venerdì 30 giugno 2017

Pietro De Sarlo tra "Amarcord" e "C'era una volta in America"

Fra Vecchio e Nuovo Mondo, fra peccatucci di paese e omicidi a sangue freddo, fra ricordi malinconici e veri e propri incubi, c’è L’Ammerikano.







Titolo: L’Ammerikano
Autore: Pietro De Sarlo
Editore: Europa (Edificare universi)
Data di uscita: 22 novembre 2016
Pagine: 204; prezzo: 9, 49 (ebook); 12, 67 (cartaceo)
ISBN-10: 8893840391


Il tranquillo scorrere della vita a Monte Saraceno, un piccolo paese dell’Appennino lucano, viene sconvolto dall’arrivo di un uomo dal passato oscuro e inquietante: l’Ammerikano.

Wilber Boscom, l’ultimo discendente di una coppia emigrata clandestinamente negli Stati Uniti, ha appena portato a compimento la sua personale e atroce vendetta contro una famiglia mafiosa italo-americana, gli Zambrino, ed è per questo costretto a fuggire per evitare sanguinose ritorsioni. Ma appena l’uomo approda nel piccolo centro all'ombra dei pozzi di petrolio della Val D’Agri, il suo passato si intreccia con la placida realtà del luogo, alterandone inevitabilmente gli equilibri e innescando una sequenza di eventi che vede in Vincenzo, un suo lontano parente, un contraltare perfetto del protagonista.
La fitta trama di questo libro si snoda in modo piacevole, alternando tragedia e commedia, noir e rosa, ma tenendo sempre alto il livello emotivo della narrazione, e ciò che scorre sotto la superficie del romanzo, condotto con uno stile avvincente e al contempo ironico, è una sovrapposizione di strati splendidamente contrastanti, dove finanza e traffici internazionali si mischiano alle tradizioni e ai vizi di un’Italia che non c’è più. Che crediamo non ci sia più…


L’ultimo romanzo di Pietro De Sarlo permette infatti la coesistenza tra elementi molto diversi, quasi opposti: da una parte abbiamo la piccola realtà di Monte Saraceno, un paesino che l’autore dipinge con ironia a volte severa e a volte vellutata, come sorridendo della semplicità dei personaggi; dall’altra si trova uno straniero che, pur arrivando dalla terra dorata oltre l’oceano, ha vissuto tutto fuorché il sogno americano e di certo non viene per portare ricchezza e speranza: Mètthiiu non è un nuovo Prometeo giunto a donare il fuoco (o i propri soldi) ai parenti italiani, è un uomo fuggito dai tormenti di un’America poco ospitale, almeno per lui.
Così, “l’ammerikano” è destinato a riversare nelle esistenze dei suoi ospiti un segreto che forse loro avrebbero preferito ignorare, continuando a vivere magari in miseria ma serenamente.
In fondo, tutto dipende dallo scopo: lo scopo di Mètthiiu, lo scopo di Vincenzo e sua moglie, quello dei curiosi del paese e quello di chi sa fare il politico; le trame ordite da ognuno dei protagonisti si intrecciano per condurre al finale e alle motivazioni che lo provocano.

Ecco allora un libro che in alcuni capitoli ci racconta le mille vicende degli abitanti di Monte Saraceno come in un vecchio film di Fellini, mentre in altri ci fa sobbalzare con un colpo di pistola sparato all’improvviso: c’era una volta in America, e c’era una volta “l’ammerikano”…



Ed è con molto piacere che vi presento la bella intervista che l'autore mi ha gentilmente concesso!


Ciao, Pietro! Sono contenta che tu abbia accettato di parlarci del tuo ultimo romanzo, L’Ammerikano: pronto per cominciare?

Grazie a te per l’attenzione e per il tempo che mi dedichi.


Vincè i tempi duri so’ finiti: è arrivato l’ammerikano che è pure parente tuo” (pag. 41).
Ecco una delle frasi a mio parere più significative di tutto il libro: nell’atteggiamento di Rosa, che pronuncia queste parole, ho ravvisato la volontà di trasformare una condizione di vita mediocre in un futuro florido per mezzo dell’Ammerikano. Il desiderio (poi frustrato) di “fare fortuna” è l’elemento centrale di un’opera importantissima, I Malavoglia di Giovanni Verga… Esiste una vaga somiglianza tra la tua storia e quella di Verga?

Indubbiamente la parte della storia che si svolge a Monte Saraceno può evocare Verga e i Malavoglia perché, come la famiglia Toscano protagonista del romanzo verghiano, anche Rosa e tutti i cittadini di Monte Saraceno fanno parte degli sconfitti da quella che Verga definiva “ la fiumana inarrestabile del progresso” che vanifica anche tutti i sogni di riscatto e affermazione dei protagonisti saracenesi del mio racconto. Da questo punto di vista anche il mio romanzo potrebbe inserirsi nel “Ciclo dei Vinti”. Di Verga c’è anche la coralità della narrazione dei fatti avvenuti a Monte Saraceno. Ma non credo che si sia solo Verga nel mio romanzo, nel senso che sono tante le letture che hanno influenzato, consapevolmente o meno, il mio modo di raccontare e di scrivere. Cassola, Silone e Pavese, che hanno raccontato le storie di una Italia minore, di piccoli borghi anche questi sacrificata sulla via del progresso o della evoluzione della storia. In modo consapevole mi sono invece ispirato al teatro di Eduardo de Filippo in alcuni dialoghi. C’è invece un’altra parte del romanzo, quella del doloroso percorso formativo del protagonista Wilber Boscom, l’Ammerikano, dove cambio registro narrativo e, anche in questo caso, c’è l’eco di letture remote o più recenti di cui lascio al lettore la scoperta. In più, rispetto al romanzo di Verga, c’è però il fatto che mentre la famiglia Toscano cercava al proprio interno la forza per costruire la propria fortuna, nella comunità saracenese questa forza interna non c’è e si affidano tutte le speranza al “deus ex machina”, l’Ammerikano, a cui si affida il compito di risolvere la triste condizione della comunità.


Da come scrivi si capisce bene che provi affetto per i tuoi personaggi, per ogni nome citato anche solo per poche righe. Ti sarebbe piaciuto vivere in questa Monte Saraceno con Vincenzo, Carmela, Gina e naturalmente Métthiiu?

Monte Saraceno è un nome di fantasia, ma è anche un luogo dello spirito. Quello dove ho trascorso la mia infanzia felice popolata da tutti i protagonisti del mio romanzo. Personaggi che sono l’archetipo degli abitanti di tutti i paesi di montagna, di tutte le piccole comunità. In ciascuno di questi paesi c’è un pirandelliano Vincenzo, una prosperosa Carmela, una spregiudicata Gina e un emigrante che ritorna dopo aver fatto fortuna altrove e che viene ben accolto ma , di la dalle apparenze, viene vissuto come un corpo estraneo. Dall’Ammerikano non ci si aspetta che prenda in mano la guida della comunità ma solo che compia, proprio come un vero “deus ex machina” della tragedia greca, una serie di piccoli miracoli che risolvano le aspettative individuali deluse da una vita. Che crei il famoso posto utile a se stessi o ai propri figli ma che non si occupi di creare opportunità per tutti. L’importante è che la comunità, oltre a chiedere, non debba fare nulla per uscire dalla propria condizione. Sono  comunità che anno dopo anno si  indeboliscono economicamente e culturalmente e che rischiano di sparire. Monte Saraceno è anche il luogo della nostra cattiva coscienza che dimentica il fatto che l’Italia è prevalentemente montuosa. E’ nella montagna che c’è parte del nostro DNA. Inoltre i nostri piccoli borghi sono pieni in ogni angolo di piccoli e grandi capolavori di cui ci ricordiamo solo quando la forza distruttiva dei terremoti li rade al suolo.


L’arrivo dell’americano sconvolge una realtà forse non proprio felice ma di sicuro stabile, tranquilla, semplice: nei capitoli iniziali ho avvertito una sensazione di calma prima della tempesta, come se tra il momento in cui Vincenzo rincasa e quello in cui gli viene annunciata la presenza del parente straniero passasse un secolo. Sarebbe giusto parlare di una Monte Saraceno pre-americano e una post-americano?

Credo che tu abbia colto ne segno. L’Ammerikano passa a Monte Saraceno proprio come una tempesta. Rompe gli equilibri, sveglia passioni, crea attese, spariglia le carte, dà persino l’impressione che ci possa essere un futuro diverso per la comunità. Ma, proprio come dopo una tempesta, l’aria sembra più tersa, più pulita per un po’ ma rapidamente tutto torna come prima.


Hai mai avuto un parente americano? Voglio dire, hai mai sognato di poter realizzare i tuoi sogni grazie a un elemento fortunato o a un’occasione da non perdere?

Non ho parenti americani e, come tutti, di tanto in tanto tento la fortuna giocando al super enalotto o acquistando qualche biglietto del gratta e vinci, ma senza troppa convinzione. Una delle domande del romanzo è: quanto della nostra vita dipende dal destino e quanto dalla nostra capacità di costruirci un futuro? In modo particolare spesso il protagonista, Wilber, sembra essere più uno spettatore o meglio l’interprete di una parte già assegnata. Però ha sempre la possibilità di fare scelte diverse e di poter sfuggire alla propria sorte. Questa domanda credo che tutti se la siano posta almeno una volta nella vita e credo che nessuno abbia la risposta definitiva. Insomma ogni tanto tento la carta della fortuna ma solo per non dare alibi al destino, che magari vuole farmi ricco senza che io faccia fatica.


Chiacchierare con te è stato molto bello, ti ringraziamo di cuore e speriamo che il tuo romanzo possa avere tutto il successo che merita. A presto!

Grazie di nuovo a te. 



Articolo e intervista a cura di Elisa Costa

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