lunedì 17 ottobre 2016

Niente meduse oggi pomeriggio (Giovanna Passigato)

Un racconto di Giovanna Passigato  letto alla kermesse faentina Umiltà e letizia (qui un fotoracconto) 






NIENTE MEDUSE OGGI POMERIGGIO


La bambina avanzava di malavoglia saltellando sulla sabbia.
- Scotta.
- Dai, solo due passi e siamo arrivati.
- Era meglio là.
- Là dove? al bagno Tripoli?
- Sì. Ci sono le patatine e gli scivoli.
- Ma qui l'acqua è più bella.
- Però ci sono i sassi.
- Ma che sassi! solo un po' di sassolini. Piccoli piccoli.
- Hai una gomma?
- No, non ce l'ho.
- Perché non ce l'hai?
- Io non ne mastico, di gomme. Rovinano i denti.
- Ma io sì.
- Beh, oggi dovrai farne a meno.
- Lo sapevo che era una palla.
L'uomo si fermò, fece per dire qualcosa, ma tacque. Poi, timidamente:
- Però oggi ti farò vedere qualcosa che non hai mai visto prima.
La bambina si girò verso di lui con aria di sufficienza e sottile disprezzo.
- Qua?
E prese a guardarsi intorno. La baietta sassosa, divisa dalla spiaggia da una fila di dune e da una macchia di pini marittimi, digradava dolcemente verso il mare
- E qua, che cosa facciamo?
- Ecco, dei castelli con la sabbia.
- Non sono mica così piccola.
- Lo so, ma vedrai che come li faccio io non li sa fare nessuno.
- E perché non me li facevi quando ero piccola?
- Non lo so. Stavi sempre con la mamma, credo. Ma oggi ci sono io con te.
- Bella fatica. Solo un sabato ogni quindici giorni.
- Non sono io che ho deciso così.
Mentre egli tracciava sulla sabbia granulosa della battigia i contorni delle fondamenta, la bambina lo guardò di sottecchi, poi stese in terra l'asciugamano e si sedette compostamente inforcando gli occhiali neri a forma di cuore.
L'uomo sospirò, prese il secchiello e andò a riempirlo d'acqua. Tornò, si accoccolò a terra, immerse un pugno di sabbia nell'acqua strizzandola per bene. Ne fece una polpetta soda e cominciò a porre i primi basamenti del castello.
La bambina posò gli occhiali e si sporse verso di lui. – Adesso che ci penso, è da quando sono finite le scuole che non ti fai vedere.
- Ma se eri andata via con tua madre!
- Eravamo dai nonni, in montagna. Lei diceva che tu non avevi tempo.
- Questo diceva?
- Beh. Insomma. Te comunque non ci sei mai.
L'uomo fece per ribattere, ma tacque.
La bambina si sdraiò a pancia sotto, i gomiti a terra, le gote sulle palme delle mani. Poi, condiscendente: - Vabbé. Se vuoi giocare coi castelli, gioca pure.
- Veramente io pensavo di farli assieme a te. Per esempio, potresti portarmi l'acqua col secchiello.
- Ma allora mi tocca lavorare!
- Se vuoi un castello, sì. Qualunque castello.
La bambina restò a guardarlo per un po' mentre egli completava il primo giro di mattoncini di sabbia. – Che cosa sono quei tondi agli angoli?
- Le basi per le torri di guardia.
- A guardia di che?
- Dei lupi. Dei barbari.
- Chi sono i barbari?
- Gente cattiva, feroce.
- E che cosa vogliono?
- Rubare tutto quello che abbiamo, e farci del male se non glielo diamo.
- Ah. E tu ne conosci?
- Oh, sì. Tanti.
- E come sono?
- Mica tanto diversi da noi. Puoi confonderti.
- E quella striscia che cos'è?
- La traccia per il ponte levatoio.
- Ma lo possiamo chiudere se vengono i barbari?
- Certo. Però qualche volta non si fa in tempo. E delle volte sono già dentro.
La bambina alla fine si era alzata da terra ed era venuta a guardare da sopra la schiena dell'uomo. – Vuoi che ti vada a prendere dell'acqua?
- Brava. Ecco il secchiello.
La bambina zampettò fino alla riva e ne tornò col recipiente sgocciolante, si accucciò e cominciò anche lei a impastare polpette di sabbia, passandole man mano all'uomo.
- E lì, in quel quadrato grande, che cosa ci fai?
- La sala delle feste.
- Perché non alzi le mura?
- Vedi, prima dobbiamo fare quello che c’è dentro, tutte le stanze. Le mura le tiriamo su dopo.

Apparivano all'esterno camminamenti, mastii e contrafforti; gli ambienti man mano prendevano forma: corridoi, saloni, accenni di scale, bugigattoli.
- Ecco, queste sono le cucine. E questa è la camera da letto della regina.
- Così grande?
- Per la regina, questo e altro.
- C'è una stanza per la principessa?
- Come no? eccola. Guarda verso il mare.
La bambina smise per un momento di strizzare la sabbia bagnata; l'acqua le gocciolò lungo il magro braccino. Valutò la distanza dal mare strizzando gli occhi.
– Così se arriva il principe con la sua nave lei lo vede subito!
- Proprio così.
Lei sorrise, persa in un suo pensiero. Anche l'uomo sorrise, brevemente.
- E dove sta la stanza delle torture?
- Vediamo. Hmmm. Facciamo che è questa qui.
- Ma se hai detto che quella è la camera da letto!
- Delle volte è proprio la stessa cosa.
La bambina si alzò in piedi sfregando sul costume le mani impiastrate di sabbia; non era facile capire i grandi. Accantonò l'informazione nello sconfinato magazzino delle cose inquietanti e incomprensibili e tornò ad accucciarsi.
- E il tetto quando lo facciamo?
- Quando abbiamo finito le stanze. Su, guardale bene per l'ultima volta, perché per fare il tetto adesso dovremo riempire tutti gli spazi all'interno, sennò, come fa a stare su?
- Oh, che peccato. Mi piaceva la stanza della tortura.
- Possiamo farne a meno, sai. Coraggio, riempiamo tutto.

 La bambina diligentemente versava la sabbia bagnata tra gli spazi delle mura, e vi batteva sopra con la paletta. Le stanze così sommerse man mano sparirono, e con esse scomparve qualunque cosa avessero significato, o ricordato.

- Ancora, ancora. Dobbiamo fare un castello molto alto, un grande castello.
- E ci vogliono le torri! Ancora più alte!
- Certo, abbi pazienza.
- Io che cosa posso fare?
- Beh, qualcosa qui fuori, non so; il fossato, una strada, per esempio.
- Ah, lo so. Un giardino, ecco; posso fare un giardino?
- Certo, se sai come si fa.
- Che cosa credi? certo che lo so. Si comincia col fare un quadrato, qui dalla parte del mare. Poi ci vanno le siepi e gli alberi. Guarda, quegli stecchi vanno proprio bene. Ecco, mettiamoli in fila; e con queste alghe facciamo dei cespugli. E in mezzo, in mezzo…
 La bambina si guardò intorno , trovò il guscio di una grossa patella e la piazzò ritta nel centro del quadrato.
- Sì, sì, una bella fontana!
Poi raccolse manciate di quei microscopici frammenti di conchiglie che ricoprono i bagnasciuga e li depose attorno alla "fontana".
- Ecco, questa è la ghiaia; ci facciamo uno stradello che porta fino alla panchina sotto gli alberi. Guarda, la faccio con questo stecco di gelato.
- Una panchina? e che te ne fai?
- Non è mica per me.
- E per chi, allora?
La bambina era intenta a comporre quell'incantato angolo di giardino, la punta della lingua appena sporgente da un lato della bocca. Sedette sui talloni a rimirare la propria opera.
- Per te e per la mamma. La sera passeggiate in giardino, poi vi sedete qui, sotto gli alberi, e parlate.
- Di che cosa?
- Del mare. Della luna.
L'uomo ebbe un breve singulto.

Ormai era il tramonto. Nel cielo ancora chiaro saliva la luna, appena una pallida falce.
- Vedi, il castello è finito.
- Già, proprio finito. Non manca niente.. Guarda, la marea sale e sta riempiendo il fossato che circonda il castello. Come un castello vero.
- Però l'acqua coprirà anche il mio giardino.
- Diventerà un giardino fantastico sotto il mare, per le sirene. Saranno contente.
- Però io non lo vedrò più!
- Non si può mai sapere. Ora possiamo andare a fare il bagno. Dobbiamo toglierci di dosso tutta questa sabbia bagnata.
- Ma dicono che ci sono le meduse!
- Non ci sono meduse, oggi. Tienimi la mano.
L'acqua grigia e calma si muoveva quasi sospirando.
- Vedi, a quest'ora l'acqua non è mai fredda. Anzi, è molto dolce, e buona. Sì, è tutto perfetto.
- Perfetto per cosa?
- Non so, mi è venuto così.
- Sì, è bello! e poi hai ragione, niente meduse! Ci spruzziamo?
- Dai!
E l'uomo e la bambina presero a lanciarsi addosso schizzi d'acqua tiepidi e trasparenti; immergevano le mani fino ai gomiti in quello specchio rosa e grigio poi le sollevavano trascinando cascate perlacee che si infrangevano sul capo o sul petto dell'altro. L'uomo si sbilanciò e cadde all'indietro con un gran tonfo, riemerse sputacchiando e la bambina rise, e anch'egli rise.
- Su, dammi la mano, andiamo dove si può nuotare.
- Ma io non so ancora nuotare.
- Ci sono io. Non aver paura. Io sono qui, con te. Sempre con te.

Era l'ora quieta in cui il mare prende lo stesso colore del cielo. Il breve arco della luna sembrava appiccicato su quello sfondo azzurro-grigio come in un collage. Oltre la linea dei massi frangiflutti, due piccole figure avanzavano nell'acqua, lievi, come scivolando. Appena due virgole su di un foglio di carta increspata. Un gabbiano fendette l'orizzonte e sparì verso terra; lontano, nella curva della costa, si accesero le prime luci.
Il mare ansava piano, soltanto un lieve sussurro quando le onde toccavano la spiaggia; non c'era neppure un refolo di vento che portasse l'aroma resinoso dei pini. Comunque, i due sarebbero stati ormai troppo lontani per sentirlo, persi nella luce pacata delle acque.

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