venerdì 30 dicembre 2016
; punto e virgola in patria: Frigento 4 gennaio 2017
Un incontro che vi donerà belle emozioni. Info sul libro (vincitore del concorso Faraexcelsior) e l'autore Francesco Di Sibio in www.faraeditore.it
Qui sotto alcune foto dell'avvincente e partecipata presentazione:
Perdono a Fonte Avellana 7-9 luglio 2017
Invito alla kermesse fariana
Fonte Avellana 7-9 luglio 2017
Perdono: dal rancore che spezza al ricordo che ricompone
Perdono: dal rancore che spezza al ricordo che ricompone
Trattenere la rabbia e il rancore è come tenere in mano un carbone ardente
con l’intento di gettarlo a qualcun altro: sei tu quello che viene bruciato. (Buddha)
v. Programma e Fogliettone
(lo Scriptorium avellanita calcato da Dante) |
È un processo che implica tempo: per perdonare è necessario prima accettarsi, perdonarsi (ciascuno ha in sé lati oscuri e ha fatto azioni non buone in vario grado di cui si è poi pentito). La scrittura, la poesia, la musica, l’arte possono attivare questo processo, renderlo possibile?
Il tema può essere declinato con la massima libertà: una riflessione, un reading poetico, un racconto, una piccola performance teatrale e/o musicale, un’opera d’arte, un mini laboratorio… ci riuniremo anche nello Scriptorium (v. foto) calcato da Dante. La kermesse, calorosamente ospitata dai monaci camaldolesi (in primis dal priore Gianni Giacomelli www.fonteavellana.it) nello splendido monastero di Fonte Avellana alle pendici del Catria, è aperta a tutti gli interessati credenti e non (anche come semplici uditori, che possono comunque intervenire nei numerosi dibattiti). V. ad es. farapoesia.blogspot.it/il-tempo-del-padre-fonte-avellana
Si parte puntuali alle 15.00 di venerdì 7 luglio 2017 per finire alle 17.30 di domenica 9 luglio 2017. Il costo totale del soggiorno dalla cena di venerdì al pranzo di domenica è di € 110,00 (€ 90,00 a testa per chi sta camera doppia o a più letti e solo € 80,00 per chi ha meno di 35 anni). È possibile prolungare il soggiorno e pranzare già da venerdì (ogni pasto extra € 15,00) accordandosi direttamente con i monaci). Ricordarsi di portare lenzuola ed asciugamani. È richiesta la presenza per tutta la durata della kermesse: questo per creare un'atmosfera conviviale di attenzione ed ascolto, rispettare il silenzio e la vita liturgica e i momenti di preghiera dei monaci (ai quali chi vuole potrà partecipare) e staccare veramente, sia pur per pochi giorni dal rumore quotidiano. Si possono portare libri, cd e altro materiale per vendite/scambi informali e autogestiti o per donarli al monastero. Chi suona uno strumento è pregato di portarlo.
Le prenotazioni (anche dei pasti extra soggiorno) vanno fatte con sollecitudine allo 0721-730261 (si prega di telefonare intorno alle 13,00 o dalle 20,00 alle 21.00) o via mail a foresteria@fonteavellana.it inviando contestualmente a info@faraeditore.it una breve e simpatica biografia di 5 righe, una foto e il titolo del proprio intervento di max 15 minuti (da calibrare con cura per non togliere spazio agli altri relatori). Le adesioni dovranno pervenire entro il 1° marzo 2017 e saranno accolte in ordine di arrivo e fino ad esaurimento degli spazi disponibili). Grazie per essere con noi e per la diffusione a chi ritenete interessato a questa esperienza che aiuta a fare silenzio, ad ascoltare, a condividere e a staccare per qualche giorno dai “rumori” tecnologici e non solo.
Alessandro
www.faraeditore.it
twitter.com/faraeditore
lunedì 26 dicembre 2016
Contro la violenza sessuale: è uscito il libro "Eva non è sola" a cura di Lorena Marcelli
Articolo di Lorenzo Spurio
In
questo volume antologico curato dalla scrittrice abruzzese Lorena Marcelli
trovano posto racconti e poesie di vari autori contemporanei che hanno aderito
alla causa di denuncia contro l’inarrestabile fenomeno della violenza di
genere. In particolar modo è nei contributi narrativi che i vari autori sono
riusciti a rendere con tocchi di alta qualità linguistica e perfetta padronanza
del genere, i degradati ambiti relazionali e sociali, le aridità umane e i
nevrotici meccanismi della mente che sono protagonisti di storie inenarrabili e
dolorose dove è la sregolata azione umana a dettare le esistenze dei suoi
simili.
Uomini
soli o scontenti, delusi e incompresi o più spesso maneschi ed ossessionati,
profondamente gelosi e dalla cultura fondata su una impostazione retrograda e
patriarcale, come i peggiori mostri o caratteri maligni della fiaba più
terrificante, mostrano tutte le loro ambiguità di fondo, le debolezze
mascherate dall’adozione della violenza e dalla manifesta supremazia. Sono
descritti scenari familiari e relazionali alquanto difficili dove la
comprensione per le donne sole e dominate sembra essere la grande assente,
tanto da spingere le malcapitate a una fuga dal contesto domestico che difficilmente
riesce a compiersi perché –per citare dal racconto di Corinne Savarese- “la
sofferenza è un mantello gelido che cala addosso e toglie il sole”.
Due
date importanti nella legislazione del nostro Paese che hanno concesso alla
donna una maggiore possibilità di tutelarsi e di rivendicare il proprio stato
d’abnegazione indotta e di vera e propria schiavitù sono rappresentate dall’abrogazione
del cosiddetto delitto d’onore[1] (1981)
e dal riconoscimento del femminicidio quale reato propriamente detto (2013) che
prevede un inasprimento della gravità nei confronti degli atti persecutori (stalking) commessi od omicidio contro il
partner, coniuge o convivente.
Un
programma televisivo come “Amore criminale” (Rai3), il prossimo anno alla
decima edizione, risulta essere uno dei format di denuncia alla violenza
sessuale più seguiti e sarebbe senz’altro stato impensabile solamente venti o
venticinque anni fa quando la violenza sulla donna veniva denunciata molto
meno, malcelata o sviata in modi e forme che contribuivano alla
decolpevolizzazione del gesto verso l’uomo e alla mancata protezione sociale
verso la donna. Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare di violenza
sessuale anche per mezzo di un’ampia campagna volta alla denuncia e alla
coscienziazione su quanto sia ulteriormente peggiorativo e lesivo della persona
interessata e della società celare, tentare di annullare o archiviare un dato
episodio di violenza. La casistica che si presenta all’interno di una coppia dove
l’uomo giunge all’adozione spregiudicata della violenza è per lo più similare
se non addirittura un copione ormai troppo noto che si ripete assai
frequentemente.
Denunce
di stalking fatte ed archiviate,
denunce di violenza che impongono l’uomo a stare lontano dalla casa e dal
raggio d’azione della donna, affido unico dei minori alla madre e soprattutto
l’evidenza della fine del rapporto sono i temi cardine dai quali si sviluppa
furiosa l’energia dirompente e annullante dell’uomo. Compreso che l’altra metà
non è più in qualche modo suggestionabile e assoggettabile, l’uomo –come
sospinto in un retrogrado recupero dello stato di natura- perde ogni
peculiarità propria del genere umano e si brutalizza. Come un animale selvaggio
impiega la forza per ottenere ciò di cui ha bisogno, una volta che il
ragionamento, il dialogo, il desiderio di una crescita hanno dimostrato
l’inefficacia nel suo ferino percorso di depredazione. Ecco che gli istinti di
morte sopravvengono in maniera incontenibile sfociando su ciò che fino a poco prima
era stato l’oggetto dell’amore, la donna della propria vita, la compagna di
un’intera esistenza. Non sono infrequenti, infatti, fenomeni di femminicidio
anche all’interno di coppie unite in matrimonio da vari decenni. Il
femminicidio non è un fenomeno mappabile per età, livello culturale, geografia,
condizione economica, confessione religiosa, etc. perché –lo si è visto dalla
cronaca- interessa fasce generazionali diverse, intacca persone dall’alto
profilo umano come pure persone modeste, che conducono una vita semplice. Se la
cultura potesse intervenire a sanare questo difficile problema, che ha assunto
i tratti di una realtà endemica, allora si potrebbe lavorare in questa direzione
per non consentire che strati disagiati ed emarginati della società cadano in
questo baratro ma purtroppo il livello culturale, l’apertura nei confronti
della società, il grado di istruzione etc. non sono paradigmi che incidono
direttamente su questo tipo di relazioni malate, su questi accecamenti della
psiche quando tutto viene travolto da un annebbiamento pauroso della mente dal
quale non è possibile mettersi in salvo.
Ecco,
allora, che progetti come questo curato da Lorena Marcelli possono essere utili
nella società frammentata dell’oggi dove il problema è sempre più concreto
tanto da poter riguardare la nostra vicina di casa come pure una nostra amica
che, per vergogna, riesce a tenere tutto nascosto sino a che non si presenta un
episodio critico che palesa la situazione di inadeguatezza e sofferenza.
Parlare del femminicidio e della violenza in genere non serve a risolvere né a sanare un problema talmente vasto e radicato, purtroppo, in un certo tipo di cultura che, se per molte cose può dirsi all’avanguardia e innervata su un rimarchevole sviluppo umano, dall’altro canto è essa stessa erede di una forma pregiudiziale, maschilista e patriarcale, di quel patriarcato austero di provincia relegato in famiglie spesso numerose ma dove l’orrore è un fatto facile e genetico da nascondere.
La
società d’oggi, suggestionata da continui casi d’inciviltà e di sfruttamento è
ben informata su cosa è richiesto di fare, rispondendo alla propria coscienza e
all’impegno etico di chi è cittadino del mondo, dinanzi a casi d’abuso, di
violenza, di sottomissione e, in ciascun modo, di emarginazione e annullamento
dell’identità altrui. Permangono delle nocive sacche di resistenza
rappresentate dall’omertà e dall’indifferenza, le due spregevoli sorelle che
ancora sembra difficile da battere, complice quella cultura della tradizione e
della strenua difesa dell’onore che in molti ancora non sono in grado di
svilire, neppure al costo del salvataggio di una vita.
C’è
poi la questione religiosa che non è da sottovalutare. La vecchia Europa è da
anni il bacino d’approdo di numerose famiglie di altre parti del mondo, spesso
di fede musulmana. Figlie di berberi che in Europa cercano di condurre la vita
familiare nella piramidale organizzazione della società com’è nella loro
cultura patriarcale e dispotica che, invece, fanno loro il nuovo stile di vita,
quello italiano per l’appunto, senza indossare l’imposto velo, ricorrendo ai
trucchi, scegliendo abiti colorati e moderni e dedicandosi in maniera
particolare alla cura del corpo. Indimenticabile la vicenda della povera Hina Saleem
che alcuni anni fa venne massacrata dal padre, dallo zio e da altri uomini
della sua famiglia con la colpa di aver voluto vivere all’occidentale, di aver
voluto indossare jeans e prendere parte alla normale vita sociale come le sue
coetanee. Si tratta, allora, in questo caso di adoperare una piccola rettifica
in merito a quanto esposto precedentemente circa il fattore culturale quale
elemento incidente o meno in episodi di violenza di genere. La questione si fa
oltremodo articolata tenendo in considerazione che in quella circostanza, come pure
in altre simili, alcuni esponenti della comunità islamica non mancarono di
prendere le distanze dall’esecrabile gesto.
Con
questa opera si dà voce a chi l’ha perduta perché gli è stata tolta, alle donne
che sono state imbavagliate, malmenate e costrette al silenzio, a tutte quelle
persone che vivono nel tormento una condizione di profondo dolore, depressione
e la convinzione di essere nulli per se stessi e per il mondo tutto. Vittime
sacrificali di una crudeltà che è la vita degenerata della società d’oggi dove
il sentimento e il rispetto finiscono per essere poca cosa quando si viene
accecati dalla gelosia, dal risentimento, dall’odio e dalla necessità di
rivalsa.
Il
volume Eva non è sola curato da
Lorena Marcelli si avvale del sostegno di amministrazioni pubbliche locali che
hanno apprezzato l’esimio lavoro promosso riconoscendolo come degno di spessore
a livello sociale, tra di loro la Provincia di Teramo e il Comune di Roseto
degli Abruzzi dove si è tenuta la presentazione ufficiale del volume il 25
novembre u.s. presso la Sala Consiliare. A seguire l’antologia è stata proposta
anche a Campobasso, Termoli e Pescara e tra le prossime tappe che la vedono
protagonista figurano L’Aquila (il 18 gennaio) e Giulianova (il 20 gennaio). Il
costo contenuto del volume (10€) permette una lettura non facile né dolce ma
ricca di spunti di analisi tanto da rinvigorire quell’impegno socio-civile spesso
tiepido e vacuo, a favore di una battaglia che è indistintamente di tutti.
Affinché Eva non sia sola è necessario, però, sradicare il pregiudizio,
archiviare i superomistici spiriti d’orgoglio maschile ed impiegare il
cervello, unico mezzo che può consentire di comprendere la realtà. La violenza
non è dell’uomo e quando egli se ne appropria deve essere condannato duramente
senza scusanti di sorta.
La curatrice del volume
LORENA MARCELLI vive in Abruzzo. Con lo
pseudonimo di “Laura Fioretti” ha pubblicato i romanzi Uno strano scherzo del destino (2014), Per averti (2014) e Avrò cura
di te (2015). Nel 2014 è risultata vincitrice assoluta del Concorso
Nazionale indetto dall’editore Marcelli di Ancona nell’occasione del 50esimo
anno di attività con il thriller storico L’enigma
del Battista. In digitale ha pubblicato, con i tipi della Casa Editrice
EEE, i romanzi La collina di girasoli
(2015) e Un’altra direzione (2016).
Jesi, 22-12-2016
[1] In Italia, come
in altri paesi dell’Europa, veniva riconosciuto un attenuamento sensibile di
pena o addirittura la cancellazione di pena in determinate circostanze nelle
quale un crimine commesso interessava questioni di difesa dell’onore familiare.
Vale a dire il genitore che uccideva la figlia perché questa si era unita
sessualmente con un uomo diverso dal marito da lui ordinatole, contravvenendo a
infangare il suo onore e la rispettabilità della famiglia, non era propriamente
un reato ma un’azione preventiva e sanzionatoria in qualche modo concessagli
dallo stato. Il crimine non veniva considerato in quanto tale ma era valutato
in base alle logiche relazionali tra gli intervenuti e le ragioni che portavano
all’assunzione di quel dato gesto omicida.
giovedì 22 dicembre 2016
I vincitori del concorso Narrabilando
Fara Editore e la giuria della prima edizione del Concorso Narribilando nelle persone di Angelo Leva, Antonella Giacon, Francesco Di Sibio e Graziella Sidoli, che ringraziamo di cuore per l'ottimo lavoro di selezione e valutazione, sono lieti di comunicare la classifica dei vincitori.
[Simone Mazza è nato e vive a Parma; coniugato, con due figli. Insegnante, esperto di ITC, provider di servizi web, formatore, la scrittura è la sua grande passione. Dal 2006 a oggi ha pubblicato cinque ebook di didattica, quattro raccolte di racconti (una, La camera maledetta, per Fara) e altri suoi racconti sono presenti in sei antologie.]
«Scherzando, ammonivo che nell’Inferno di Dante, gli insetti pungessero coloro che non decidevano mai. “E infatti siamo soldati…” mi ha replicato asciutto il Nanni “decidono gli altri.”» (pag. 149). Il protagonista, chiamato dai commilitoni Lo Scrittore, narra i ricordi di guerra. Il testo è molto ben documentato, tra nomi propri delle armi e strofe di canzoni di battaglia e di riposo. Libia, Grecia, Germania... Forse un po’ troppo lungo il periodo storico preso in considerazione, ma traccia un ventaglio di storie in un’unica storia. (Francesco Di Sibio)
Un racconto in presa diretta, un diario istante per istante. La descrizione dei luoghi e dei tempi storici fatta con attenzione al dettaglio aumenta la curiosità del lettore che viene poi rinforzata dalla credibilità delle scene e anche dei commenti. È un racconto bello e fluido. (Angelo Leva)
«Un racconto che si fonda tutto sul valore della memoria, l'importanza di non dimenticare le migliaia di uomini morti in campagne belliche di cui via via il protagonista riconosce l'inutilità e l'orrore. Una storia in cui ciò che viene raccontato si fa paradigma di tutte le guerre passate e future, dove la retorica nasconde solo la totale indifferenza per il valore della vita.» (Antonella Giacon)
«Memorie di fango mi ha colpito il coraggio e la bravura di questo autore che con grande umanità, ironia e umorismo mostra le reali sfaccettature dell'individuo, qualunque sia la sua nazionalità o lealtà - in questo straordinario caso i protagonisti sono soldati italiani nel periodo peggiore del fascismo ( ben venga e finalmente ) - con una conoscenza storica che ci fa leggere per impararla meglio questa storia, e con un perfetto equilibrio di sviluppo dei personaggi del dialogo e della descrizione. Nessun sentimentalismo e nessuna glorificazione. Assente il pregiudizio. Con passaggi poetici molto belli. Finissima scrittura.» (Graziella Sidoli)
[La domanda è: chi sono? Vladimir Solov’ëv chiese alla Russia del suo tempo se fosse disposta a prendere una seria decisione: stare dalla parte di Serse o di Cristo. Io, come è vero che mi chiamo Serse, scelgo Cristo. Ma cosa significa questo nome? Dipende per chi. Seneca, ad esempio, non avrebbe dubbi al riguardo: «Serse! A Pizio, padre di cinque figli, che gli chiedeva l’esonero per uno, permise di scegliere quello che preferiva, poi fece squarciare in due parti l’eletto, ne pose i tronconi sui due lati della strada e, con quella vittima lustrale, purificò l’esercito. Ebbe il successo che meritava: sconfitto e messo in fuga in lungo e in largo, vedendo dovunque sparsi a terra i resti del suo crollo, dovette passare in mezzo ai cadaveri dei suoi». Invece, sfogliando il libro dei libri, leggo che la regina Ester si sposò con il re Assuero, salvando così il suo popolo dal massacro. Continuando a sfogliare altri libri imparo che Assuero è la traduzione latina del nome ebraico Kshajarsha (che significa “re”), in greco Xersès, ovvero Serse. Queste nozze regali mi risollevano il morale. Ma in tutto questo la verità è che non ho ancora risposto alla domanda iniziale: chi sono? Trovo nelle parole di Papini la miglior soluzione: «Tutta la mia vita è piantata su questa fede: ch’io sia un uomo di genio. Ma se invece mi sbagliassi, se fossi […] in una parola, un imbecille? […] Nulla di più, nulla di meglio!». Serse Cardellini è nato a Pesaro, ove risiede, il 06/05/1976. Sposato, è Presidente (non retribuito) dell’Associazione Culturale ThaumaEdizioni di Pesaro. Come poeta e filosofo lei si dichiara: “Colpevole!”]
«Un personaggio talmente ossessionato dall’originalità dell’idea che pensa di brevettare qualcosa di assoluto, così assoluto che crede di poter brevettare Dio…» (pag. 220). A cavallo tra Eco, Harry Potter e Il signore degli anelli. Il ritratto di carne mette ribrezzo e dà un senso pulp al testo. (Francesco Di Sibio)
«L'Ateone è come un puzzle che mi fa molto ricordare i racconti di Borges e la sua scuola latinoamericana di quegli anni. Pieno di bizzarri giri, racconto dentro un racconto, personaggi che pirandellianamente si mascherano e si appropriano di altri personaggi, commettono folli gesti e un continuo metalinguaggio sulla scrittura e la sacralità dello scrivere, e del libro. Filosofico, metafisico, cervellotico anche. Difficile, sfida il lettore. Affascinante. Ci sarebbe tanto di più da dire.» (Graziella Sidoli)
[PatriziaRigoni, scrittrice e sociologa, vive a Trieste e dal 2000, con AziendaParola, si occupa di formazione narrativa per aziende pubbliche, per operatori della sanità e della scuola, per Università, per gruppi privati e per associazioni del territorio. Ha pubblicato romanzi, poesie e racconti, oltre che saggi e libri di frammenti autobiografici dei gruppi che hanno seguito i suoi laboratori narrativi. Ha vinto numerosi premi letterari. Molte sono le collaborazioni a progetti culturali e sempre più le richieste di editing di aspiranti scrittori. Da due anni è Direttore artistico de la Rassegna Rose Libri Musiche e Vino che si tiene nel mese di maggio nel parco di San Giovanni, a cura dell’Agricola Monte San Pantaleone. Da qualche anno collabora con AcquaMarina e Annamaria Castellan. Nel 2011 ha ideato e realizzato la prima edizione dell’evento La Carica delle centoeuno, cui è seguita la seconda edizione regionale nel 2013. Nel 2014 ha aperto la Scuola di scrittura Sherpazade, una scuola che cammina e porta negli zaini i pesi delle parole. Una scuola per tutti. Web: www.patrizia.rigoni.it]
«Testo ricco di rimandi tra passato e futuro,intenso e profondo. Una scrittura molto curata e controllata nella sua semplicità. Amore per la vita, senso di continuità, senza mai scadere nel banale e nel patetico.» (Antonella Giacon)
III. classificati ex aequo
«I racconti brevi sono fatti bene, si lasciano gustare anche nella loro costruzione. Non hanno finali eclatanti ma ognuno porta un insieme di ricordi, di rimandi di vicende già vissute. Ma c'è anche il presentimento di messaggi nascosti che lascia vigile l'attenzione e che fa sembrare questo insieme di scritture un esperimento prima dell'avventura di un grande racconto. Resta alla fine, chissà perché, un'assonanza con la scrittura dei Racconti di Sebastopoli di Tolstoj.» (Angelo Leva)
Kronin di William Protti (Santarcangelo di Romagna) v. pagina del libro
Altre Opere votate
[Simone Mazza è nato e vive a Parma; coniugato, con due figli. Insegnante, esperto di ITC, provider di servizi web, formatore, la scrittura è la sua grande passione. Dal 2006 a oggi ha pubblicato cinque ebook di didattica, quattro raccolte di racconti (una, La camera maledetta, per Fara) e altri suoi racconti sono presenti in sei antologie.]
«Scherzando, ammonivo che nell’Inferno di Dante, gli insetti pungessero coloro che non decidevano mai. “E infatti siamo soldati…” mi ha replicato asciutto il Nanni “decidono gli altri.”» (pag. 149). Il protagonista, chiamato dai commilitoni Lo Scrittore, narra i ricordi di guerra. Il testo è molto ben documentato, tra nomi propri delle armi e strofe di canzoni di battaglia e di riposo. Libia, Grecia, Germania... Forse un po’ troppo lungo il periodo storico preso in considerazione, ma traccia un ventaglio di storie in un’unica storia. (Francesco Di Sibio)
Un racconto in presa diretta, un diario istante per istante. La descrizione dei luoghi e dei tempi storici fatta con attenzione al dettaglio aumenta la curiosità del lettore che viene poi rinforzata dalla credibilità delle scene e anche dei commenti. È un racconto bello e fluido. (Angelo Leva)
«Un racconto che si fonda tutto sul valore della memoria, l'importanza di non dimenticare le migliaia di uomini morti in campagne belliche di cui via via il protagonista riconosce l'inutilità e l'orrore. Una storia in cui ciò che viene raccontato si fa paradigma di tutte le guerre passate e future, dove la retorica nasconde solo la totale indifferenza per il valore della vita.» (Antonella Giacon)
«Memorie di fango mi ha colpito il coraggio e la bravura di questo autore che con grande umanità, ironia e umorismo mostra le reali sfaccettature dell'individuo, qualunque sia la sua nazionalità o lealtà - in questo straordinario caso i protagonisti sono soldati italiani nel periodo peggiore del fascismo ( ben venga e finalmente ) - con una conoscenza storica che ci fa leggere per impararla meglio questa storia, e con un perfetto equilibrio di sviluppo dei personaggi del dialogo e della descrizione. Nessun sentimentalismo e nessuna glorificazione. Assente il pregiudizio. Con passaggi poetici molto belli. Finissima scrittura.» (Graziella Sidoli)
v. il libro
«Un personaggio talmente ossessionato dall’originalità dell’idea che pensa di brevettare qualcosa di assoluto, così assoluto che crede di poter brevettare Dio…» (pag. 220). A cavallo tra Eco, Harry Potter e Il signore degli anelli. Il ritratto di carne mette ribrezzo e dà un senso pulp al testo. (Francesco Di Sibio)
«L'Ateone è come un puzzle che mi fa molto ricordare i racconti di Borges e la sua scuola latinoamericana di quegli anni. Pieno di bizzarri giri, racconto dentro un racconto, personaggi che pirandellianamente si mascherano e si appropriano di altri personaggi, commettono folli gesti e un continuo metalinguaggio sulla scrittura e la sacralità dello scrivere, e del libro. Filosofico, metafisico, cervellotico anche. Difficile, sfida il lettore. Affascinante. Ci sarebbe tanto di più da dire.» (Graziella Sidoli)
La parola figlio di Patrizia Rigoni (Trieste)
[PatriziaRigoni, scrittrice e sociologa, vive a Trieste e dal 2000, con AziendaParola, si occupa di formazione narrativa per aziende pubbliche, per operatori della sanità e della scuola, per Università, per gruppi privati e per associazioni del territorio. Ha pubblicato romanzi, poesie e racconti, oltre che saggi e libri di frammenti autobiografici dei gruppi che hanno seguito i suoi laboratori narrativi. Ha vinto numerosi premi letterari. Molte sono le collaborazioni a progetti culturali e sempre più le richieste di editing di aspiranti scrittori. Da due anni è Direttore artistico de la Rassegna Rose Libri Musiche e Vino che si tiene nel mese di maggio nel parco di San Giovanni, a cura dell’Agricola Monte San Pantaleone. Da qualche anno collabora con AcquaMarina e Annamaria Castellan. Nel 2011 ha ideato e realizzato la prima edizione dell’evento La Carica delle centoeuno, cui è seguita la seconda edizione regionale nel 2013. Nel 2014 ha aperto la Scuola di scrittura Sherpazade, una scuola che cammina e porta negli zaini i pesi delle parole. Una scuola per tutti. Web: www.patrizia.rigoni.it]
«Testo ricco di rimandi tra passato e futuro,intenso e profondo. Una scrittura molto curata e controllata nella sua semplicità. Amore per la vita, senso di continuità, senza mai scadere nel banale e nel patetico.» (Antonella Giacon)
«La parola figlio è molto originale, ironico mai sentimentale e spesso un poema in prosa.» (Graziella Sidoli)
III. classificati ex aequo
[Maria Lenti, poetessa, narratrice, saggista, giornalista, è nata e vive a Urbino. Studiosa di letteratura ed arte: saggi, recensioni, interventi critici si trovano in volumi collettanei, in riviste e su quotidiani a cui collabora da decenni. In Effetto giorno, 2012, ha raccolto gli scritti di tenore culturale e politico; in Cartografie neodialettali, 2014, gli scritti su poeti neodialettali di Romagna e d’altri luoghi. Ha pubblicato poesie: Un altro tempo, 1972; Albero e foglia, 1982; Sinopia per appunti, 1997 (2° classificato al premio “Alpi Apuane”); Versi alfabetici, 2004; Il gatto nell’armadio, 2005; Cambio di luci, 2009 (finalista al premio “Pascoli”). Racconti: Passi variati, 2003; Due ritmi una voce, 2006; Giardini d’aria, 2011. Gli studi Amore del Cinema e della Resistenza, 2009, In vino levitas. Poeti latini e vino, 2014. L’antologia di poeti italiani contemporanei Dentro il mutamento, 2011. Nel 2006 ha vinto lo “Zirè d’oro” (L’Aquila). Con Quadri per una (s) (ri) composizione è inserita in Dove sta andando il mio italiano? (Fara 2014), con Metamorfosi di un mito in poesia ne Il tempo del padre (Fara 2015) e con Andata e ritorno in Preghiera (e… (Fara 2016).]
«I racconti brevi sono fatti bene, si lasciano gustare anche nella loro costruzione. Non hanno finali eclatanti ma ognuno porta un insieme di ricordi, di rimandi di vicende già vissute. Ma c'è anche il presentimento di messaggi nascosti che lascia vigile l'attenzione e che fa sembrare questo insieme di scritture un esperimento prima dell'avventura di un grande racconto. Resta alla fine, chissà perché, un'assonanza con la scrittura dei Racconti di Sebastopoli di Tolstoj.» (Angelo Leva)
Kronin di William Protti (Santarcangelo di Romagna) v. pagina del libro
[William Protti, nato il 13 Novembre 1965 a San Marino, vive a Santarcangelo di Romagna. Appassionato di fumetti, ha ideato varie strisce e tavole a livello locale; ha disegnato la copertina di Poesie in soffitta e l’illustrazione a corredo del racconto conclusivo de Le Favole dello zio Oliviero (Ed. “La Sfera Celeste”, Riccione). Sua la traduzione visiva di Filastrocche piccole così (Danilo Montanari Editore, Ravenna). L'impegno in ambito culturale e artistico lo ha portato a collaborare all’impaginazione di alcuni libri, tra cui spicca Terre Splendenti - La Via Crucis di Giulio Liverani (Ed. “Il Ponte”, Rimini). Fra il 2015 e il 2016, con i racconti Un giorno di follia e La minaccia, si è classificato quarto nei concorsi Rapida.mente e Pubblica con noi 2016 indetti da Fara.]
Introduzione dell’Autore
Questo non è il mio primo libro, bensì il secondo (anche
se il primo non è stato pubblicato) a riprova del fatto che le cose non sono
quasi mai come appaiono.
La realtà è multiforme, sfuggente nella sua globalità:
per quanto possiamo essere geniali – o ritenerci tali – siamo e saremo sempre
creature con una visione parziale e limitata di ciò che ci circonda… Questa
constatazione mi ha portato anche a riflettere sull’affermazione che nella vita
sia necessario andare contro corrente; paradossalmente, mi sto rendendo conto
che per riuscirci è fondamentale rimanere orientati alla fonte e assecondare la
corrente, quella che la Vita (e non la convenienza personale) ci indica,
generosa e inesorabile, a ogni piè sospinto: staremmo senz’altro meglio, sia a
livello individuale sia, soprattutto, a livello collettivo.
Ciò premesso, confesso che, quanto a sbagliar strada e a perdermi lungo i contorti e inestricabili – sempre all’apparenza! – labirinti della vita, senza falsa modestia, sono un maestro, il che suppongo equivalga a essere un gran somaro. Ciò non toglie che da ogni raglio e da ogni capocciata data contro lo spigolo di qualche parete, abbia imparato qualcosa e affinato la mia ricerca, grazie all’intervento di tanti, diversi, inattesi ed unici compagni di viaggio, chissà perché saltati sempre fuori al momento giusto, nonostante la mia indolenza.
Se il primo libro – su cui mi diverte far aleggiare un’aura di mistero – è frutto dell’estate, il presente è frutto dell’inverno, e questo ha un suo preciso significato: d’inverno i movimenti si fanno più lenti, si riflette di più, soprattutto si agognano luce e calore, fonti primarie di vita; ed è nelle tenebre di una Città in sfacelo che si dipana la narrazione; è in un clima incerto e colmo di inquietudine che muove i suoi passi Ross Anders, agente speciale della polizia investigativa, indagando su un oscuro traffico. Ma nella Città nulla è come sembra, neppure la Città stessa, e le carte del gioco si possono rimescolare in maniera inattesa, svelando un’altra realtà, appunto oltre le apparenze…
«La scelta più sensata sarebbe fuggire e invocare aiuto, ma gli uomini non sono quasi mai sensati e Lisa non fa eccezione: come una falena, la curiosità la spinge verso quella fonte di luce» (pag. 85). Ross Anders, agente speciale della polizia investigativa, indaga sull'oscuro traffico di una nuova droga, il Kronin. Ben inserito nel genere, scritto senza sbavature. Ironico, ma in fondo anche 007 lo è; mi sarei aspettato maggiore originalità. (Francesco Di Sibio)
Ciò premesso, confesso che, quanto a sbagliar strada e a perdermi lungo i contorti e inestricabili – sempre all’apparenza! – labirinti della vita, senza falsa modestia, sono un maestro, il che suppongo equivalga a essere un gran somaro. Ciò non toglie che da ogni raglio e da ogni capocciata data contro lo spigolo di qualche parete, abbia imparato qualcosa e affinato la mia ricerca, grazie all’intervento di tanti, diversi, inattesi ed unici compagni di viaggio, chissà perché saltati sempre fuori al momento giusto, nonostante la mia indolenza.
Se il primo libro – su cui mi diverte far aleggiare un’aura di mistero – è frutto dell’estate, il presente è frutto dell’inverno, e questo ha un suo preciso significato: d’inverno i movimenti si fanno più lenti, si riflette di più, soprattutto si agognano luce e calore, fonti primarie di vita; ed è nelle tenebre di una Città in sfacelo che si dipana la narrazione; è in un clima incerto e colmo di inquietudine che muove i suoi passi Ross Anders, agente speciale della polizia investigativa, indagando su un oscuro traffico. Ma nella Città nulla è come sembra, neppure la Città stessa, e le carte del gioco si possono rimescolare in maniera inattesa, svelando un’altra realtà, appunto oltre le apparenze…
«La scelta più sensata sarebbe fuggire e invocare aiuto, ma gli uomini non sono quasi mai sensati e Lisa non fa eccezione: come una falena, la curiosità la spinge verso quella fonte di luce» (pag. 85). Ross Anders, agente speciale della polizia investigativa, indaga sull'oscuro traffico di una nuova droga, il Kronin. Ben inserito nel genere, scritto senza sbavature. Ironico, ma in fondo anche 007 lo è; mi sarei aspettato maggiore originalità. (Francesco Di Sibio)
«Kronin, apocalittico e futuristico, e persino fumettistico a volte. Ricorda un po' tanto La noche boca arriba di Cortázar. La fine è moralistica e sentimentale.» (Graziella Sidoli)
Altre Opere votate
Il tempo del futuro di Daniele Gigli (Collegno, TO)
«È un lavoro preciso di ricerca e analisi. I risultati hanno un sapore di consigli per la vita e fanno eco ad alcune conclusioni già note. I tre lavori riportati si parlano e niente risulta lasciato al caso. Vi si riconoscono competenze molto specifiche che tendono alla analisi di profondità ma si apprezza anche l'abilità a rendere tutto fluido e accessibile a chi voglia dedicarsi ad una lettura di formazione.» (Angelo Leva)
Jim, la vecchia fiamma e il freddo di Dio di Roberto Battestini (Pescara)
«Interessante il linguaggio, il desiderio di stare nella contemporaneità nei suoi aspetti più bassi e quotidiani insieme al bisogno di raccontare una storia semplice, ricercando il più possibile l'adesione alla realtà. Un'esperienza di scrittura che merita di espandersi e consolidarsi.» (Antonella Giacon)
«È un lavoro preciso di ricerca e analisi. I risultati hanno un sapore di consigli per la vita e fanno eco ad alcune conclusioni già note. I tre lavori riportati si parlano e niente risulta lasciato al caso. Vi si riconoscono competenze molto specifiche che tendono alla analisi di profondità ma si apprezza anche l'abilità a rendere tutto fluido e accessibile a chi voglia dedicarsi ad una lettura di formazione.» (Angelo Leva)
Jim, la vecchia fiamma e il freddo di Dio di Roberto Battestini (Pescara)
«Interessante il linguaggio, il desiderio di stare nella contemporaneità nei suoi aspetti più bassi e quotidiani insieme al bisogno di raccontare una storia semplice, ricercando il più possibile l'adesione alla realtà. Un'esperienza di scrittura che merita di espandersi e consolidarsi.» (Antonella Giacon)
martedì 13 dicembre 2016
Il San Francesco Borgia di Andrea Pozzo a Genova: storia di un dipinto, di un santo e di un libro scomparso
La prova dell’avvenuto insediamento della Compagnia di Gesù a Genova è costituita non solo dall’edificazione della chiesa del Gesù, ma anche dall’atteggiamento dei nobili cittadini che, pur di celebrare il proprio legame con l’Ordine, avevano intrapreso una sorta di competizione per poter decidere a chi spettasse l’onore di decorare le cappelle della chiesa della Casa Professa.
Il fatto che il processo di stanziamento fosse stato portato a compimento con successo è testimoniato anche dall’intervento di Andrea Pozzo.
L’artista gesuita, stando alle fonti, realizza in Liguria complessivamente sei opere di cui due risultano oggi perdute (le restanti sono ubicate nella chiesa del Gesù di Genova, nella chiesa di Santo Stefano a Sanremo e nella Collegiata di Novi Ligure).
Benché la cronologia degli spostamenti del Pozzo, come anche le fasi della sua formazione, non sia stata ancora completamente definita, è stato ipotizzato che le tele liguri siano le sue prime grandi pale d’altare. Dalla loro analisi è possibile trarre dunque importanti informazioni circa il tentativo dell’artista trentino di individuare i modelli e le modalità migliori con cui esprimere i principi della spiritualità gesuitica.
La tela raffigurante San Francesco Borgia, conservata nella chiesa del Gesù, costituisce un perfetto esempio di questa particolare ricerca.
In quest’opera, infatti, non solo l’artista dà dimostrazione di essersi avvalso di specifici testi devozionali, elaborati all’interno dell’ordine, al fine di meglio esprimere la personalità del santo spagnolo ma soprattutto propone, forse per la prima volta, il modello della figura maschile inginocchiata intenta a reggere un libro che in seguito replicherà innumerevoli volte e che proporrà anche nell’affresco della Chiesa di Sant’Ignazio a Roma.
L’assenza, nell’opera genovese, dell’elemento del tomo si deve probabilmente alla controversa vicenda dei restauri ottocenteschi che interessarono la chiesa del Gesù: in occasione della canonizzazione di San Francesco di Geronimo fu infatti stabilito di restaurare la chiesa genovese e i lavori furono affidati a Padre Chiavero.
Il religioso, che alcune fonti accusano di essere stato “avverso alle pitture del Pozzo” nonché autore di “interventi vandalici sulle antiche pitture”, avviò un imponente progetto di restauro che modificò in modo significativo la chiesa e che comportò anche un restauro delle tele del Pozzo.
In questa occasione il libro, probabilmente danneggiato o scarsamente visibile, fu eliminato privando il chierico del suo attributo e compromettendo in modo significativo la comprensione dell’opera.
domenica 4 dicembre 2016
"Tamburi" di Andrea Tavernati
Conosco
Andrea Tavernati da poco tempo ma tanto mi è bastato per comprendere la natura
di questo autore, la passione che mette in ogni cosa che fa, l’attenzione e il
profondo rispetto per il lavoro poetico suo e degli altri. Doti rarissime in
una modernità dove l’arroganza e la superficialità travalicano di gran lunga i
buoni sentimenti e i valori che fanno parte anche di quella sana dimensione
poetica che è sempre in cerca della verità e della conservazione della
bellezza. Tavernati si presenta al suo pubblico con questa nuova raccolta, dal
titolo Tamburi, titolo quanto mai
emblematico, che mette in scena una sorta di visione antropologica di contenuti
e musicalità del verso, che riporta il pensiero alle origine, proprio laddove è
nata anche la poesia.
Tamburi
Quando ho ricevuto il libro Tamburi di Andrea Tavernati, così, a pelle, ho subito pensato a un
lavoro che avesse a che vedere con l’antropologia, con lo studio delle
tradizioni e dei riti di popoli che utilizzano questo strumento per scandire
suoni ed emozioni, con tempi e un sentire forse non sempre consonante con il
nostro. In realtà il lavoro di questo autore si spinge ben oltre e , certo
utilizzando la cadenza roboante dell’oggetto nominato nel titolo, ci introduce
– con passaggi intensi nello scorrere delle pagine – in sezioni che,
richiamando proprio quel ritmo musicale, ci permettono di confrontarci con un Primo movimento laddove l’equilibrio
sempre instabile dell’anima poetica tende a riordinare il perenne ossimoro
degli armonici contrari, e a ricostruire
la narrazione degli affetti che nostalgicamente tornano, anch’essi in una
visione martellante, certo per la paura della dimenticanza, della perdita,
dell’assenza. Visione in cui non manca un passaggio sull’amore che, attraverso
lo sguardo, permette all’autore di recuperare l’energia necessaria a continuare
la sua strada. In Americhe (Interludio)
Tavernati sperimenta la dimensione geografica della poesia, portandoci le voci
e le immagini del viaggio compiuto, restituendoci le problematiche di popoli
che hanno nel loro DNA musica e povertà, vacillano sotto il peso delle
differenze/indifferenze col/del resto del mondo. Ed è una poesia che racconta e
che soffre, che ferisce e denuncia, che acchiappa le redini dell’eterno
conflitto d’interessi tra i poli opposti del mondo. Anche questo è il compito
del poeta, che sa fare esperienza poetica di ciò che come esperienza vive,
sente, a volte subisce. Infine, nella terza parte, Secondo movimento assistiamo a una ripresa dei temi più
esistenziali, più introspettivi, come se ai due estremi del lavoro - laddove il
centro è dato da un fondante nucleo di poesie civili - l’autore sentisse
premere la necessità di tessere una trama che lo coinvolge negli interrogativi
più esigenti per i quali, spesso, non si trovano risposte: il futuro dell’Universo
tutto, l’importanza di ciò che conta veramente, la disperazione per il
raggiungimento di una sorta di rassegnazione, di impossibilità a reagire perché
le cose accadano.
Meno male che Tavernati chiude il libro con una
poetica della speranza, con una voglia di rinascita perché la poesia possa
servire almeno a questo. Non tutto il male viene per nuocere, e al poeta spetta
il compito di illuminare gli spazi bui, di creare un’immagine – come quella
finale e memorabile: Non conosco questa
terra nuova./Ma poi, al chiuso,/da ogni lato,/i fiori/si apriranno.
Alcuni testi
da: Tamburi
Nascita
Secco mi chiama
l’imperioso soprassalto
del corpo inatteso
sul muro del suono.
Vibra odioso
come tendine reciso.
Dormivo sotto il sudario.
Al punto di svolta preciso
laceratasi piano piano
la tela mi cede
stupito
alla luce risorta.
*****
Antenati
Quanti lasciati andare
davvero sono partiti.
La traversata scansa gli affogati
in un gorgo d’occhi di triglia.
Dubitano le nere pupille
l’arte del nuotatore
sanno dove cadono i gravi
che non so perdere gli avi.
Quanto pesca la chiglia
tra decrepiti lari,
la corrente a galla
indulgente li rinviene.
*****
Miei cari
Il cauto scorrere osservate
come non vostro
che muove lentamente
sognandosi il fiume,
caro padre, cara madre.
I vostri dolci gesti
nervosi
appena scontano
il pendio dei passati
misurano ricordi blanditi
in affetti tenaci.
Una lenta mestizia
v’intride
nei turbamenti
che i nostri aratri scavarono
separandoci
sole dopo sole:
sui miei cammini
pieni di pensieri
non vi siete inoltrati.
Ma non vi conduca
per tristi sentieri
il mio scivolare lontano:
il vostro segno piano
fisso ho negli occhi,
la sbucciatura ai ginocchi
un po’ m’è rimasta
come nelle vostre mani
così calde e vaste
la promessa d’un domani.
Il rito più calmo lo sento
e periodicamente torna
il segno del destino che schiuma
in un’ansa giocando
con la nostra debole alga,
agitandoci questo strano ascendente
fatto di latenze e pudori
puerili timori
inconfessate giacenze.
*****
Disneyland
Tra guerre di soldatini
scontri di macchinine
un Pluto di pelouche mi azzannò
e affatato fui nella faglia d’infanzia:
Disneyland, che lontana utopia
che miraggio della fantasia!
Oggi, nel lungo assestamento
nella presunta maturità
ai varchi del parco
monta la guardia
un altro Pluto
trentenne e muto.
Pellegrino vagante
sui ritagli del bimbo che fui
tra paffutelli pupi stars and stripes
scorgo l’adulto disagio
degli altri fuori tempo:
cigli offuschi, piagati sorrisi
di fallite infanzie
inadatte a giungere in orario
sulle sincronie dl cuore.
*****
Ritrovamenti
Contraffatte secondo il protocollo
antiche emozioni trapelano
dal cassetto aperto.
L’oggetto fluttua sfocato
al netto del ricorso.
Una mina vagante
connessa in rete neurale
con la grazia dell’occhio
il senso della mano:
inquieta l’io con l’eco di lontane tempeste.
Si tradiranno le cose nostre
levate dal remoto passato
per l’ottativo, il forse, il di cui.
Offuscato il senso
di sottintesi rimandi note a margine chiose,
una corona di fiori appassiti
lo suggella e l’archivia.
Andrea
Tavernati, nato a Pavia nel 1960, vive in provincia di Como. Laureato in
Filologia medievale e umanistica e diplomato in Paleografia e Archivistica, ha
lavorato dapprima come insegnante e, ormai da molti anni, come creativo pubblicitario
e copywriter a Milano. Ha viaggiato soprattutto negli Stati Uniti e in Messico,
dove ha collaborato per un breve periodo con una associazione umanitaria dedita
alle popolazioni maya. Nel 2013 ha pubblicato con la casa editrice EEEBook il
libro di poesia L’Intima Essenza, la via degli haiku. Nel 2015 ha
pubblicato una raccolta di racconti E Niente Indietro (Factory
editoriale I Sognatori). L’ultimo libro edito è Tamburi, uscito per Gattomerlino/Superstripes, nel 2015. Con i
propri testi poetici e narrativi è presente in numerose antologie ed è stato
premiato in diversi concorsi. E’ vice presidente della casa della Poesia di
Como.
Bologna, 4 dicembre 2016
Cinzia Demi
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