con una tensione continua e con una levità di tocco e di ritmo musicale. Devo precisare che qualsiasi libro, una volta che è stato stampato, esce fuori dall’autore e si dirige verso il lettore, che lo interpreta a modo suo. C’è chi lo legge ad occhio nudo, chi con la lente di ingrandimento, chi con il microscopio, chi addirittura con lo stetoscopio, per ascoltarne le palpitazioni. Marcel Proust, nel “Il tempo ritrovato” dice «Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso». Il testo “Ludopatia” presenta diverse chiavi di lettura: psicologica, catartica, pedagogica, sociale, giuridica, ludica, terapeutica. Lo potrei definire un viaggio interiore nel caos infernale per risalire poi la china e vedere la luce.
Sul gioco d’azzardo non ci sono molte pubblicazioni. Se andiamo indietro nel tempo, nel 1800, Dostoevskij - anche lui, in un determinato periodo della sua vita, fu uno sfrenato, morboso giocatore d’azzardo – scrisse Il Giocatore.
Andiamo ai nostri tempi. Nel 2000, a Forte dei Marmi, ci fu il Primo Congresso Nazionale sul gioco e l’azzardo. Nadia Zoffa, una giornalista bresciana, uno dei volti più popolari della trasmissione televisiva “Le Iene”, ha scritto “Quando il gioco si fa duro”, pubblicato da Rizzoli il 2 aprile 2014, quasi in contemporanea con l’uscita di Ludopatia. É un libro inchiesta sul fenomeno del gioco d’azzardo, per cercare di capire cosa pensano i giocatori, quanto giocano e quanto fanno guadagnare ai gestori e allo Stato, che viene definito, per tanti motivi, Stato biscazziere.
Il libro di Costantino, invece, è una testimonianza diretta, vissuta sulla propria pelle; c’è la compulsione, il viaggiare tra le nuvole senza toccare terra, lo sprofondare e il riemergere. Riemergere grazie al sostegno continuo della moglie Rosangela e del figlio Antonio.
Il libro è arricchito da vari riferimenti a scrittori, drammaturghi, musicisti classici e contemporanei, che denotano lo spessore culturale dell’autore. Si apre con un passo di Alain Daniélou, storico delle religioni, studioso della storia della musica e dello Ṧvaismo, si rifà alla condizione dell’attesa, citando la famosa opera teatrale di Samuel Beckett e la canzone di Claudio Lolli, subisce l’incanto dalle Sirene, si intrattiene con le canzoni-poesie di Fabrizio De André e si chiude con la frase celebre di S. Agostino “Ama e fa’ ciò che vuoi”, che è il più severo vaglio a cui sottomettere tutti i nostri comportamenti.
Le citazioni sono ben calibrate, sono messe al posto giusto e sono in armonia con il rivelarsi dello scrittore quando schizza di rabbia per le mancate vincite, quando parla di suo nonno, suo padre, sua madre, quando descrive i paesaggi: pennellate di colore, che catturano l’anima e gli permettono di dialogare con il suo dolore.
Il racconto accattivante, preciso, dettagliato, delle sue giocate, che lo portano ad annullarsi, riporta le esperienze vissute nelle comunità terapeutiche in Romagna e in Toscana, l’emanazione della sentenza, la dura espiazione nel carcere di Sala Consilina, il trasferimento ad Eboli, dove si sente diversamente libero e partecipa alla rappresentazione teatrale su Carlo Pisacane; il soggiorno nella comunità terapeutica di Tortora, in Calabria. Nell’ultimo capitolo c’è la descrizione dell’AKRASIA, la debolezza della volontà.
In Appendice viene riportata la descrizione della Consulenza di parte, con le considerazioni psicopatologiche e psichiatrico forensi e medico legali.
Questo libro è subito piaciuto a tutti: dal professionista all’uomo di strada, perché ognuno si è ritrovato in qualche episodio, ritenendosi dipendente di qualcosa.
Ludopatia ha ottenuto vari riconoscimenti ed apprezzamenti ad ampio raggio, non solo nel campo letterario. È stato recensito dal saggista e noto critico letterario
Vincenzo D'Alessio di Solofra (AV), dalla giovanissima e promettente Giusi Giovinazzo di Castelsaraceno, iscritta al secondo anno del corso di laurea magistrale in filosofia, dal giornalista Mimmo Mastrangelo di Moliterno. Diego De Carlo ha scritto un interessante articolo sulla “Città di Salerno”; Basilicata Radiodue ha intervistato lo scrittore ; anche un trailer è stato girato dal regista Sebastiano Messina, con il quale ha partecipato alla rassegna Cinema damare. É stato presentato in varie parti: a San Chirico Raparo, Castronuovo S. Andrea, Castelsaraceno, Aliano, Aieta, Eboli, Salerno.
È importante che il volumetto venga ulteriormente divulgato, perché può essere utile per i giovani, essendo il gioco d’azzardo un grave problema che sta investendo molti minorenni ed anche padri di famiglia, che magari iniziano con le scommesse sportive o con il poker on-line per diventarne gradualmente dipendenti. Si stanno, inoltre, avviando, insieme all’associazione Orthos, iniziative nelle scuole e nei comuni, per aprire centri di ascolto per dipendenze comportamentali, in modo da favorire cambiamenti di stili di vita e, al termine del percorso, poter affermare insieme all’autore: «È morto quel giocatore che, per alimentare la sua passione, doveva mentire in continuazione ed indossare maschere su maschere. Ora guardo negli occhi mia moglie che, con la sua eroica pazienza, mi ha dato forza e sostegno, riesco ad ascoltare mio figlio, che mi confida le sue ansie adolescenziali. La mia mente è in sintonia con il cuore. Ed il mio inferno è diventato un momento di elevazione, di crescita, di autentica forza. Scopro la semplicità e la forza dell’invocazione del nome “Signore, Gesù Cristo”». E Gesù dia sempre la forza ed il coraggio ad Andrea di proseguire nel suo cammino di fede ritrovata, continuando a darne testimonianza con altre presentazioni del suo libro nel resto d’Italia, tessendo un fittissimo reticolo di rapporti umani, basati sul sostegno reciproco.

Le popolazioni antiche nelle valli dei fiumi Sabato e Solofrana in Irpinia

di Vincenzo D'Alessio

(in memoria di mio figlio Antonio che ha condiviso con me fatiche e speranze)

§ - Intro

 
Ho iniziato le ricerche delle testimonianze umane antiche nella valle di Solofra e Serino (AV) a partire dai racconti che i miei nonni trasmettevano accanto al focolare nelle serate umide d’Autunno dopo i duri lavori dei campi. Una sequenza di immagini e di ricchezze sepolte, le quali per anni hanno accompagnato la loro non facile esistenza tra due Guerre Mondiali, epidemie, mancanza di risorse, lavoro forzato senza studio, ad iniziare dall’età che avevo quando questi racconti mi giungevano.
Per consegnare ai probabili lettori il frutto di tanti anni di tradizione orale contadina scrissi nei primi anni Sessanta l’insieme dei racconti che pubblicai, appena mi fu possibile economicamente, nel 1976 con il titolo Solofra nella leggenda. Il primo passo era fatto. Successivamente consolidai la conoscenza dell’intera valle del torrente Solofrana e dei suoi affluenti grazie all’aiuto della famiglia di mia madre, i Ferrandino, contadini con amici sparsi su tutto il territorio. Sotto il mio sguardo un poco alla volta la “civiltà contadina” andava scomparendo e le vaste terre coltivate venivano invase dal cemento delle nuove fabbriche, dall’urbanizzazione, dall’abbandono in molti casi perché il lavoro in fabbrica offriva più di quanto dava la terra. L’unico a resistere fu mio zio Mario, compagno di tante scoperte, che instancabile ha trasmesso la grande ricchezza della terra ai suoi figli.
Furono compagni in questa prima parte della ricerca Francesco Guacci, Michele Caliano e Aniello Coppola. Successivamente Francesco Guacci prese a lavorare da solo. Noi tre stabilimmo una solida collaborazione per le ricerche a Solofra e nei dintorni e ricevemmo il battesimo ufficiale nel mese di luglio 1982 alla località Tornola di Serino da due grandi paleontologi dell’Università di Siena: la chiarissima professoressa Annamaria RONCHITELLI e il chiarissimo professore Paolo GAMBASSINI, che nella «Rassegna di Archeologia» N .3 , della stessa Università, pubblicarono nella prima pagina del loro articolo: “Segnalazione di una industria Uluzziana a Tornola (Avellino)” la seguente nota: «A questi lavori hanno partecipato, insieme alla scrivente (A. RONCHITELLI), Paolo GAMBASSINI dell’Università di Siena, Vincenzo D’Alessio e altri membri del Gruppo Archeologico di Solofra.»
 


 

La scoperta della stazione di Tornola di Serino (AV) fa parte degli spostamenti che i pastori Appenninici dell’Età del Bronzo effettueranno nell’età dei metalli partendo dalle aree pedemontane della valle di Solofra, geograficamente disposte a Sud-Est di chi guarda dando le spalle alla sottostante valle di Montoro, dove origina il torrente Solofrana. L’area è ampia e si collega alla retrostante valle della Tornola (oggi torrente anch’esso) attraverso il valico posto a quota 1.100 s.l.m. lungo il Vallone della rena (sabbia-lapillo), spostandosi da quota 760 s.l.m. di Cretazze di Solofra a quota 850 s.l.m. della valle di Tornola di Serino passando lungo i fianchi della catena montuosa che culmina nei Monti Mai a 1607 mt. s.l.m.
La stazione di Tornola di Serino, venne alla luce a seguito dello scavo effettuato dalla ruspa per la realizzazione di una strada per il taglio dell’area boschiva circostante:

«La scoperta e la raccolta dell’industria sono dovuti al sig. Vincenzo d’Alessio, Ispettore onorario del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali per il territorio di Solofra. Su sua segnalazione l’Istituto l’Istituto di Antropologia e Paleontologia Umana dell’Università di Siena ha effettuato un sopralluogo della zona nel luglio 1982. La serie stratigrafica, osservabile sul versante sinistro del vicino Vallone Torchia, presenta le seguente successione dal basso:

a) conoide a elementi calcarei poco arrotondati e mal classati; la parte alta del cittolame appare fortemente corrosa;

b) livello a pomici vulcaniche gialle; il contatto con il conoide sottostante è ondulato;

c) terreno sabbioso, di colore giallo, derivato con ogni probabilità dall’alterazione delle stesse pomici; più bruno a tetto, in corrispondenza del suolo attuale che sopporta un castagneto.

Lo spessore di a+b varia fra i 100 e i 150 cm.

I manufatti litici di superficie provengono da un’area ristretta (mt.7x30), lungo il taglio di una mulattiera che attraversa il castagneto, ed erano più frequenti là dove la ruspa aveva quasi messo a nudo il conoide. Sono stati effettuati tre sondaggi, uno dei quali nei pressi della zona di maggior concentrazione dell’industria litica, e gli altri due a qualche metro di distanza, a monte e a valle del primo. Il saggio più a monte è risultato del tutto negativo; gli altri hanno restituito rare schegge non ritoccate, una semiluna (Fig. 1, n. 11) e alcuni semi d’uva (Vitis vinifera), materiali rinvenuti tutti quasi a contatto con il ciottolame del conoide. Non essendo comunque riusciti a localizzare, tramite questi sondaggi, l’antica area di frequentazione umana, i lavori sono stati per il momento sospesi. Riassunto: Si segnala il rinvenimento a Tornola (Avellino) di un’industria del Paleolitico superiore arcaico. Alcuni caratteri, come la presenza di semilune e di un segmento trapezoidale insieme a pezzi scagliati, inducono l’Autore ad inserire questa industria nell’ambito dell’Uluzziano italico.» (ripreso dall’articolo della chiarissima professoressa Annamaria RONCHITELLI pubblicato nella «Rassegna di Archeologia» dell’Istituto di Antropologia e Paleontologia Umana dell’Università di Siena, Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, Sezione di Preistoria – Siena).




«D’altra parte l’industria di Tòrnola si colloca di certo in un momento precedente al pur vicino deposito proto aurignaziano (31200± 650 B.P.) di Serino dove, a fronte di uguale materia prima e tipometria, non compare nessuna semiluna.» 


Alla stazione di Tornola (AV) accompagnai sul finire degli anni Settanta il chiarissimo professore Giuliano CREMONESI venuto a Salerno per una conferenza presso la Soprintendenza Archeologica, diretta in quel momento dall’indimenticato soprintendente professore Werner JOHANNOWSKY scomparso nel 2010. Saputo della sua presenza mi recai a Salerno, nel piazzale antistante la Stazione Centrale (soggiornava nell’albergo posto di fronte alla stazione). Mi presentai in qualità di Ispettore Onorario del Ministero dei Beni Culturali ed egli senza indugi accettò di seguirmi sul luogo del ritrovamento dell’industria litica. Raggiungemmo con la mia auto la località Tornola ed egli attribuì i manufatti litici ritrovati alla cultura di Uluzzo, poiché aveva studiato materiali simili in provincia di Lecce, in diverse campagne di scavo. Pranzammo al ristorante Tornola (attivo anche oggi) e nel pomeriggio lo riaccompagnai a Salerno. Da quel momento abbiamo avuto contatti epistolari e una sola volta, negli anni Ottanta, sono stato suo ospite a Pisa, nell’Istituto di Scienze Archeologiche, dove ebbe cura di mostrarmi nuovi elementi che arricchirono la mia conoscenza antropologica. 

Venni a conoscenza della sua prematura scomparsa nel settembre 1992 dalla moglie Renata GRIFONI CREMONESI e inviai la mia testimonianza per l’affetto che mi aveva concesso, la quale venne inclusa nella Tabula Memorialis del volume: Miscellanea in memoria di Giuliano CREMONESI (Edizioni ETS,1995). Successivamente incontrai la moglie di persona a Latronico (SA) alla quale presentai le mie condoglianze. Il sito di Tornola, dopo le indagini condotte nel luglio 1992 dall’Università di Siena, è rimasto com’era.



(foto ripresa dalla Miscellanea in memoria di Giuliano CREMONESI, pag. IV)

§ L’Età del Bronzo: i sentieri transumanti durante la Protostoria


In qualità di Ispettore Onorario del Ministero dei Beni Culturali (nomina proposta dalla dottoressa Gabriella COLUCCI PESCATORI nel 1976, della quale conservo un sincero senso di riconoscenza e ratificata dall’allora Soprintendente chiarissimo professore Werner JOHANNOWSKY, scienziato umile e di vastissima esperienza)


Chiarissimo professore Wener JOHANNOWSKY (scomparso nel 2010)


per circa quarant’anni ho tutelato a mie spese, senza ricevere mai alcun premio di ritrovamento, il territorio compreso nei comuni di Solofra, Serino e Montoro, in provincia di Avellino, e Calvanico in provincia di Salerno, raccogliendo in superficie i frammenti archeologici che venivano alla luce, sia per i fenomeni naturali di subsidenza sia per i lavori urbani che per quelli montani (come: strade per il taglio dei boschi, miglioramenti dei terrazzamenti nei castagneti, lavori di pulizia di cisterne) segnalando in Soprintendenza le località e i materiali ritrovati con pubblicazioni e articoli su riviste e quotidiani.
Nel 1976, dopo le precedenti scoperte: venerdì 9 gennaio 1976, località Starza, n° 3 tombe d’Età Romana nel corso dei lavori di scavo per la Scuola Media Statale; venerdì 10 settembre 1976 località Viale Principe Amedeo (già Vecchia Starza del Conte) rinvenimento di n° 3 tombe a cassa in tufo grigio d’Età Sannitica nel corso dei lavori per la costruzione di una civile abitazione; Domenica 17 ottobre 1976, località Passatoia (Madonna del Soccorso) capanno appenninico dell’Età del Bronzo Antico e Medio nel corso dei lavori per la realizzazione della Strada Panoramica Turci/12 Apostoli; fondammo con Francesco Guacci e i componenti del Gruppo Culturale “Francesco GUARINI”,“L’Antiquarium Saluphris” (della Valle di Solofra). La Sede fu scelta nella vecchia sala del Consiglio Comunale di Palazzo Sant’Agostino (Municipio). Mentre le sette bacheche furono donate dal cavaliere del lavoro Mario Vitale e da altri privati, realizzate su disegno di Guacci dai Fratelli Ingenito serramentisti in Solofra.
L’Antiquarium di Solofra, fondato nel 1976 (vedi le due foto seguenti con la presenza dei miei due figli Giuseppe e Nicolino), nella dismessa Sala del Consiglio Comunale, fu parzialmente distrutto dal crollo del tetto domenica 23 novembre 1980, i materiali furono in parte trafugati, altri recuperati dalla dottoressa Gabriella COLUCCI PESCATORI accompagnata da personale della Soprintendenza e portati nei depositi di Avellino dove sono sistemati tuttora. 

 


Delle sette bacheche non fu salvata nessuna. Parte delle memorie di quei momenti sono riportati nella Rivista trimestrale «Antiqua», organo ufficiale dell’Archeoclub d’Italia, in un articolo curato dal prof. Giuseppe GUADAGNO. La Sede dell’Archeoclub d’Italia Sezione di Solofra fu da me fondata il 15 marzo 1979 (vedi documento ufficiale). 





L’Antiquarium venne visitato da tante scolaresche di Solofra, Montoro e altri comuni. Un ricordo particolare va al professore Antonio Giaquinto, docente presso la Scuola Media Statale “F. Galiani” di Montoro, scomparso prematuramente, al quale è legata la segnalazione della località “Vallone Candelito” di Aterrana di Montoro, poi da me ribattezzata “Balzi del Guacci”.