mercoledì 9 novembre 2016

Dedicato a Umiltà e Letizia

Intervento di Adalgisa Zanotto
alla kermesse faentina Umiltà e letizia
 
 
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Ti desidero cara Umiltà.
Se ti possedessi potrei dire a un gelso: sradicati e va' piantarti nel mare.
Non mi fai violenza, vuoi che t’incontri nella libertà.
Non ti distribuisci, mi parli e mi chiami attraverso la natura, gli eventi, le persone: posso cogliere gli appelli, lasciarmi risvegliare, interrogare, sorprendere.
Cara Umiltà sei pane per l'intelligenza, sfami attraverso il dialogo, la ricerca, il confronto. Tu m’aiuti a percepire la presenza del bene e del bello!
Se sono umile sono forte, mi colmo della speranza che feconda le relazioni.
Vieni quando mi spoglio dalla presunzione di avere la verità e provo cogliere il bussare dell’altro che mi chiama a correggere certi miei pensieri, ad allargare le mie visioni, ad ospitare l’interminabile venire dello Spirito che fa nuove tutte le cose.
Tu vieni quando agisco con gratuità, quando ho amore per niente: amare l’altro non per interesse, ma per l’altro (quanto bisogno di gratuità nelle mie relazioni!).
Hai bisogno di “inutilità”.
Con te non corro il rischio di assopirmi o peggio d’addormentarmi. Esigi che sia sveglia, per cogliere il bussare di Dio. Anche quando mi sento inadeguata o, meglio, impaurita. Smarrita, senza numeri e senza rilevanza, tu mi dici “Non temere, piccolo gregge”. perchè al Padre è piaciuto consegnare a te il suo progetto, il suo sogno di una nuova umanità. Egli non opera attraverso i grandi numeri o con l’imponenza delle qualità, ma attraverso l’umiltà fatta debolezza.
Con te posso crescere, pormi in ascolto, diventare caparbia cercatrice dei semi di verità. Sentirmi fallibile, mai arrivata, per accogliere l’incessante novità, per rompere le incrostazioni che mi chiudono occhi e orecchie e non mi permettono di scorgere possibili orizzonti e ascoltare stimolanti voci profetiche, che indicano strade nuove e impreviste.

Cara Umiltà e sorella Letizia, ambedue siete doni scritti, per così dire, nella mia carne. Cercando l'una incontro l'altra.
Il mio cuore è un abisso senza fine, in cui più verso e più sento il bisogno di versare. Quanto è grande la sete di gioia!
Paradossalmente trovo la gioia quando non la cerco, quando mi occupo dell'altro. Quando provo a vivere l’accoglienza, la disponibilità, la pazienza, quando provo a mettermi a servizio della gioia altrui, allora trovo la mia. Mi viene incontro come un tesoro inaspettato e mi riempie fino all'orlo.
Prestigio, potere e fama danno gioia vana! "Non è in ciò perfetta letizia": Francesco ha trovato la vera gioia diventando fratello, il più piccolo fratello di tutti gli uomini e di tutte le creature. Non ha cercato di impadronirsi avidamente della vita, ma l’ha accolta come un dono espresso in ogni essere vivente, per quanto piccolo e insignificante possa apparire.
E «mi copre col suo manto», dice Isaia. Come il profeta vorrei abbandonarmi nelle tue braccia cara Letizia, come vaso spezzato che tu sani.
Mi confermi che il mondo si regge sulla luce e non sulla prevalenza del male, che vale molto più accendere la gioia nella notte che solo imprecare e denunciare il buio. Davanti alle reali difficoltà posso passare il tempo a lamentarmi oppure posso cercare nuove soluzioni e opportunità, posso osare, avere il coraggio di alzare lo sguardo per squarciare il cielo.
M’inviti alla leggerezza, all’attitudine a trasformare in positivo tutto ciò che mi capita, ad accettare gli inevitabili disagi della vita, a sopportare con pazienza e serenità l’offesa e il dolore.
Mi chiedi “Tu, cosa dici di te stessa? Cosa cerchi?”
Domande per me. Non sono la persona prestigiosa che vorrei essere, né l'insignificante che temo di essere; non sono ciò che gli altri credono di me, né santa, né solo peccatrice; non sono il mio ruolo, non sono ciò che appaio. Sono una cercatrice, una mendicante. Nel cercare di essere autentica, vera, senza paura di riconoscere i miei limiti e le mie ombre, mi si apre una gioia alta, che mi attraversa e abita, strumento di qualcosa che viene prima di me, che sarà dopo di me, che mi chiama a diventare ciò che sono, a fare un cammino d'interiorità che mette a fuoco il positivo.
Cara Letizia sei in sorgenti che non mi appartengono, che non verranno mai meno, alle quali potrò sempre attingere.
Sei profeta, trasmetti parole lucenti, gridando nel deserto di queste città, o sussurrando a cuori feriti.
Non t’incontro nelle mie sicurezze, ma nell’abbandono al sostegno del Maestro, non con uno sforzo ideologico o di volontà ma nella certezza di essere amata.
Nel Cantico delle Creature, inno della gioia dell'universo creato, Francesco ti contempla nel sole, nella luna, nelle stelle, nell'utilità del vento, dell'acqua, del fuoco, della fecondità materna della terra. Il suo sguardo non è quello dello scienziato e neppure quello del poeta, ma quello di un figlio di Dio. Nel luogo dove è se stesso, è lì che sorella Letizia lo sfiora, lo tocca. E la sua vita annuncia un Dio desiderabile, lieto e coinvolgente.

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