giovedì 20 ottobre 2016

Presentazione del romanzo Le Tre Piume

intervento di Rosanna Magrini alla kermesse faentina Umiltà e letizia (qui un fotoracconto) 

Suor Umiltà guarisce una monaca (Pietro Lorenzetti)


Buongiorno a tutti! Ringrazio Alessandro Ramberti e prima ancora la prof.ssa biblista Rosanna Virgili che me l’ha fatto conoscere. Sono molto felice ed emozionata. La prima volta a una kermesse e a presentare il mio primo libro. La prima volta in questa città, Faenza, che da tanto volevo visitare, perché ha come patrona (compatrona insieme alla Madonna della Grazie) la mia protettrice: una santa nata qui nel 1226 e battezzata con il nome di Rosanese che corrisponde al moderno Rosanna, che poi ha scelto – come consacrata – di prendere il nome di Umiltà. Santa Umiltà! Sì, l’umiltà è una grande virtù, la prima grande virtù, fondamento di tutte le altre, anche della carità, e senza umiltà non c’è perfetta letizia.
Di questo i santi ce ne hanno dato e continuano a darcene la prova.
San Francesco sapeva vedere in ogni più piccola creatura un raggio della bellezza divina, l’essenziale che è Dio. Questa è umiltà, questa è letizia.
Mi viene in mente la famosa frase dell’Autore de Il Piccolo Principe: Non si vede bene che con il cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi.
Chi meglio di un “bambino” è capace di vedere con il cuore, e di parlarci di Dio che abita il cuore dell’uomo? Si tratta di quei piccoli di cui parla Gesù quando dice: A chi è come loro appartiene il Regno dei Cieli (Mc 10,14) e quando benedice il Padre perché ha tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le ha rivelate ai piccoli (Mt 11,25). 
I bambini hanno tanto da insegnare: lo ripete spesso Papa Francesco. Con la loro fiducia, la loro semplicità di cuore e di vita.
Perché sto dicendo questo? Perché qualche tempo fa ho sentito molto forte in me il desiderio di parlare, di scrivere in modo semplice del grande mistero di Dio Uno e Trino. Sono andata in cerca della bambina che è in me, e lei mi ha suggerito l’immagine della piuma. Così è nata la storia che ho scritto e che ho intitolato Le Tre Piume.
È il mio inno di gratitudine a Dio per tutte le sue meraviglie, il mio desiderio di risvegliare desiderio, stupore, capacità di sognare e sentire la magia della vita nella semplicità delle piccole cose. E cosa c’è di più semplice di una piuma per esprimere l’infinita e leggera essenzialità di Dio?
Eppure non è facile pensare a Dio in questo modo: troppo buono! Piccolo, umile, dolce, delicato, quindi fragile, debole e indifeso… in una parola misericordioso, talmente innamorato di ciascuno di noi da lasciarci liberi anche di allontanarlo con un soffio, di schiacciarlo! Talmente rispettoso della nostra libertà – un suo dono! – da entrare nella nostra storia in punta di piedi, quasi chiedendo: Posso? È permesso? Perché non si vuole imporre mai, preferisce aspettare con eterna pazienza dietro la porta del nostro cuore, pronto a darci tutto non appena gli apriamo la porta. E quando pure è entrato, preferisce restare dietro le quinte, sempre con noi ma dietro le quinte, perché il palcoscenico è nostro, siamo noi i protagonisti della nostra storia.
Questo è amore, il vero amore, quello che rende felici: dare vita, dare libertà, mettere al centro della vita l’altro.
Infatti, il titolo che ho dato è Le Tre Piume, ma nel racconto la presenza delle Tre Piume è molto discreta. I protagonisti in realtà sono una bambina e un bambino, entrambi dodicenni, entrambi orfani e adottati, lei da tre suore di un eremo di montagna, oasi di pace tra i boschi, lui da una coppia che ha la casa al mare… Si incontrano quasi per caso su una scogliera a picco sul mare al chiaro di luna di una notte d’estate e nasce un dialogo, un’amicizia. Ma il bambino all’inizio sta molto sulle sue, è timido, insicuro, come smarrito, sfiduciato, non riesce a parlare di sé. La bambina, che è abbastanza testarda, non vuole rinunciare a quella nuova e inaspettata amicizia e allora, per coprire quel silenzio, per aiutarlo ad aprirsi, gli racconta una storia, che poi si rivelerà essere la sua storia, il suo viaggio alla scoperta di un mistero: la montagna delle tre cime.
Un misterioso cammino di tre giorni dall’inverno all’estate, dalla montagna al mare che lei raggiunge quella notte e quella notte vede per la prima volta in vita sua. Una vera e propria avventura, non priva di momenti di oscurità, di ostacoli, cadute dolorose, pericoli, difficoltà… eppure bella, di una bellezza che cresce passo dopo passo, insieme alla gioia che diventerà esplosiva nelle ultime pagine. È l’avventura dello spirito, nello spirito: un cammino interiore dalla superficie del cuore alla sua parte più profonda. Che chiaramente non si compie da soli: è cammino di fede, speranza e carità con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Dio è nostro compagno di viaggio. La bambina se ne renderà conto cammin facendo.
Sulla scogliera raggiunta lei vorrebbe restare a contemplare quella montagna d’acqua fino all’orizzonte. Lui l’ha sempre avuto davanti agli occhi il mare, ma ha paura, paura di tuffarsi nell’immensità: entrambi hanno bisogno di una spinta, di un incoraggiamento, incoraggiarsi l’un l’altro per andare avanti – bisogna andare avanti, chi non va avanti va indietro – e sarà proprio quel dialogo d’amicizia fraterna nella notte, e soprattutto la storia che lei racconta, che è ricordo del suo cammino (lo ripete spesso Papa Francesco: non c’è futuro senza memoria del passato), ecco sarà proprio quella memoria ad aiutarli a superare paure, reticenze e tiepidezze, e quindi ad aprire loro un futuro. Si prenderanno per mano e si tufferanno in quel mare che li accoglie a braccia aperte e li porterà a una visione stupenda… e qui mi fermo, non vi svelo la sorpresa finale.  
Posso solo dire  – ma lo dicono tutti i bambini dentro di noi – che la vita rimane un mistero ma un mistero da abbracciare con fiducia. Possiamo fidarci di Dio e dell’uomo, possiamo amare Dio e l’uomo, e il vero amore è sempre umile e proprio perché umile porta sempre alla letizia!
Così concludo con il mio più sincero auguro a tutti voi di una perfetta letizia!

Il valore dello scarto in Libromondo OTTOBRE (2) 2016

LIBROMONDO CENTRO DI DOCUMENTAZIONE PACE - AMBIENTE – INTERCULTURA - COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
in memoria di Franco Falco

OTTOBRE (2) 2016 Newsletter n. 19/2016, pp. 4-5


recensione di Annamaria Cordano

a Il valore dello scarto a cura di Carla De Angelis e Stefano Martello
 









Eccoci al diciannovesimo appuntamento del 2016 con la newsletter di “LIBROMONDO”, Centro di Documentazione sull’Educazione alla Pace e alla Mondialità che si trova all’interno della Biblioteca del Campus Universitario di Legino a Savona.
La Biblioteca o Centro di Documentazione è un servizio di completo volontariato. Le case editrici e gli autori offrono libri come Saggi Gratuiti per l’uso in Biblioteca. I ragazzi delle Scuole Superiori e alcuni adulti, in qualità di volontari, leggono per primi i libri nuovi e ne fanno la recensione che viene pubblicata su newsletter come questa e poi inviata a un cospicuo indirizzario. Le newsletter sono archiviate e sempre disponibili per consultazione su vari siti, come annotato sotto.
Tutti gli autori di libri relativi alle nostre sezioni e le Case editrici che lo desiderino possono inviare libri in saggio alla Biblioteca. I libri saranno recensiti come sopra. Per informazioni si può scrivere a libromondo@hotmail.com
Le sezioni della Biblioteca di Documentazione sono: Europa, Asia, Africa, Americhe, Italia, Donne, Bambini, Religioni, Cooperazione Internazionale, Migranti, Popoli, Diritti, Salute, Hanseniani, Educazione alla Mondialità, Pace, Economia, Sviluppo, Alternative allo sviluppo, Agricoltura, Ambiente, Terzo Settore, Mass Media, Protagonisti, Letterature, Fiabe, Favole, Narrativa Ragazzi.
N.B. L’orario di apertura della Biblioteca segue l’orario della Biblioteca del Campus Universitario, dal lunedì al giovedì: 9.00-17.45; venerdì 9.00-12.45. Il servizio è interrotto durante le vacanze natalizie, pasquali, in agosto e il 18 marzo per la festa del S. Patrono di Savona.
Mercoledì e venerdì, ore 9 - 12, sono presenti in loco i volontari AUSER.

SOMMARIO NEWSLETTER

Libri Sezioni: FAVOLE, DONNE, LETTERATURE, EDUCAZIONE, EUROPA, SALUTE, AMBIENTE

ALEPPO da Medici senza Frontiere

N.B. Le newsletter sono archiviate su:
www.ildialogo.org nella sezione Cultura;
www.zacem-online.org
http://artistiamatoriali.forumattivo.com/;
Per informazioni è possibile visitare il sito dove si trova l’archivio delle precedenti newsletter (fino al maggio 2012): http://informa.provincia.savona.it/cooperazione/libromondo
La Biblioteca è anche su http://www.campus-savona.it/biblioteca.htm e su
http://www.savonagiovani.it/IT/Page/t01/view_html?idp=24


«In tutta la mia vita non ho mai scritto niente per divertire e basta. Ho sempre cercato di mettere dentro i miei testi quella crepa capace di mandare in crisi le certezze, di mettere in forse le opinioni, di suscitare indignazione, di aprire un po' le teste. Tutto il resto, la bellezza per la bellezza, non mi interessa.» (Dario Fo)

martedì 18 ottobre 2016

Vedere con gli occhi dell’anima


Scritto da Yelice Feliz Torres – autrice di Forse c'è bisogno dei sogni per la kermesse faentina Umiltà e letizia (qui un fotoracconto)





I sentimenti le sensazioni: ecco i riflessi della voce dell’anima.


http://www.faraeditore.it/html/narrabilando/forsebisognosogni.html
Che cos’è l’anima?
L’anima è quell’essere sottile che abita da sempre in noi ma che noi non conosciamo. L’anima si alimenta di cose belle, di amore, di gioia, di felicità, di semplicità, di verità, di Dio… e si distrugge con tutto ciò che è il contrario. Tendiamo a riempirci di cose brutte come: il senso di inferiorità, l’invidia, il dolore, la rabbia, lo stress, la depressione, il senso di sconforto, il rimpianto del passato e la paura per il futuro… queste cose fanno ammalare l’anima.
Siamo troppo abituati a vedere e a prenderci cura solo del corpo. Per vedere con gli occhi dell’anima dobbiamo imparare a conoscere chi siamo, dobbiamo imparare a conoscere la nostra vera identità. La nostra anima!
Noi non siamo solo un corpo, siamo anche e soprattutto un’anima, un’anima che da tempo è stata trascurata e messa in disparte, ignorata. Che lo comprendiamo o no l’anima fa parte di noi. Ecco la consapevolezza a cui dobbiamo arrivare.
Grazie all’anima il nostro corpo ha vita.
(Giacomo 2,26) il corpo senza anima è privo di vita… Perché è l’anima che da vita al corpo, non il contrario.
L’anima proviene da Dio, dalla fonte universale. Da tutto ciò che è spirituale. 

(Genesi 2,7) Ricordiamo un passaggio della Genesi: dopo aver plasmato l’uomo dalla terra… Dio alitò nelle sue narici un soffio vitale, e allora l’uomo divenne un essere vivente.
Normalmente abbiamo paura dell
ignoto e di quello che non vediamo.
Il sentimento, il dolore, le sensazioni, non riusciamo a vederle ma a sentirle, sappiamo che esistono; anche l’anima non riusciamo a vederla, perché è spirito, invisibile, ma esiste. Il vento non lo vediamo ma sappiamo che esiste. Anche Dio non lo vediamo perché è spirito, ma se lo vogliamo lui si manifesta facendoci percepire la sua presenza in noi e intorno a noi.
Dobbiamo imparare a non pensare in continuazione al domani, dobbiamo imparare a non preoccuparci per le cose di ogni giorno. Quando si vive secondo l’anima non c’è bisogno di preoccuparsi così tanto. Dio sa di che cosa abbiamo bisogno, se ci fidiamo di Lui, non dobbiamo temere niente…
(Matteo 6,25-34) Ricordate Gesù quando parla dell’affanno e dell’ansia… ansia per la sopravvivenza e per le cose materiali? Dobbiamo imparare a vivere secondo la parola di Dio, e scopriremo giorno per giorno l’intervento di Dio: Lui ci guiderà e ci donerà tutto ciò di cui avremo bisogno.
Come imparare allora a vivere e vedere secondo l’anima?
Per prima cosa non dovremmo far altro che pregare, pregare e ancora pregare: se non siamo abituati a farlo non importa, dobbiamo iniziare dalle cose semplici, come il ringraziare per ogni giorno che ci viene donato, per la salute, per le esperienze che ogni giorno dobbiamo affrontare.
Dobbiamo imparare a rivolgerci a Dio come a un Padre che ci ama tanto, dobbiamo imparare a pregare con il cuore, con parole che ci arrivino dall’anima…
Questo può risultare in certe situazioni un po’ difficile ma è importante iniziare a rendersi conto che nonostante nessuno ci abbia insegnato a vivere secondo l’anima, noi non siamo solo un corpo ma anche un’anima. Un’anima che proviene da Dio.
Oggi la società ci presenta un mondo dove sembra esistere solo il brutto il marcio, il male… Non capiamo più cosa sia il bene e cosa il male. Ci troviamo ad affrontare una società che ci fa credere che anche noi facciamo parte di tutto il male che vediamo manifestarsi nel cuore dell’uomo. Questo male si presenta nelle persone che nell’arco degli anni si sono riempite di odio, di tristezza, di dolore, di frustrazioni, di invidia, di senso d
inferiorità, di cattiveria, di malvagità… loro hanno scelto di seguire ed “ascoltare” tutto questo male.
Le esperienze della vita ci hanno portato a provare queste cose negative, ma nel profondo del nostro cuore sappiamo che siamo capaci di distinguere cosa sia bene e cosa sia male.
Solo noi possiamo decidere cosa lasciare entrare in noi e cosa lasciare andare.
Dobbiamo tenere sempre presente che siamo figli del bene assoluto che è Dio.
L’anima è nata già perfetta con tutti i suoi buoni attributi. (Genesi 1,31) La Genesi ci ricorda che dopo aver formato l'uomo Dio considerò tutto quello che aveva fatto, ed era molto buono. La Bibbia ci dice che Dio ci ha fatto perfetti, buoni, puri, unici…
Vedere con gli occhi dell’anima significa guardare oltre le apparenze. Dobbiamo ritornare alla nostra vera essenza, cioè a vivere come Dio vuole… secondo l’anima non solo secondo le esigenze del corpo.
(Matteo 5,14 ) Gesù dice: Voi siete la luce del mondo… ma come può brillare una luce che è stata coperta da spazzatura per anni? E ora di imparare a scegliere il bene e non il male.
Tutto ciò può sembrare impossibile ma a Dio tutto è possibile… (Matteo 19,26)
Da oggi in poi affidatevi a Dio… iniziate a chiedere e vi sarà dato; cercatelo e lo troverete; bussate e vi sarà aperto (Luca 11,9-10). Solo chi si fa delle domande ottiene risposte, solo chi cerca trova…
Ecco perché bisogna parlare, chiedere, cercare, provare ad eliminare le interferenze che ci limitano nel vedere ciò che c’è da vedere. Ecco l’importanza della fede. Ma come dico sempre, per poter credere a qualcosa bisogna conoscerlo.
Dio non aspetta altro che la nostra chiamata, che la nostra scelta di volerlo incontrare, di volerlo conoscere, di voler imparare ad amarlo ed ecco che allora accadrà come al figlio prodigo: … alzatosi andò da suo padre.
(qui accade la cosa più bella): Lo vide il padre, mentre era ancora lontano, ne ebbe pietà; allora correndogli incontro, gli si gettò al collo e TENERAMENTE lo baciò (Luca 15,20).
L’anima cerca in ogni momento di portarci sulla retta via quella che conduce alla verità, quella che conduce a Dio… Dobbiamo imparare a vedere le cose con il cuore, imparare ad essere più consapevoli. Dobbiamo deciderci a voler scoprire la verità, a voler conoscerci veramente. È importante non avere paura, la paura ci blocca. Più paura abbiamo meno avanzeremo sulla via che ci porta alla verità.
Ogni cambiamento però comporta un po’ di impegno e di sforzo.
Il viaggio alla scoperta di noi stessi ci porta ad affrontare mille oscurità, mille dubbi, mille domande, mille perché… più avanzeremo e più ci sembrerà che la strada sia lunga, che tutto sia una perdita di tempo ma non dobbiamo avere fretta… una volta intrapreso il cammino, dopo un po’ inizieremo a intravedere dei raggi di luce, delle risposte ad ogni nostro perché. Piano piano si inizieranno ad aprire i nostri occhi.
Il problema è che a volte ci immergiamo nella disperazione, ci carichiamo di mille cose, mille impegni che ci impediscono di vedere le cose essenziali. Dobbiamo imparare a guardare oltre, perché solo così inizieremo a intravedere il mondo immenso e complesso che ci sta attorno. Ecco allora cosa significa vedere con gli occhi dell’anima significa iniziare a voler cercare di conoscere chi siamo, significa iniziare a voler andare verso la verità, verso Dio, per poter veramente incontrarlo. Significa prestare attenzione a quello che non si vede ma che esiste: sentimenti, sensazioni, intuizioni, anima, Dio. Significa guardare oltre, lasciare risuonare in noi quella voce sottile che non si stanca mai di chiamarci e ci invita a rimetterci sulla buona strada. Bisogna acquisire una certa sensibilità, bisogna fare silenzio. Solo così riusciremo a riconoscere la voce dell’anima.
Bisogna imparare a leggere le nostre reazioni alle varie sensazioni, alle varie situazioni, alle emozioni che ci suscitano le parole, le canzoni, i suoni, il silenzio.
Vedere con gli occhi dell’anima significa imparare a non soffermarci più solo alla superficie, soltanto a quello che vedono i nostri occhi ma avvicinarci alla essenzialità di ogni persona, di ogni cosa.

lunedì 17 ottobre 2016

Una lettera a Teresa

di Vincenzo D'Alessio

Teresa Cremonesi: Fra cortili e vicoli negli anni ’40 FaraEditore 2015


http://www.faraeditore.it/nefesh/Fracortievicoli.html
Cara Teresa, realizzo la recensione del tuo libro in forma epistolare, anche in considerazione delle distanze che ti hanno portato oggi a vivere in Bolivia, presso la Fondazione Casa del Almendro dove accogli bambini con problemi psicofisici; dove è presente un laboratorio di sartoria; un giardino d’infanzia e altre strutture che vorresti realizzare per aiutare l’umanità svantaggiata di questo pianeta e recuperare nicchie di vita.
La tua infanzia è simile a quella di tanti di noi nati subito dopo la Seconda Guerra Mondiale: stessi giochi, grande semplicità, amore per il sacrificio, rispetto profondo per gli anziani, scavezzacollo nei cortili, lungo l’argine dei torrenti alla ricerca di emozioni subacquee, sempre pronti al gioco: forza ludica che ci ha accompagnato fino alla maturità.
La differenza sostanziale è che noi non abbiamo conosciuto la Guerra, come è stato per te. L’unico ricordo che abbiamo dei bombardamenti del 1943 è stata la carneficina operata dai cosiddetti alleati il 21 settembre di quell’anno: ancora una volta dissero che era stato un errore dei piloti dei bombardieri; di fatto morirono nella nostra cittadina quasi cinquecento tra abitanti e sfollati, molti erano bambini.
La lettura del diario/dialogo con te stessa mi ha introdotto nella tua vita privata, in quella del cortile dove sei vissuta , di fronte al volto di mamma Ernesta e di nonno Isaia. Ho imparato il tuo dialetto, non dissimile dal mio, ho sorriso intensamente dei tuoi traguardi personali e delle lotte contro la fame e i pericoli che quei terribili anni di guerra hanno portato.
Lo scorrere del tuo tempo è divenuto il mio che leggevo. Le persone prendevano corpo e la gioia era un’energia incontenibile. Belle poi le poesie che hai disposto ad ogni capitolo del tuo diario/dialogo, alcune in prosa altre in rima alternata che davano un senso nella traduzione dal dialetto della sponda dell’Adda.
Praticamente mi sono trovato di fronte al testamento dei tuoi anni.
Pagine indimenticabili di vita vissuta intensamente, senza sconti e con la rapsodia dei lavori campestri, di quella Civiltà Contadina che ha sfamato milioni di esseri umani, mai sazia delle loro fatiche.
Poi sono arrivate le fabbriche e la superproduzione. Molti lavori domestici hanno subito stravolgimenti, come quelli legati alla conduzione delle terre e dei fiumi.
Le pagine dove mi sono fermato, come di fronte ad un muro cieco, sono quelle legate alla scomparsa della tua mamma Ernesta: la commozione mi ha trascinato in fondo ai tuoi occhi, a quelli di tuo padre Isacco, dei tuoi fratelli e dei famigliari.
Una descrizione amara della morte per tetano e quella piccola luce di speranza che si apriva con la venuta degli alleati che portavano “la muffa che guarisce”. Noi l’abbiamo conosciuta dopo con il nome di penicillina.
Cara “Togna”, come ti chiamano ancora oggi i ricordi dai fogli di questo capolavoro biografico, credo proprio che hai fatto bene a consegnare alla Storia degli uomini la tua storia singolare e al tempo stesso emblematica per il genere umano.
Quando l’Umanità imparerà dai propri errori e non farà più guerre ?
Quando le storie, come la tua , saranno scritte nei libri di scuola e saranno lette da tanti bambini, allora abbandonati e destinati agli orfanotrofi, oggi muniti dei mezzi di comunicazione di massa che permettono loro di guardare lontano ( non sempre vicino)?
Ti ringrazio, di vero cuore, per quanto ci hai donato nel tuo lavoro che ha anche una rilevanza linguistica: consegna alle generazioni attuali il dialetto di quei cortili e vicoli degli anni Quaranta, della tua Vaprio d’Adda a poca distanza dalla centralissima Milano.

Niente meduse oggi pomeriggio (Giovanna Passigato)

Un racconto di Giovanna Passigato  letto alla kermesse faentina Umiltà e letizia (qui un fotoracconto) 






NIENTE MEDUSE OGGI POMERIGGIO


La bambina avanzava di malavoglia saltellando sulla sabbia.
- Scotta.
- Dai, solo due passi e siamo arrivati.
- Era meglio là.
- Là dove? al bagno Tripoli?
- Sì. Ci sono le patatine e gli scivoli.
- Ma qui l'acqua è più bella.
- Però ci sono i sassi.
- Ma che sassi! solo un po' di sassolini. Piccoli piccoli.
- Hai una gomma?
- No, non ce l'ho.
- Perché non ce l'hai?
- Io non ne mastico, di gomme. Rovinano i denti.
- Ma io sì.
- Beh, oggi dovrai farne a meno.
- Lo sapevo che era una palla.
L'uomo si fermò, fece per dire qualcosa, ma tacque. Poi, timidamente:
- Però oggi ti farò vedere qualcosa che non hai mai visto prima.
La bambina si girò verso di lui con aria di sufficienza e sottile disprezzo.
- Qua?
E prese a guardarsi intorno. La baietta sassosa, divisa dalla spiaggia da una fila di dune e da una macchia di pini marittimi, digradava dolcemente verso il mare
- E qua, che cosa facciamo?
- Ecco, dei castelli con la sabbia.
- Non sono mica così piccola.
- Lo so, ma vedrai che come li faccio io non li sa fare nessuno.
- E perché non me li facevi quando ero piccola?
- Non lo so. Stavi sempre con la mamma, credo. Ma oggi ci sono io con te.
- Bella fatica. Solo un sabato ogni quindici giorni.
- Non sono io che ho deciso così.
Mentre egli tracciava sulla sabbia granulosa della battigia i contorni delle fondamenta, la bambina lo guardò di sottecchi, poi stese in terra l'asciugamano e si sedette compostamente inforcando gli occhiali neri a forma di cuore.
L'uomo sospirò, prese il secchiello e andò a riempirlo d'acqua. Tornò, si accoccolò a terra, immerse un pugno di sabbia nell'acqua strizzandola per bene. Ne fece una polpetta soda e cominciò a porre i primi basamenti del castello.
La bambina posò gli occhiali e si sporse verso di lui. – Adesso che ci penso, è da quando sono finite le scuole che non ti fai vedere.
- Ma se eri andata via con tua madre!
- Eravamo dai nonni, in montagna. Lei diceva che tu non avevi tempo.
- Questo diceva?
- Beh. Insomma. Te comunque non ci sei mai.
L'uomo fece per ribattere, ma tacque.
La bambina si sdraiò a pancia sotto, i gomiti a terra, le gote sulle palme delle mani. Poi, condiscendente: - Vabbé. Se vuoi giocare coi castelli, gioca pure.
- Veramente io pensavo di farli assieme a te. Per esempio, potresti portarmi l'acqua col secchiello.
- Ma allora mi tocca lavorare!
- Se vuoi un castello, sì. Qualunque castello.
La bambina restò a guardarlo per un po' mentre egli completava il primo giro di mattoncini di sabbia. – Che cosa sono quei tondi agli angoli?
- Le basi per le torri di guardia.
- A guardia di che?
- Dei lupi. Dei barbari.
- Chi sono i barbari?
- Gente cattiva, feroce.
- E che cosa vogliono?
- Rubare tutto quello che abbiamo, e farci del male se non glielo diamo.
- Ah. E tu ne conosci?
- Oh, sì. Tanti.
- E come sono?
- Mica tanto diversi da noi. Puoi confonderti.
- E quella striscia che cos'è?
- La traccia per il ponte levatoio.
- Ma lo possiamo chiudere se vengono i barbari?
- Certo. Però qualche volta non si fa in tempo. E delle volte sono già dentro.
La bambina alla fine si era alzata da terra ed era venuta a guardare da sopra la schiena dell'uomo. – Vuoi che ti vada a prendere dell'acqua?
- Brava. Ecco il secchiello.
La bambina zampettò fino alla riva e ne tornò col recipiente sgocciolante, si accucciò e cominciò anche lei a impastare polpette di sabbia, passandole man mano all'uomo.
- E lì, in quel quadrato grande, che cosa ci fai?
- La sala delle feste.
- Perché non alzi le mura?
- Vedi, prima dobbiamo fare quello che c’è dentro, tutte le stanze. Le mura le tiriamo su dopo.

Apparivano all'esterno camminamenti, mastii e contrafforti; gli ambienti man mano prendevano forma: corridoi, saloni, accenni di scale, bugigattoli.
- Ecco, queste sono le cucine. E questa è la camera da letto della regina.
- Così grande?
- Per la regina, questo e altro.
- C'è una stanza per la principessa?
- Come no? eccola. Guarda verso il mare.
La bambina smise per un momento di strizzare la sabbia bagnata; l'acqua le gocciolò lungo il magro braccino. Valutò la distanza dal mare strizzando gli occhi.
– Così se arriva il principe con la sua nave lei lo vede subito!
- Proprio così.
Lei sorrise, persa in un suo pensiero. Anche l'uomo sorrise, brevemente.
- E dove sta la stanza delle torture?
- Vediamo. Hmmm. Facciamo che è questa qui.
- Ma se hai detto che quella è la camera da letto!
- Delle volte è proprio la stessa cosa.
La bambina si alzò in piedi sfregando sul costume le mani impiastrate di sabbia; non era facile capire i grandi. Accantonò l'informazione nello sconfinato magazzino delle cose inquietanti e incomprensibili e tornò ad accucciarsi.
- E il tetto quando lo facciamo?
- Quando abbiamo finito le stanze. Su, guardale bene per l'ultima volta, perché per fare il tetto adesso dovremo riempire tutti gli spazi all'interno, sennò, come fa a stare su?
- Oh, che peccato. Mi piaceva la stanza della tortura.
- Possiamo farne a meno, sai. Coraggio, riempiamo tutto.

 La bambina diligentemente versava la sabbia bagnata tra gli spazi delle mura, e vi batteva sopra con la paletta. Le stanze così sommerse man mano sparirono, e con esse scomparve qualunque cosa avessero significato, o ricordato.

- Ancora, ancora. Dobbiamo fare un castello molto alto, un grande castello.
- E ci vogliono le torri! Ancora più alte!
- Certo, abbi pazienza.
- Io che cosa posso fare?
- Beh, qualcosa qui fuori, non so; il fossato, una strada, per esempio.
- Ah, lo so. Un giardino, ecco; posso fare un giardino?
- Certo, se sai come si fa.
- Che cosa credi? certo che lo so. Si comincia col fare un quadrato, qui dalla parte del mare. Poi ci vanno le siepi e gli alberi. Guarda, quegli stecchi vanno proprio bene. Ecco, mettiamoli in fila; e con queste alghe facciamo dei cespugli. E in mezzo, in mezzo…
 La bambina si guardò intorno , trovò il guscio di una grossa patella e la piazzò ritta nel centro del quadrato.
- Sì, sì, una bella fontana!
Poi raccolse manciate di quei microscopici frammenti di conchiglie che ricoprono i bagnasciuga e li depose attorno alla "fontana".
- Ecco, questa è la ghiaia; ci facciamo uno stradello che porta fino alla panchina sotto gli alberi. Guarda, la faccio con questo stecco di gelato.
- Una panchina? e che te ne fai?
- Non è mica per me.
- E per chi, allora?
La bambina era intenta a comporre quell'incantato angolo di giardino, la punta della lingua appena sporgente da un lato della bocca. Sedette sui talloni a rimirare la propria opera.
- Per te e per la mamma. La sera passeggiate in giardino, poi vi sedete qui, sotto gli alberi, e parlate.
- Di che cosa?
- Del mare. Della luna.
L'uomo ebbe un breve singulto.

Ormai era il tramonto. Nel cielo ancora chiaro saliva la luna, appena una pallida falce.
- Vedi, il castello è finito.
- Già, proprio finito. Non manca niente.. Guarda, la marea sale e sta riempiendo il fossato che circonda il castello. Come un castello vero.
- Però l'acqua coprirà anche il mio giardino.
- Diventerà un giardino fantastico sotto il mare, per le sirene. Saranno contente.
- Però io non lo vedrò più!
- Non si può mai sapere. Ora possiamo andare a fare il bagno. Dobbiamo toglierci di dosso tutta questa sabbia bagnata.
- Ma dicono che ci sono le meduse!
- Non ci sono meduse, oggi. Tienimi la mano.
L'acqua grigia e calma si muoveva quasi sospirando.
- Vedi, a quest'ora l'acqua non è mai fredda. Anzi, è molto dolce, e buona. Sì, è tutto perfetto.
- Perfetto per cosa?
- Non so, mi è venuto così.
- Sì, è bello! e poi hai ragione, niente meduse! Ci spruzziamo?
- Dai!
E l'uomo e la bambina presero a lanciarsi addosso schizzi d'acqua tiepidi e trasparenti; immergevano le mani fino ai gomiti in quello specchio rosa e grigio poi le sollevavano trascinando cascate perlacee che si infrangevano sul capo o sul petto dell'altro. L'uomo si sbilanciò e cadde all'indietro con un gran tonfo, riemerse sputacchiando e la bambina rise, e anch'egli rise.
- Su, dammi la mano, andiamo dove si può nuotare.
- Ma io non so ancora nuotare.
- Ci sono io. Non aver paura. Io sono qui, con te. Sempre con te.

Era l'ora quieta in cui il mare prende lo stesso colore del cielo. Il breve arco della luna sembrava appiccicato su quello sfondo azzurro-grigio come in un collage. Oltre la linea dei massi frangiflutti, due piccole figure avanzavano nell'acqua, lievi, come scivolando. Appena due virgole su di un foglio di carta increspata. Un gabbiano fendette l'orizzonte e sparì verso terra; lontano, nella curva della costa, si accesero le prime luci.
Il mare ansava piano, soltanto un lieve sussurro quando le onde toccavano la spiaggia; non c'era neppure un refolo di vento che portasse l'aroma resinoso dei pini. Comunque, i due sarebbero stati ormai troppo lontani per sentirlo, persi nella luce pacata delle acque.

domenica 16 ottobre 2016

Monte Guastanella: fu l’ultima dimora del Re Minosse?- VIDEO su InfoAgrigento

Scritto venerdì 14 ottobre 2016 18:57 da Commenta!
 
Video e intervista a cura di Roberta Barone 

Gli studi dell’archeologa palermitana Rosamaria Rita Lombardo ipotizzano l’antica sepoltura del re cretese Minosse nella viscere del Monte Guastanella, situato tra Santa Elisabetta e Raffadali- L’Intervista
Contemplato nella lista delle fortezze di Sicilia, il monte Guastanella sito in territorio agrigentino tra Santa Elisabetta e Raffadali, rappresenta un affascinante connubio tra storia, archeologia e mito. Candidato a sito naturalistico dell’Unesco, la montagna Guastanella- chiamata volgarmente Uastanedda o Vastanedda che letteralmente significa “città del re”- è stata nominata per la “Lista dei Monumenti Mondiali che Hanno Bisogno di Attenzione” grazie ai numerosi studi compiuti con determinazione e perseveranza dell’archeologa di origini palermitane Rosamaria Rita Lombardo, i quali ipotizzano l’antica sepoltura nelle sue viscere del re cretese mini Minosse.


Secondo il mito e le narrazioni di autori dal calibro di Diodoro Siculo, il re cretese Minosse morì proprio in Sicilia per mano delle figlie di Cocalo, le cosiddette Cocalidi. Giunto a Camico (antica cittadina sicana che la Lombardo identifica proprio nel territorio su cui si trova il monte Guastanella) per catturare Dedalo, Minosse fu ospitato da Cocalo e, tramite inganno delle sue stesse figlie, fu ucciso in una vasca da bagno. Come ci ricorda l’autrice del libro “L’Ultima dimora del Re- Una millenaria narrazione siciliana svela la tomba di Minosse” (Fara Editore), il corpo del sovrano fu poi sepolto in loco e gli fu eretto un duplice sepolcro: nella parte ipogea sotterranea furono deposte le spoglie, mentre nella parte superiore fu eretto un tempio in onore di Afrodite.
Sono diversi gli accademici e gli studiosi che sostengono le ipotesi, per adesso solamente avanzate, dell’archeologa Lombardo. Perfino il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si è detto orgoglioso delle ricerche aventi ad oggetto tale patrimonio storico e archeologico che aspetta soltanto di essere “riscoperto”. Ma l’onore più grande riguarda l’interesse di Paolo Orsi, grande archeologo di origine roveretana che secondo la studiosa, in uno dei suoi numerosi viaggi in Sicilia, avrebbe proprio calpestato i terreni di Guastanella.
L’obiettivo dunque rimane quello di lavorare per la candidatura di Monte Guastanella a sito sotto tutela dell’Unesco. Già lo scorso si era tenuto a Santa Elisabetta un importante convegno che aveva portato l’argomento all’attenzione delle istituzioni locali e nazionali, con la presenza dell’ambasciatore Unesco Raymond Bondin. In occasione dell’ottava edizione de “I luoghi del cuore”- il progetto promosso dal Fai- il monte Guastanella ha ottenuto il numero maggiore di voti dai cittadini per i piccoli e grandi tesori che amano e che vorrebbero salvare”.


mercoledì 12 ottobre 2016

Su La figlia della memoria

recensione di Antonio Spagnuolo

Adele Desideri, La figlia della memoria, Moretti&Vitali, 2016, pagg. 168, € 15,00 


“Disponendo lungo la memoria le pagine di un racconto che accenna a una saga familiare, la scrittrice, che sa ben dosare i salti e i ritorni – scrive Davide Rondoni nella prefazione – ci conduce in una galleria di personaggi che incidono nella luce del suo destino la propria presenza.”

È una scrittura piana, amalgamata, leggibile, simpaticamente interrotta da frasi in dialetto toscano, che per lo più fanno sorridere, da accettare e riconoscere nello stretto rigore del fraseggio, che riporta con colori le memorie di alcune figure, ma soprattutto crea nell’immaginazione del lettore una sospensione senza definizioni. La storia è intrigante, dalle mosse incerte e titubanti della bambina, alle attenzioni della prima gioventù, dalle meraviglie dei primi anni alle illusioni dell'età scolare. Il lavorio instancabile della parola passa attraverso una costante ricerca della musicalità, quasi poetica, in una misura raffinata nel gioco delle spezzature. Un fiume che si dipana tra interni ed esterni, tra intimo e familiare, tra compromessi e ripensamenti. Il vortice sessuale e sensuale che si affaccia, prepotente e disperato insieme, si stempera nelle angosce che una diciottenne può e deve superare, mentre la psiche si arrovella negli sfaldamenti delle circonvoluzioni cerebrali. Poi le mosse intrecciano desideri che rimbalzano tra la libido inaspettata, e novella in una realtà pensata e accarezzata nell’illusorietà che avvilisce e sgomenta. Confini che accerchiano, esperienze non desiderate, vertigini non richieste, angosce che investono il preconscio, vicende amorose dai sospetti virulenti, sino alla pulsione purificatrice. Lo stile è singolarmente rappresentativo per un fervore sostenuto, che gioca quasi come teatro onirico nella scia di riferimenti culturali modernamente concepiti. E la conclusione è forse una sorpresa. Una sorpresa che non riveliamo per lasciare al lettore un personale impatto caloroso e morbido.

sabato 8 ottobre 2016

STORIA D'AMORE, L'ULTIMO LIBRO DI DANIELE MENCARELLI.


In Storia d’amore, Daniele Mencarelli, prova a raccontarci di un’età dove regna sovrana la dimensione dell’immortalità, dell’eccesso, del riflesso negli altri, del contagio omologante, ma anche delle paure e delle passioni forti, talmente forti da stordire. A tener su questo testo ci sono i sentimenti buoni di cui sono armati i due protagonisti principali, sentimenti che prevalgono sulla vita, qualunque sorpresa essa riservi loro e che solo la poesia può impersonare.




Daniele Mencarelli nasce a Roma, nel 1974. Vive ad Ariccia. Le sue poesie sono apparse su numerose riviste letterarie e in diverse antologie tra cui L’opera comune (Atelier) e I cercatori d’oro (clanDestino). Le sue raccolte principali sono: I giorni condivisi, (clanDestino, 2001), Guardia alta (La Vita felice, 2005).
Con nottetempo ha pubblicato Bambino Gesù (vincitore del premio Città di Atri, finalista ai premi Luzi, Brancati, Montano, Frascati, Ceppo) nel 2010, Figlio nel 2013, Lettera d’amore (Lietocolle, 2015)

“Conosco Daniele Mencarelli da diversi anni. La sua poesia mi ha sempre impressionato per la capacità di raccontare verità nude e crude senza falsi moralismi o visioni catastrofiche del reale, anche quando vuol mettere in contatto il lettore con problematiche sociali, esistenziali e contestuali di un certo spessore. E’ un autore dalla parola forte e chiara come i messaggi che porta. Non servono giri di parole per dire ciò che accade intorno a noi, ciò che spesso siamo costretti a vedere, a sentire, certo impotenti di fronte a molto. Mencarelli è tra i pochi privilegiati capaci di saper tradurre l’esperienza di vita in esperienza poetica, capaci di costruire versi usando anche termini tecnici e specifici di un qualche ambiente particolare. Lo fa con mestiere e semplicità dando il giusto ritmo musicale per tenere su il testo poetico, con andamento a volte da canzone, a volte da filastrocca, a volte lirico e a volte spietatamente realistico. Le due raccolte di cui parleremo nell’articolo hanno molto a che fare con quanto detto e sono le ultime dell’autore. Evidenziamo subito che, tra l’altro, sono collegate tra loro dall’età protagonista dei testi, che è quella dell’infanzia, e che sono ambientate in suggestivi quanto reali contesti di vita. Il libro primo inusualmente in un ospedale, il Bambino Gesù di Roma, da cui prende il titolo il libro stesso; il secondo in famiglia, nel rapporto specifico in ciò che si crea nell’uomo che da figlio diventa padre. “Bambino Gesù” e “Figlio” sono editi entrambi da Nottetempo di Roma nel 2010 e nel 2013.” [http://www.altritaliani.net/spip.php?article2199]

Così scrivevo a marzo del 2015, intorno alla poetica di Mencarelli e dei suoi due ultimi libri. Oggi, a distanza di un anno e mezzo circa, torno a parlare di questo autore e del suo recentissimo lavoro Storia d’amore. Lo faccio apprestandomi al confronto e alla ricerca di une liaison fra questa sorta di trilogia sull’amore, perché - anche se così non fosse nelle intenzioni dell’autore, che la poesia spesso sfugge di mano al poeta, prende strade altre rispetto a quelle programmate – ciò che appare, ciò che resta impresso al lettore attento è proprio questa traccia che viene ripresa sui diversi tipi d’amore. L’amore per la sofferenza altrui – una sofferenza bambina, in specie -, l’amore per i propri figli – anch’essi bambini -, l’amore della giovinezza – quell’amore, il primo probabilmente, che si prova appena usciti dall’età bambina -. E di quest’ultimo, tutto ciò che accompagna l’età in cui viene vissuto: un’età dove regna sovrana la dimensione dell’immortalità, dell’eccesso, del riflesso negli altri, del contagio omologante, ma anche delle paure e delle passioni forti, talmente forti da stordire. Ebbene, il vissuto dei personaggi in questo contesto temporale, Mencarelli prova a raccontare in poesia, con passaggi a volte tremanti - magari per l’incedere di ricordi personali, per i propri vissuti che forse riaffiorano e non sempre sono stati metabolizzati - ma certo con tutta la forza della sua parola poetica, che non arretra neanche di fronte a un’impostazione di una love story che potrebbe far pensare a un déjà-vu, perché a tener su questo testo ci sono i sentimenti buoni di cui sono armati i due protagonisti principali, sentimenti che prevalgono sulla vita, qualunque sorpresa essa riservi loro e che solo la poesia può impersonare.

Storia d’amore



Storia d’amore (Lietocolle, Collana pordenonelegge, 2015) è dunque l’ultima fatica letteraria di Daniele Mencarelli. Il libro, articolato come un poemetto, in stanze datate, è ambientato negli anni ’90 e racconta la storia di due ragazzi giovanissimi (16 lui e 14 lei) che si innamorano e vivono la loro storia fino in fondo, circondati da un contesto studentesco che accoglie gli eccessi, ripudia – o almeno sembra ripudiare – i sentimenti, coinvolge e condanna i “non omologati”, induce spesso a scelte estreme per dimostrare pari dignità di comportamento. Non c’è commiserazione, non ci sono rimpianti, non c’è giudizio in questo lavoro. Ciò che ne esce è una sorta di cronaca dei fatti e, soprattutto, dei sentimenti che fanno grande l’uomo che - sebbene adolescente – è in grado alla fine di affacciarsi alla vita, di accettarne anche i risvolti più terribili come la morte. E c’è, soprattutto, la dimostrazione che la grande capacità di amare in maniera totalizzante, come se l’eternità appartenesse a quell’amore, può essere compresa anche in un’età giovanile dove ancora non è stato possibile vivere esperienze confrontabili. A mio avviso, il grande merito dell’autore sta nella dimensione empatica in cui è riuscito a calarsi, vivendo insieme ai suoi personaggi la stessa trama degli eventi, provando gli stessi impulsi e gli stessi sentimenti, al maschile e al femminile, allo stesso modo e nello stesso tempo. Inoltre, il versificare serrato e ritmato, che danno all’insieme un ritmo musicale - qualcuno ha detto di ballata popolare - di non certo banale realizzazione, forniscono gli strumenti per accelerare l’andamento della storia e al tempo stesso memorizzarla, rendendone un testo da non dimenticare, cosa che nei lavori poetici attuali non è poi così facile incontrare.


Qualche testo da: Storia d’amore

Undici Ottobre novantadue
sedici gli anni appena scoppiati
mille i cazzotti mille i baci
strappati dalle labbra di un paese
sgranato passo dopo passo,
senza mai soddisfarla veramente
questa fame infelice
questo desiderio cane di carne e vita
di voglie ubriache sempre in festa.
Non arriverà il sonno ma una perdita di sensi
un corpo sfinito che s’arrende
a qualcosa dentro di feroce.

****

Ogni sera un capodanno
il fuoco d’artificio esplode nelle vene
festeggiamenti da onorare in discoteche
dai nomi di templi venerati
dove in sacrificio si portano divieti.
Lampi di luce e tenebre
s’accoppiano soffiando sulla foia
appuntita su corpi ballerini,
“è la techno-music signorina”,
è il basso dritto della cassa
che raddoppia la velocità del cuore,
è la chimica mangiata a intervalli regolari
a darci questa gioia indurita alle mascelle,
a fare di noi fratelli allo specchio
occhi sgranati e denti di coltello.

****

Non sei niente di speciale,
vorrebbe il trucco nero sulle palpebre
accendere i tuoi occhi di mistero
ma lo sguardo quattordicenne resta,
anche il rosso passato sulle labbra
non brucia del fuoco immaginato
semmai ti fa sembrare mascherata
sei un carnevale con aria da maestrina,
su una panchina in mezzo alle tue amiche
gemelle per trucco e acconciatura
se passando è solo te che guardo
è per le voci che vogliono il tuo diario
invaso dal mio nome tra mille esclamativi.
Tu sarai una bocca come le altre
una parola vuota un corpo da bucare,
di te rimarrà un racconto serale
l’ultimo dopo tutte le cose serie.

****

Nove settembre novantatrè
ho pescato in ogni tasca
rubato nella mia casa
ho venduto al miglior prezzo
la croce di quando son nato
ma ora eccomi a te
in un astuccio rosso di raso
ti dono questa piccola fede
dentro inciso nell’oro
il mio nome porterai sulla pelle,
sarà il tuo scudo sarò io
quando lontana sarà la mia voce,
ora infila al mio dito
l’anello gemello il tuo nome d’oro,
Anna sei dono sei sposa
portami senza mai stancarti,
auguri per i tuoi quindic’anni.

****

Al giudice padrone della giostra
elefante nascosto dietro un palo
dritto negli occhi di stella
preso per le spalle montuose
a bruciapelo vorrei chiedere
cosa provi a sbriciolarci
fino a tornare polvere
fango sotto la suola delle scarpe,
perché non poter tornare al mondo
per come generato un paradiso
il giusto regno alla mia diva
al suo viso che son sicuro
ore di lavoro sarà costato,
e se anche il primo ti ha tradito
spiegami lei cosa c’entri
sconosciuta da ogni male
innamorata dei tuoi doni
meravigliosi nelle sue mani,
per lei ti prego fai un’eccezione
risparmiala bella com’è ora
non strapparla mai via,
ma a che serve pregarti
dio bambino divertito
a farci carte da castello
il tuo eterno nascondino.

Bologna, 8 ottobre 2016      

Cinzia Demi