giovedì 25 gennaio 2018

Intervista a Chiara De Luca, autrice de “La collezionista”


    di Ilaria Brandi





    La collezionista è uno spaccato – a tratti esilarante – della realtà degli “umanisti” in cerca di occupazione e di una generazione con punti di riferimento (anche parentali) da ricomporre con tutta la fatica del vivere.
    L'autrice Chiara De Luca è stata così gentile da rispondere alle domande che ci siamo fatti dopo la lettura del libro.

      Federica ha una grande profondità psicologica e chiaramente è stata pensata con caratteristiche specifiche, e si sa che ogni autore mette molto di sé nei propri personaggi. Esattamente quanto di lei c'è in Federica?

    Di solito scriviamo soprattutto di quel che avremmo voluto o potuto essere, o di quello che non avremmo voluto. Ho scritto La collezionista quando avevo poco più di vent’anni, quindi adesso per fortuna, altrimenti sarebbe preoccupante lo sento abbastanza distante da me, concettualmente e stilisticamente. Di Federica sicuramente ho il cinismo, che maschera un amore spesso deluso e tradito per l’umanità, un amore che ti spinge a volerla e sperarla migliore, e quindi a colpirla e stuzzicarla. Di Federica ho l’ironia come nascondimento, come maschera che stempera e sdrammatizza anche il dramma, in nome della consapevolezza che alla maggior parte della gente non importa un cazzo di come tu stia e di chi tu sia davvero. Di Federica ho il principio di economia della conversazione, sintetizzato nel testo dall’uso dei corsivi per indicare i pensieri della protagonista, che spesso contraddicono e sbeffeggiano le parole pronunciate in tondo. I corsivi che usi tra te e te, non per ipocrisia o vantaggio, ma perché sei convinto che non valga neppure la pena di dar voce a ciò che pensi, di svelarsi e rivelare il proprio punto di vista a un interlocutore che non ti potrà mai capire. Di Federica ho il sorriso e la scrollata di spalle nella tempesta, la fede (ricca) che prima o poi il cielo si schiarisce, forse. Di Federica ho lo sguardo disincantato sulle relazioni e su quelle cose che chiamano amore e amicizia, di cui tutti si riempiono la bocca, ma che quasi nessuno ha mai incontrato nella loro più vera essenza. Di Federica ho la forza e la caparbia di non accontentarsi e la capacità e la gioia di stare sola (ora molto più che allora). Come Federica anch’io m’innamoravo di fantasmi, costruzioni della mia fantasia. Per concludere tutte le sante volte con Rimbaud: “Così, ho amato un porco. Non ho dimenticato nessuno dei sofismi della follia”. Ma questo accade a vent’anni, poi, si spera, cresci e capisci che trovare l’amore è come vincere alla lotteria di Capodanno. Quindi è tempo sprecato cercarlo, ancor più sprecato inventarlo e far dipendere la propria felicità da una casualità così rara e fortuita. Così com’è tempo sprecato scrivere a Babbo Natale. Federica lo fa, ma né io né lei abbiamo mai creduto davvero che avrebbe risposto. Babbo Natale è quella persona che ti riconosce, che individua in te un merito, una capacità, e decide di valorizzarla, di darle spazio. Con il tempo impari che nessuno fa niente per niente, che nessuno risponde alla letterina anonima di un bambino. Non ho mai conosciuto un uomo (o una donna) di “potere” – sia pure di poterino poetico e letterario – disposto a riconoscere il merito di un giovane e a valorizzarlo, disposto a trattarlo da pari a pari. Umanamente, dico, perché è ovvio che dal punto di vista professionale un giovane ha tutto da imparare. Ma anche le persone più intelligenti sono poi inaspettatamente sensibili all’adulazione, desiderano venerazione, lodi sperticate, occhioni spalancati e stupiti, approvazione acritica e bavosa. Perfino Babbo Natale va adulato incondizionatamente. Ma per farlo bisogna averne la stoffa: non ti puoi improvvisare adulatore (altrimenti detto leccaculo), se non ce l’hai nel sangue. Non sei credibile e risulti ancora più fastidioso. Come ogni creatura indipendente. Immagino esistano eccezioni. Come alla lotteria. Come in amore. Ma è tutta questione di culo. Nessuno è artefice del suo destino.

       Ha avuto anche lei un'esperienza simile a quella di Federica nel campo lavorativo?

    Diciamo che Federica in molti casi fa quello che sarebbe tanto piaciuto fare a me. Ma che non ho potuto permettermi a mia volta di fare. Alla sua età ho sempre accettato lavori di merda per quattro soldi, spesso anche per gente che non stimavo. Non ho potuto mandare affanculo i personaggi grotteschi che Fede incontra, voltando loro le spalle senza rimpianto. Ma avrei voluto farlo. Così l’ho fatto fare al mio personaggio, come spesso avviene, perché in fondo loro sono di carta, non pagano le conseguenze delle proprie azioni, non devono davvero pagare l’affitto delle loro “similstanze”, né mangiare. A differenza di Federica io avevo un cv – variamente emendato e censurato – per ogni occasione. Troppo qualificata era spesso il verdetto e la condanna. La gente di solito non vuole persone troppo qualificate tra i piedi, persone che fanno troppe cose, persone curiose, che hanno troppe idee e iniziative. Hanno paura che una persona intellettualmente indipendente “alzi la cresta”, che sia presuntuosa o pretenziosa. Magari che voglia pure essere pagata il giusto. La persona qualificata è scomoda, rompe i coglioni, diciamocelo. Rischi che ti metta in discussione. Puoi presentarti con tutta l’umiltà del mondo, con tutta la voglia di lavorare e imparare del mondo. Il cv ti tradisce sempre. E anche il tuo sguardo. Anche se il cv di fatto non dice niente, almeno non tanto quanto lo sguardo. Perché quello che so fare non l’ho imparato certo lungo i percorsi istituzionali che ho seguito, all’Università o durante i master e i corsi di (de)formazione. Anche perché nessuno ti può insegnare a scrivere o a tradurre. Semmai ti possono insegnare a fare il p.r. e a “sfruttare le occasioni”. Cosa che non ho mai voluto imparare a fare.

       Qual è stata la scena più difficile da scrivere ?

    Non ricordo bene… probabilmente l’inizio, come tutti gli inizi. Poi ricordo che il resto del libro venne di conseguenza. I personaggi cominciano a perseguitarti al supermercato, mentre corri, mentre passeggi per le strade, mentre fai la doccia. Vogliono essere scritti, parlati: ti assillano, ti dettano dialoghi e situazioni. La cosa più difficile è sempre il lavoro di lima successivo.

        I personaggi nel suo libro sono completamente inventati o sono ispirati da persone esistenti ?

    Tutto ciò che scrivo viene dalla realtà e dall’esperienza. Credo che non si possa scrivere di altro. I personaggi della Collezionista sono nati per condensazione e spostamento. Ciascuno di loro è un tipo, spesso una caricatura, che condensa in sé le caratteristiche di più di una delle persone che ho incontrato nella realtà. Nessuno di loro è una persona sola. Altrimenti la collezione di Federica sarebbe stata infinita e ripetitiva. Perché i tipi e le situazioni umani si ripetono sempre senza troppa fantasia.

        Cosa direbbe ai ragazzi che si trovano nella stessa situazione di Federica, o in       una ancora peggiore ?

    Potrei dire, come fa Federica, trovati una raccomandazione. Ma credo che molti giovani oggi lo sappiano bene. Sono cresciuti coi talent della De Filippi, con l’idea che tutto ti sia dovuto e che si possa accedere alla celebrità da un giorno all’altro, senza faticare troppo per dare forma al proprio talento. Sono cresciuti con gli youtuber e gli influencer, persone premiate per essere mediocri, per non saper fare nulla, per improvvisarsi. Credo siano loro oggi gli esempi. Non certo chi si fa il mazzo per migliorarsi senza mai accontentarsi, chi fa fatica, chi lotta ogni giorno per crescere, chi il potere l’ha gettato dalle mani. I giovani di solito vengono da me freschi di laurea e vogliono sapere come accedere alle “riviste che contano”, come farsi invitare al tal festival o al talaltro, come raggiungere questo o quell’altro. Vogliono che sia assegnato loro un libro da tradurre e fissato un “congruo compenso”, senza neppure fare una prova di traduzione. Non accettano consigli sulla scrittura, figuriamoci le critiche. Quindi io mi sento sempre la persona meno indicata per dare consigli, o almeno il genere di consigli che la maggior parte delle persone vogliono sentire. Per questo ci sono i tanti Pippobaudi e le tante Mariedefilippi della letteratura, che ti mettono un microfono in mano e ti celebrano sui social come il novello Rimbaud o il nuovo top gun della traduzione, con la foto Durbans di te fresco di parrucchiere. Quello che posso consigliare io è di non perdere tempo con me. Di attaccarsi alla giacchetta di quelli che contano, di adularli e assecondarli. Di esserci sempre, essere ovunque. Oggi poi ci sono anche i social per raggiungere chiunque e nutrire il suo ego di like in qualunque momento, qualunque cazzata pronunci. Così si hanno più probabilità di essere al posto giusto, al momento giusto, con la persona giusta, le parole giuste, ecc. Io non sono sicuramente la persona giusta. Mi sconsiglio caldamente.
    Se invece mi venisse a trovare l’ultima sperduta Federica superstite le direi: non perdere tempo in manini e maneggi e armeggi. È così piccola la posta in gioco. Non vale la tua libertà e onestà intellettuale. Non la varrebbe neppure se fosse enorme e non ha nulla a che fare con la tua felicità. Piuttosto studia, leggi, corri, traduci, sii felice. Cerca il Sole, l’aria, la gente, gli animali. Dedica a loro il tuo tempo, perché è da lì che arriva la scrittura più vera. Godi come un riccio di quello che fai. Spaccati la testa su ogni singola parola, come se da ogni tua singola parola dipendesse la salvezza del mondo. Divora tutti i libri che puoi, studia, lavora, non accontentarti mai. Butta 10.000 poesie prima di pubblicarne una. Prima lasciale in purgatorio per mesi e vedi quale si salva, sempre che se ne salvi qualcuna. Non pubblicare ovunque ti capita. Non partecipare a cordate antologiche di poeti sul trend del momento e accozzaglie festivaliere che non hanno il coraggio di fare differenze. Non buttarti nel grande minestrone della letteratura per tutti. Cerca rapporti veri, rapporti alla pari, cerca persone che davvero stimi, anche se non hanno soldi né potere, anche se fanno la fame. Valle a stanare. Non cercarle ai festival e alle letture e sui giornali. Non concedere autorità e autorevolezza a chi non la merita ai tuoi occhi. Ma soprattutto: non scrivere a Babbo Natale, non spedirgli cv. Non sprecarci neanche il tempo e il francobollo. Babbo Natale non sta dietro a una scrivania e nessuno sa il suo indirizzo. È probabile che viva di espedienti, che faccia fatica a tirare avanti. Cercalo per le strade, guardalo negli occhi. Lo riconoscerai all’istante.


    Secondo lei, si può fare qualcosa per migliorare il fenomeno della disoccupazione in Italia?


    Penso che ci vorrebbe una rivoluzione. Ma il ’68 insegna che chi crede davvero alla rivoluzione finisce male. Gli altri accedono al potere, si sistemano e perdono l’ansia di rivoluzione, diventando esattamente come le persone contro cui protestavano. Perché in realtà volevano essere al loro posto, avere potere. Va a finire sempre così. Tutti i guerrafondai e i ‘duri e puri’ della mia generazione che conosco hanno abdicato a tutti i loro bei principi, alla loro voglia di cambiamento e ai nostri bei discorsi appena hanno trovato un posticino al Sole nel sistema. La loro rabbia nasceva solo dall’esclusione. Dopo anche tu diventi un fastidio. Un testimone scomodo da eliminare.
    Ora come ora il cambiamento lo vedo impossibile. Il discorso sarebbe lunghissimo. Prendiamo solo il campo intellettuale. Nel campo intellettuale tutto si fonda sul commercio e sullo scambio di favori. Faccio solo due esempi. Quando finii il dottorato, mi dissero: “non fare quel concorso. Non è il tuo concorso”. “Il mio concorso? Ma siamo pazzi? Io non voglio il mio concorso! Io voglio combattere ad armi pari!” Pensai io. Alla prospettiva di dover attendere il tuo concorso, che ovviamente non arriva mai se non hai un pigmalione e non sei l’amante, il figlio, il parente di qualcuno, ho deciso che la carriera universitaria non faceva per me.
    Una volta, il giurato di un importante concorso letterario mi disse: “Ma tu lo conosci il presidente di giuria?”. Dissi: “sì, sì, certo! Conosce già bene il mio lavoro”. E lui mi disse: “No, intendo: lo frequenti abitualmente? Gli telefoni? Stacci dietro, fatti sentire!” Ovviamente risparmiai i soldi della spedizione. Certo, non va sempre così. Ci sono anche eccezioni di copertura, contentini lasciati ai poveri, come briciole gettate ai cani sotto il tavolo dopo il cenone di Natale. Che è la botta di culo su cui conta Federica e che di tanto in tanto è capitata anche a me.
    Ma la botta di culo non è la regola su cui contare per mangiare. È l’eccezione. Cosa mai potrà cambiare se la gente accetta che esistano concorsi ad personam e si organizza di conseguenza… In fondo è molto più facile amicarsi quelli che contano (al massimo fino a dieci), leccare culi, preparare caffè e andare ai cocktail, che farsi il mazzo a lavorare da soli in una stanza in silenzio. Per fare questo devi considerare la scrittura una missione, una religione, con una sua Regola. Molto meglio l’eterno carnevale.
    Credo che ora come ora si possa cambiare soltanto la propria situazione individuale. A meno di miracolose quanto improbabili botte di culo, credo che per una persona integra, non disposta a compromessi e incapace di venerazione acritica non ci sia posto nel campo del lavoro intellettuale oggi. Credo che quel posto se lo debba creare, che un lavoro se lo debba inventare, reinventando anche se stesso, acquisendo più competenze possibili, tuffandosi nel vuoto senza appiglio. Senza nemmeno pensare al futuro, ma solo alla sopravvivenza giorno per giorno. Anche perché le persone libere sono molto malviste dal sistema, che ti renderà la vita molto dura. Anche quando stai nel tuo e non rompi i coglioni a nessuno. Soprattutto in quel caso. Perché il delitto peggiore è non chiedere, non avere bisogno di loro.
    Credo che l’unica strada percorribile e realistica, ora come ora, sia quella del cambiamento individuale, quella della libera professione. Ma non ci si lasci fuorviare dalle etichette di comodo. Il ‘libero’ professionista non è affatto libero. Il libero professionista vive senza paracadute. Il libero professionista non ha orari, né vacanze, non conosce week end, né congedi. Non ha neppure la libertà di ammalarsi. Non è affatto svincolato da doveri, ma tenuto a servire il suo socio parassitario, ingordo e invadente: lo Stato. E lo Stato è acerrimo nemico del piccolo imprenditore, cui porta via gran parte dei guadagni senza restituirgli in cambio alcuna garanzia. Del resto la libertà e la dignità sono i beni più preziosi. Perciò li paghi a prezzi d’inflazione.

         Ci sono delle scene che ha deciso di non includere nel manoscritto finale ?

    No, non ci sono scene censurate dalla Collezionista.

         Ha mai pensato di scrivere un seguito per La collezionista?

    Dopo La collezionista ho scritto quattro romanzi non destinati alla pubblicazione, ma che in qualche modo forse avevano a che fare con Federica. Poi ne ho scritto un altro, nel 2007, concepito proprio come un sequel e da me ritenuto pubblicabile, anche se non molto gentile con poeti e letterati. Si chiama La stagista. Ovvero senza principi (accento da porre a piacere). Il libro piacque ad Aldo Nove, che decise di pubblicarlo nella collana Neon che dirigeva per Tea. Poi la collana chiuse e non se ne fece nulla. Come vincere alla lotteria e non trovare più il biglietto. Alla fine anche io non ne ho fatto nulla, perché non credo che in una casa editrice (non a pagamento) ci sia un altro Aldo Nove che si metta a leggere manoscritti di un nessuno qualunque. E anche se per una svista ci fosse, non credo esista un editore abbastanza coraggioso da pubblicare una satira feroce dell’editoria e dell’ambiente letterario che tratta tutti gli argomenti di cui ho accennato in questa intervista. E molti di più, e molto scomodi. Anche se quattordici anni fa non avevo ancora visto nulla.
    Può darsi che un giorno lo butti in rete come consiglio e monito a chi vuole intraprendere questa strada. Così magari fa in tempo a rifugiarsi in una baita sui monti dove coltivare qualche illusione superstite. E perpetrare lo sgarbo di uno sguardo innocente sul mondo.


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