domenica 4 dicembre 2016

"Tamburi" di Andrea Tavernati

 Conosco Andrea Tavernati da poco tempo ma tanto mi è bastato per comprendere la natura di questo autore, la passione che mette in ogni cosa che fa, l’attenzione e il profondo rispetto per il lavoro poetico suo e degli altri. Doti rarissime in una modernità dove l’arroganza e la superficialità travalicano di gran lunga i buoni sentimenti e i valori che fanno parte anche di quella sana dimensione poetica che è sempre in cerca della verità e della conservazione della bellezza. Tavernati si presenta al suo pubblico con questa nuova raccolta, dal titolo Tamburi, titolo quanto mai emblematico, che mette in scena una sorta di visione antropologica di contenuti e musicalità del verso, che riporta il pensiero alle origine, proprio laddove è nata anche la poesia.


Tamburi


Quando ho ricevuto il libro Tamburi di Andrea Tavernati, così, a pelle, ho subito pensato a un lavoro che avesse a che vedere con l’antropologia, con lo studio delle tradizioni e dei riti di popoli che utilizzano questo strumento per scandire suoni ed emozioni, con tempi e un sentire forse non sempre consonante con il nostro. In realtà il lavoro di questo autore si spinge ben oltre e , certo utilizzando la cadenza roboante dell’oggetto nominato nel titolo, ci introduce – con passaggi intensi nello scorrere delle pagine – in sezioni che, richiamando proprio quel ritmo musicale, ci permettono di confrontarci con un Primo movimento laddove l’equilibrio sempre instabile dell’anima poetica tende a riordinare il perenne ossimoro degli armonici contrari, e  a ricostruire la narrazione degli affetti che nostalgicamente tornano, anch’essi in una visione martellante, certo per la paura della dimenticanza, della perdita, dell’assenza. Visione in cui non manca un passaggio sull’amore che, attraverso lo sguardo, permette all’autore di recuperare l’energia necessaria a continuare la sua strada. In Americhe (Interludio) Tavernati sperimenta la dimensione geografica della poesia, portandoci le voci e le immagini del viaggio compiuto, restituendoci le problematiche di popoli che hanno nel loro DNA musica e povertà, vacillano sotto il peso delle differenze/indifferenze col/del resto del mondo. Ed è una poesia che racconta e che soffre, che ferisce e denuncia, che acchiappa le redini dell’eterno conflitto d’interessi tra i poli opposti del mondo. Anche questo è il compito del poeta, che sa fare esperienza poetica di ciò che come esperienza vive, sente, a volte subisce. Infine, nella terza parte, Secondo movimento assistiamo a una ripresa dei temi più esistenziali, più introspettivi, come se ai due estremi del lavoro - laddove il centro è dato da un fondante nucleo di poesie civili - l’autore sentisse premere la necessità di tessere una trama che lo coinvolge negli interrogativi più esigenti per i quali, spesso, non si trovano risposte: il futuro dell’Universo tutto, l’importanza di ciò che conta veramente, la disperazione per il raggiungimento di una sorta di rassegnazione, di impossibilità a reagire perché le cose accadano.
Meno male che Tavernati chiude il libro con una poetica della speranza, con una voglia di rinascita perché la poesia possa servire almeno a questo. Non tutto il male viene per nuocere, e al poeta spetta il compito di illuminare gli spazi bui, di creare un’immagine – come quella finale e memorabile: Non conosco questa terra nuova./Ma poi, al chiuso,/da ogni lato,/i fiori/si apriranno.


Alcuni testi da: Tamburi

Nascita

Secco mi chiama
l’imperioso soprassalto
del corpo inatteso
sul muro del suono.
Vibra odioso
come tendine reciso.
Dormivo sotto il sudario.
Al punto di svolta preciso
laceratasi piano piano
la tela mi cede
stupito
alla luce risorta.

*****

Antenati

Quanti lasciati andare
davvero sono partiti.
La traversata scansa gli affogati
in un gorgo d’occhi di triglia.
Dubitano le nere pupille
l’arte del nuotatore
sanno dove cadono i gravi
che non so perdere gli avi.
Quanto pesca la chiglia
tra decrepiti lari,
la corrente a galla
indulgente li rinviene.

*****

Miei cari

Il cauto scorrere osservate
come non vostro
che muove lentamente
sognandosi il fiume,
caro padre, cara madre.

I vostri dolci gesti
nervosi
appena scontano
il pendio dei passati
misurano ricordi blanditi
in affetti tenaci.
Una lenta mestizia
v’intride
nei turbamenti
che i nostri aratri scavarono
separandoci
sole dopo sole:
sui miei cammini
pieni di pensieri
non vi siete inoltrati.
Ma non vi conduca
per tristi sentieri
il mio scivolare lontano:
il vostro segno piano
fisso ho negli occhi,
la sbucciatura ai ginocchi
un po’ m’è rimasta
come nelle vostre mani
così calde e vaste
la promessa d’un domani.
Il rito più calmo lo sento
e periodicamente torna
il segno del destino che schiuma
in un’ansa giocando
con la nostra debole alga,
agitandoci questo strano ascendente
fatto di latenze e pudori
puerili timori
inconfessate giacenze.

*****

Disneyland

Tra guerre di soldatini
scontri di macchinine
un Pluto di pelouche mi azzannò
e affatato fui nella faglia d’infanzia:
Disneyland, che lontana utopia
che miraggio della fantasia!

Oggi, nel lungo assestamento
nella presunta maturità
ai varchi del parco
monta la guardia
un altro Pluto
trentenne e muto.
Pellegrino vagante
sui ritagli del bimbo che fui
tra paffutelli pupi stars and stripes
scorgo l’adulto disagio
degli altri fuori tempo:
cigli offuschi, piagati sorrisi
di fallite infanzie
inadatte a giungere in orario
sulle sincronie dl cuore.

*****

Ritrovamenti

Contraffatte secondo il protocollo
antiche emozioni trapelano
dal cassetto aperto.
L’oggetto fluttua sfocato
al netto del ricorso.
Una mina vagante
connessa in rete neurale
con la grazia dell’occhio
il senso della mano:
inquieta l’io con l’eco di lontane tempeste.
Si tradiranno le cose nostre
levate dal remoto passato
per l’ottativo, il forse, il di cui.
Offuscato il senso
di sottintesi rimandi note a margine chiose,
una corona di fiori appassiti
lo suggella e l’archivia.

Andrea Tavernati, nato a Pavia nel 1960, vive in provincia di Como. Laureato in Filologia medievale e umanistica e diplomato in Paleografia e Archivistica, ha lavorato dapprima come insegnante e, ormai da molti anni, come creativo pubblicitario e copywriter a Milano. Ha viaggiato soprattutto negli Stati Uniti e in Messico, dove ha collaborato per un breve periodo con una associazione umanitaria dedita alle popolazioni maya. Nel 2013 ha pubblicato con la casa editrice EEEBook il libro di poesia L’Intima Essenza, la via degli haiku. Nel 2015 ha pubblicato una raccolta di racconti E Niente Indietro (Factory editoriale I Sognatori). L’ultimo libro edito è Tamburi, uscito per Gattomerlino/Superstripes, nel 2015. Con i propri testi poetici e narrativi è presente in numerose antologie ed è stato premiato in diversi concorsi. E’ vice presidente della casa della Poesia di Como.

Bologna, 4 dicembre 2016


Cinzia Demi

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