mercoledì 2 novembre 2016

Cent'anni di sogno: umiltà e letizia di Rosaspina





In questo intervento ho proposto un estratto dello spettacolo teatrale La Bella Addormentata nel Bosco – Il tempo del sogno, scritto e interpretato da me e da Giancarlo Sissa.
Che cosa accade nei cento anni di sonno e sogno di Rosaspina?
Siamo partiti da questa domanda, studiando le più antiche origini della fiaba fino ad arrivare ai capolavori poetici, filosofici e spirituali del Novecento, per raccontare un cammino che conduce al risveglio.
In questo lungo cammino Rosaspina passa inevitabilmente per la via dell'umiltà, della bellezza e della letizia, e lo fa attraverso le parole di Etty Hillesum, Simon Weil, Cristina Campo, ma anche Renè Daumal e tanti altri.


Narratore:

Dopo la maledizione della strega, fra la gente atterrita, si fece avanti la dodicesima fata, che doveva ancora formulare il suo voto e disse:
Annullare il crudele decreto non posso, ma posso mitigarlo, principessa tu non morirai, ma cadrai in un profondo sonno, che durerà cent’anni… Tutte le tue virtù e il tuo sapere verranno mutati in confusione e il tuo spirito e i tuoi pensieri saranno immersi in un oceano di dubbi. Una sola cosa allora potrà aiutarti a vincerli e a rischiarare il cammino che conduce al risveglio: L’umiltà. Questa è la virtù di cui io ti faccio dono.

                                             

Rosaspina:

Due mondi e io vengo dall’altro.
I ricordi più antichi dei miei primissimi anni di vita sono ricordi di sogni. Da allora è sempre nello stesso posto che mi portano: lo stesso bosco, lo stesso palazzo… Ma soprattutto la vita che si conduce, il dramma e la commedia che vi si recitano eternamente secondo rigorose leggi cariche di simboli.

Arrivata qui, nel paese della lunga prova, per un momento tutto si è confuso ai miei sensi, io mi trovavo sulla soglia tra due mondi, come due abissi.
Cancelli di spine furono dapprima il termine del mio mondo, e dietro vi era uno spazio infinito, carico di minacce ma anche di eternità.
  
Entrai nell’altra notte, ai confini del tempo e dell’eterno, dove la bellezza è posta come suprema aristocrazia. Sopra di me eterna luce, calma per quanto era fulgida; e in cerchio, sotto di me, il tempo, in ore, giorni, anni, sospinto dalle sfere, come una grande ombra si muoveva e tutto il mondo vi era scagliato dentro.

Vidi tutte le tentazioni gettate come un’immensa rete sulla terra, emisi un gemito di spavento…come potrò salvarmi?
Una voce confusa tra i miei pensieri mi disse:
Togli le tentazioni e nessuno sarà salvato poiché anche i più eccellenti doni, se non sono accompagnati da qualche avversità, sono una rovina per coloro che li ricevono… Abbassati per oltrepassare l’ostacolo…

Ora la mia coscienza risiede oltre il tempo, oltre al caos e alla ragione, in un mondo celato al mondo.
Questo universo onirico non ha sole e ogni oggetto si illumina della sua propria luce. Sole che vede, spalancato nel regno notturno della perfetta solitudine. È il paese delle metamorfosi, e io mi muovo in un campo ignoto come fa il corpo nello spazio quando si è svegli, perché questo sogno è reale e forse comune ad ognuno di noi.

Mi accorgo che il mio spirito dorme, se fosse sempre sveglio raggiungerei presto la verità che forse mi circonda.
Come potrò descrivere tutto ciò? E far sentire come la vita sia bella e degna di esser vissuta, e giusta, proprio giusta. Come potrò parlare di umiltà senza dar prova di esserne totalmente priva? Credere di essere umili è una chiara manifestazione del fatto che non lo si è…? Nell’oro e nell’azzurro di questo Sogno, dovrò traversare e farmi traversare da deserti… La mia posizione mi espone più degli altri a credermi la migliore, lo spirito di vanagloria mi ferisce, sfruttando le mie stesse virtù, mi fa cadere e ricadere tra i corridoi di questo palazzo dove non ho finito di perdermi…

Però la mia vita sembra nutrirsi, come l’uccello dell’Upanishad che guarda il frutto senza mangiarlo. È un sapore improvviso, di intensità straziante, la felicità quasi mortale dello sguardo senza possesso.

Giorno dopo giorno, di visione e silenzio, vado più oltre dentro di me, a ritrovare l’antica speranza che dorme ancora in fondo alla mia coscienza.
Cammino verso le mie più buie radici e verso il cielo, ma non mi muovo verso l’oblio, come la legge del tempo lo vorrebbe, vado invece verso la memoria, la prima terra, verso il mistero delle radici…

Dall’inizio di questo sogno la mia vita è in gioco. Se il seguito di annunciazioni velate, non saprà tradursi in seguito di atti ispirati e di scelte sempre più candide non potrò svegliarmi.
Con un cuore legato non si entra nell’impossibile

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