giovedì 29 ottobre 2015

Marchio Microeditoria di Qualità a 3 pubblicazioni Fara

L'edizione 2015 del premio Microeditoria di Qualità 
ha assegnato il Marchio a tre pubblicazioni Fara come da elenco qui sotto. La premiazione del concorso si terrà SABATO 7 NOVEMBRE alle ore 10 presso le Scuderie di Villa Mazzotti, a Chiari, durante la tredicesima edizione della RASSEGNA DELLA MICROEDITORIA

NARRATIVA NOTE
Editore Titolo Autore
Tempesta Cenerentola ascolta i Joy Division Vernazza Romeo PREMIO
Alba Nel Nordest la mafia non esiste Serra Giulio MARCHIO + PREMIO GIOVANI
Fara Editore Volevo essere Bill Evans Pasquandrea Sergio MARCHIO
Laurana Una specie di paradiso Guarnaccia Fabio MARCHIO
Novecento Non avrai le mie parole Ferro Massimo MARCHIO
Leone Trio Pardi Annalisa MARCHIO
Saecula Sopravvissi, non so come, alla notte Amaini Fabrizia MARCHIO
Saecula Bambini nemici del popolo Stoenescu Lacramioara MARCHIO
Ciesse Ballerine di carta Rico Laura MARCHIO
Leone Diciannove novantuno Cavazza Davide MARCHIO
Golem Oltre la verità Catanzaro Fiorenzo MARCHIO
Solfanelli Scarpette bianche Bernava Arturo MARCHIO
Fratelli Frilli L'ultima esecuzione Gandus Roberto MARCHIO
Sensibili alle foglie Di terra e di mare Alati Marzia MARCHIO
Effigi Luci e ombre d'agosto Trice Roberta MARCHIO
Gorilla Sapiens Servirà qualcuno che ci legga, alla fine Zambotti Carlo MARCHIO
La Memoria del Mondo Le farfalle di Ebensee Trevisan Maria Pia MARCHIO
Guaraldi Mio Dio Saviane Giorgio MARCHIO
Sensibili alle foglie La domatrice del fuoco James Jessie MARCHIO
Perosini Un bacio sul naso rosso Perdonà Claudia MARCHIO
Gorilla Sapiens Un tebbirile intanchesimo e altri rattonchi Sperduti Carlo MARCHIO
Edit@ Il mare per le conchiglie Leone Mimma MARCHIO
Fernandel Comprami Campana Valeria MARCHIO
Fratelli Frilli Il dolore del fango Grillo Daniele - Valentini Valeria COGEME / MARCHIO
Splen Un cerchio nel buio Ciravolo Antonio MARCHIO
Terra d'ulivi Se mi racconti Luzzi Aurora MARCHIO
Atmosphere Libri Beatles Christensen Lars Saabye MARCHIO
Zona 42 Dimenticami Trovami Sognami Viscusi Andrea MARCHIO
GAM Gelataio a Bombay Bonomo Manuel MARCHIO
Fasidiluna I miei pensieri fanno chiasso Ancona Pasquale - Olive Vittoria MARCHIO
Golem E riaprirò gli occhi Maia Antonella MARCHIO
Tempesta Il dono della diversità Ghebreigziabiher Alessandro MARCHIO
SECOP La via delle vedove De Leo Angela MARCHIO
Damster Il figlio del boia Brentani Katia MARCHIO
Silele Lacrime sporche di inchiostro Mauro Francesco MARCHIO
Edizioni R.E.I. Corrersi via (e-book) Sicchirollo Ilaria MARCHIO
Neos Diario dell'attesa Carosio Luisella (a cura di) MARCHIO
Sensibili alle foglie Il diritto di vivere Hoxha Anila MARCHIO
       
SAGGISTICA NOTE
Editore Titolo Autore
Neos Le guerre senza nome Ferruggia Aldo PREMIO
Dielle Le monete di Roma: Augusto Leoni Daniele MARCHIO
Società Editrice Fiorentina Aldo Palazzeschi e Venezia Magherini Simone (a cura di) MARCHIO
Grafo Un girasole lo veglierà Bontempi Giovanni MARCHIO
Altravista I conflitti per la terra AA. VV. PREMIO COGEME
Lineadaria C'era una volta l'auto italiana Esposito Giovanni MARCHIO
Kimerik Ludopatia Costantino Andrea MARCHIO
Fara Editore Letture bibliche Ponso Andrea MARCHIO
SECOP I colori dell'anima De Venuto Lino MARCHIO
Saecula Le tombe dei re al tempo del terrore Billard Max MARCHIO
Società Editrice Fiorentina Parabole d'Oriente Ferri Renata (a cura di) MARCHIO
Società Editrice Fiorentina Quando i valori prendono vita SWAP (a cura di) MARCHIO
Apogeo Fava, Varliero, Marchetto tre lendinaresi nella Resistenza AA. VV. MARCHIO
Fara Editore Dove sta andando il mio italiano? AA. VV. MARCHIO
Alba Gino Bartali 100 anni di leggenda AA. VV. MARCHIO
Dielle L'identità romana Mancini Vittorio MARCHIO
Golem Dirty marketing Macaluso Emmanuele MARCHIO
Corte del Fontego A bocca chiusa Fersuoch Lidia MARCHIO
Corte del Fontego Rialto il ponte delle dispute Calabi Donatella - Morachiello Paolo MARCHIO
Altravista Ritorni. Cinema comunicazione neuroni specchio Dei Paola (a cura di) MARCHIO
Corte del Fontego Il respiro della laguna Bonometto Lorenzo MARCHIO


venerdì 23 ottobre 2015

Fariani e non solo alla Microeditoria di Chiari (BS) 7 nov 2015

Nell'ambito della intrigante e stimolante Rassegna della Microeditoria che ha luogo dal 6 all'8 novembre 2015 nella filmica Villa Mazzotti a Chiari (BS), Fara Editore è presente con uno stand dove potrete trovare le ultime uscite e le più interessanti pubblicazioni di 22 anni di attività. 




Il 7 novembre dalle ore 12.00 alle 13.00 in Sala Morcelli i seguenti autori e poeti dialogheranno con il pubblico proponendo un saporito assaggio delle loro opere:


    










Alberto Mori da Canti Digitali

Corrado Giamboni da Il Porsche a metano

Dante Zamperini da Chi scrive ha fede?

David Aguzzi da Il luogo della parola

Eros Olivotto da Elegia per la madre

Giuseppe Carracchia da Prova del nove


Luigi Cannillo da Il luogo della parola

Nino Di Paolo da Il tempo del padre

Riccardo Burgazzi da Storia del Michelasso


I Luoghi dell’Anima




Il Sole, che ha dominato per millenni su tutto il territorio di Solofra, tanto da diventarne l’emblema, ora ha sollecitato la creatività degli artisti locali e li ha spinti a mettere insieme i loro talenti, per realizzare un film documentario. L’équipe si è messa subito al lavoro anche per festeggiare degnamente i cinque lustri dell’attività teatrale di Enzo Marangelo e il decennale della Fondazione “Salvalarte”.

Enzo Marangelo ne è stato l’ideatore e sceneggiatore, nonché l’attore. Vincenzo D’Alessio ha curato, con la solita passione che lo contraddistingue, la parte storica e naturalistica. Nicolino D’Alessio ha prodotto musiche originali adatte per l’occasione. Il supporto tecnico e fotografico è stato affidato ad Antonio e Matteo Notari e a Michele Nigro.

Tra sentieri impervi e ostruiti da tronchi e rami d’alberi, Enzo Marangelo avanza lentamente, appoggiandosi ad un robusto bastone, per andare alla ricerca di un passato ormai scomparso, guidato dal viaticale Michele Gaeta, che fa scoprire, tra le nude rocce, una elefantina di pietra ed i raggi del Sole scolpiti su una pietra risalente al 1737. La voce forte di Marangelo copre il gorgoglio dell’acqua e si diffonde per la valle, mentre vengono declamati i versi del poeta lucano Rocco Scotellaro. I luoghi dell’anima vengono esplorati, indicati e raccontati da Vincenzo D’Alessio, mentre percorre l’antica via longobarda, importante direttrice di traffico. Giunto sulla collinetta di Chiangarola, valico strategico che permette il controllo della valle, si sofferma sui ruderi di torri, che un tempo controllavano il passaggio dei viaggiatori, sui resti del castello, di chiese abbandonate, di pietre miliari. E il Sole, ancora una volta, appare inciso sulla pietra e viene accarezzato a lungo. Attraverso una mulattiera, resa ancora più impervia dalla folta vegetazione, si giunge ai ruderi della fornace di tegole e mattoni della famiglia Russo, testimonianza di un antico splendore.”Gli uomini scompaiono e gli oggetti rimangono. Troppe voci arrivano nei nostri cuori nella quiete” – esclama D’Alessio, in preda ad una forte emozione, mentre prende in mano un laterizio, il luogo dell’anima rimasto integro sotto il manto dell’erba.

La storia cede il passo a leggende di tesori e magie, nate dalla colorata fantasia popolare, come quella della chiocciola d’oro. Le immagini scorrono nitide tra alture ondulate e boscose, ricamate a festoni, che si specchiano in laghetti d’acqua. Lo sguardo è rivolto al cielo azzurro contornato da nuvole che camminano veloci e poi si dissolvono, spiando l’infinito “grave di rocce sui crinali”. L’ascolto attento e assorto di Marangelo viene interrotto, di tanto in tanto, dalla sua voce, ora limpida e chiara, ora soffusa e carica di passione, che diffonde nell’aria i versi di Carmine Troisi. Dal paesaggio si passa alla descrizione accurata della Collegiata di S. Michele – l’oro della città – dove fanno bella mostra le tele di Francesco Guarini, rappresentante della pittura napoletana del Seicento di influsso caravaggesco. Il culto di San Michele Arcangelo è ben espresso nel portale d’ingresso. Lo zampillio della Fontana dei Leoni che versa “acqua frigida e lucente” e mostra orgogliosa il Sole con i suoi raggi incisi su un suo versante, si confonde con la magia del sottofondo musicale di Nicolino D’Alessio.

Il film documentario I luoghi dell’Anima, nel farci conoscere il pregevole patrimonio storico, artistico ed architettonico di Solofra, diventa scudo del tempo, testimonianza storica ed etica, perché pregno di una dimensione collettiva e sociale. È un omaggio alla Terra, che “ha capelli spettinati di donna acerba / faggete colme di aquiloni/siepi al Sole.”


martedì 20 ottobre 2015

Un racconto per Lello

di Vincenzo D'Alessio in ricordo di Aniello De Chiara a quattordici anni dalla sua morte, in occasione delle borse di studio che anche quest'anno saranno assegnate a Solofra il prossimo 7 novembre a giovani studenti della scuola media statale “F.Guarini” che si sono distinti “per l'eccellenza” nel loro impegno scolastico (un futuro radioso negli studi, si spera!)





C’era una volta una piccola città abitata da piccoli uomini chiusa in un cerchio di alte montagne distanti dal mare: l’influsso benefico del mare non raggiungeva la città dei piccoli uomini ed essi erano molto tristi. Lavoravano, vicino al corso del fiume che passava tra le case e le fabbriche, e tornavano a casa per riposarsi e riprendere all’indomani il duro lavoro.

Un bel giorno si presentò un piccolo uomo, nato nella piccola città, che era vissuto accanto al mare: ogni giorno si affacciava di buonora alla finestra della cameretta dove studiava per respirare la brezza marina del mattino, ascoltava il chiasso dei gabbiani sulla battigia, il cronometro delle onde, scrutava con lo sguardo l’orizzonte per scoprire le barche dei pescatori che tornavano a casa. Dopo gli studi fu inviato a completare la sua laurea in Francia, a Parigi, dove conobbe dotti scienziati che gli predissero un radioso futuro.

Così avvenne!

Tornato nella piccola città i suoi genitori lo inviarono nella grande città più vicina per esercitare il suo lavoro di chirurgo: “un’eccellenza!”, esclamarono dotti, medici e sapienti, quando lo videro operare i pazienti che mano a mano si presentavano nel grande ospedale; “è davvero una speranza per il presente e il futuro della Medicina”. I traguardi si susseguirono uno dopo l’altro senza interruzione: divenne primario dell’ospedale; gli fu assegnata una cattedra universitaria; si sposò ed ebbe dei figli e delle figlie; intraprese la carriera politica.

La sua esistenza si ispirava al medico santo che l’aveva preceduto, il chirurgo Giuseppe MOSCATI, era il modello nella sua missione medica: curava gli esseri umani senza tenere conto della loro condizione economica; non chiedeva compensi; si limitava allo stipendio che la sua professione gli assegnava; visitava i malati nelle loro case e i familiari rimanevano sconcertati quando tentavano di offrirgli qualche compenso per la visita. Difendeva i meno abbienti; aiutava gli onesti; si opponeva ai mafiosi affrontandoli. Quest’ultima scelta gli costò cara: i suoi superiori furono costretti a farlo scortare dalle guardie armate per ben tre anni, finché non furono catturati coloro che minacciavano la sua esistenza e quella della sua famiglia.

Viveva nella sua piccola città, qui esercitava parte della sua professione di medico quando la grande città non lo richiamava a servirla.

Una calda domenica di novembre portò un grande terremoto che uccise migliaia di persone, anche bambini, lasciando la piccola città semidistrutta. Seguì un periodo di saccheggio e di abbandono lasciando la maggior parte della povera gente nella più cupa tristezza, in tuguri tirati su alla men peggio, senza un adeguato presente. Il grido di sofferenza arrivò alle orecchie del buon medico il quale chiese ai suoi superiori di sospendere per un po’ il suo ruolo nella grande città per dedicarsi alla ripresa della sua piccola città.

Il medico che conosceva il mare cercò di far conoscere ai piccoli uomini della sua città la bellezza della libertà; il sole che apriva le finestre nel suo sorgere; il sorriso della fiducia che uomini/donne possono offrire ai propri simili: sorriso che mai mancava sul volto di quel chirurgo che ben conosceva le sofferenze dell’esistenza.

Decise di proporsi come sindaco della sua piccola città.

Fu accolto con un’ovazione popolare immediata, specialmente fra tutti coloro che conoscevano la sua onestà in campo medico e nella quotidianità, compresi gli immigrati che lavoravano sodo ed erano alla ricerca di un ruolo sociale. Il nuovo sindaco iniziò a costruire luoghi di aggregazione: un palazzetto dello sport per i giovani ( nati dopo il terribile terremoto); delle case popolari per i meno abbienti e gli immigrati; nuovi posti di lavoro nelle fabbriche ( che nella cittadina abbondavano) le quali vennero spostate in una nuova area definita “ distretto industriale”: meno inquinamento nel tessuto cittadino; maggiore viabilità; più servizi; più tecnologia.

Ricordandosi la lezione dei suoi maestri corredò la città dove era nato di luoghi della memoria: un monumento all’umile operaio pellettiere ( che non era mai stato realizzato e che rappresentava l’attività artigiano/industriale che vantava più di cinquecento anni di storia, unica realtà in tutta la regione); un monumento all’industriosità degli artigiani disposto all’ingresso delle strade principali; nuove scuole e miglioramento di quelle esistenti per la sicurezza dei suoi piccoli concittadini; un monumento al maggiore artista di quella cittadina: il pittore vissuto a metà del XVII secolo, la cui abitazione era andata distrutta dopo il terribile terremoto, e le cui tele erano nelle magnifiche chiese della piccola città; un monumento al fondatore dei sacerdoti dell’Ordine di San Giuseppe, monsignor Giuseppe Marello da Asti , che avevano un luogo di accoglienza per i giovani proprio nella cittadina e avevano allietato anche l’esistenza del neo sindaco durante la sua adolescenza.

Molte altre opere andò realizzando durante il suo primo sindacato che non stiamo qui ad elencare per non stancare il lettore.

Preso dalla volontà di migliorare la cittadina che amava tanto, non ascoltò i consigli dei suoi superiori che lo richiedevano nella grande città, ai suoi compiti di illustre medico chirurgo. Accettò un secondo mandato da sindaco. Fu una scelta volontaria dettata dalla grande fede che aveva nel suo coraggio e nelle persone che lo circondavano. Quelle persone giorno dopo giorno però vennero meno e lo lasciarono solo, solo ad amministrare una cittadina che era cambiata grazie a lui divenendo una città solare, quasi che il mare fosse giunto a lambire le sue terre e a svegliare la sua gente.

Purtroppo i piccoli uomini cupi, che fino ad allora avevano condotto le sorti della cittadina prima della sua venuta, uscirono dall’ombra dove si erano nascosti e sparsero la nebbia del malcontento ogni giorno. Il sole un poco alla volta non riusciva a penetrare le nebbie del mattino e la sofferenza ritornò nelle case e nelle strade della cittadina rendendola di nuovo piccola: ma non era così! La cittadina era divenuta grande e solare, colma di luoghi dove i giovani sognavano e i sogni volavano come aquiloni al di sopra della nebbia: volevano imitare il loro sindaco/ medico per l’esempio che aveva portato in mezzo a loro.

Ma il denaro condanna i grandi sognatori ed eleva i piccoli uomini a tutti i costi, anche se le loro capacità sono quasi sempre limitate.

Avvenne così che in un piovoso giorno di marzo, proprio quello della festa del santo protettore, San Giuseppe, i piccoli uomini cupi attesero il giovane sindaco sulla strada che lo conduceva verso casa e , sopraggiunti alle sue alle spalle, lo sospinsero in un burrone, dove di lì a poco arrivarono moglie e figli che avevano avvertito, come un presagio, il grido silenzioso del padre.

La piccola città rimase attonita, incredula, impaurita. La sua famiglia cadde in un dolore muto, composto, colmo di pianti: come l’acqua di quel mare che il loro papà aveva sognato di portare nella sua piccola città.

Tra i documenti, che il primo cittadino e medico lasciò come testamento, c’era scritto con la penna rossa un invito ai suoi giovani concittadini: “ non abbiate paura di sognare, i sogni non possono essere comprati con il denaro! ”

(dal mare)


domenica 18 ottobre 2015

MINI MINOSSE VENNE A MORIRE A SANTA ELISABETTA?

L'ultima dimora del Re di Rosamaria Rita Lombardo recensito da Marco Scalabrino in archivio e pensamenti blog di Piero Carbone


Data: 14-ott-2015 18.46
A: "Carbone Piero"
Ogg: Reportage fotografico su Guastanella
Esimio Dottor Carbone,nella speranza di farLe   cosa gradita, Le  segnalo il seguente link, con preghiera di divulgazione:
narrabilando.blogspot.it/2015/10/eccezionale-reportage-fotografico-sul.html
Con viva cordialità, in attesa di un Suo  cortese riscontro, che confido non mancherà.

Rosamaria Rita Lombardo 


Con queste gentili parole Rosamaria Rita Lombardo mi segnalava un "eccezionale" reportage fotografico  "con preghiera di divulgazione". 
Con piacere ho condiviso il link su facebook ricevendo molti like e partecipati commenti. Le foto riguardavano una località di interesse archeologico che, in verità, da tempo la Lombardo viene decantando per i tesori finora sconosciuti in tutto o in parte di memoria storica o archeologica che conterrebbe, Monte Guastanella, situato tra Santa Elisabetta e Raffadali, nell'agrigentino. Se è stato detto che le parole sono pietre, in questo caso le pietre ambirebbero ad essere parole, dense di significati.

Belle foto, interessante sito, anche suggestivo. 
Ancora più interessante e suggestivo diventa con la recensione fattami pervenire a tamburo battente da Marco Scalabrino per il suo scandaglio del libro di Rita Rosamaria Lombardo dove si ricostruisce la vicenda del re Minosse "siciliano". E siciliano non soltanto per le località, ma anche per i riflessi linguistici e le tradizioni orali connesse: 

Lu re Mini-Minosse è drivucatu
 intra la Muntagna di Guastanedda.
 È tuttu chinu d’oru
e quannu lu scoprinu
 iddu addiventa un Crastu d’oru
 e unu av’arrimaniri 

"Il re Mini-Minosse è sepolto nella montagna di Guastanella. È tutto pieno d’oro e quando lo scoprono egli diventa un capro d’oro e uno degli scopritori dovrà sacrificare la propria vita"

Anche per una maggiore leggibilità ho intercalato le foto nel testo con il vantaggio di assaporare alternativamente sensi reconditi e chiare spiegazioni del testo e delle singole foto. (P. C.)








Rosamaria Rita Lombardo

L’ultima dimora del Re

Una millenaria siciliana
“svela” la tomba di Minosse


Fara Editore – Rimini 2013

di Marco Scalabrino


“L’alone di leggenda e mistero che pervade la montagna hanno sempre mosso il mio interesse ed esercitato sulla mia mente, sin da adolescente, una forte attrazione fascinatoria. La bellezza del luogo, unita a vistose tracce di una storia passata e di testimonianze orali raccolte dagli abitanti e dai frequentatori del sito, mi hanno indotto a ricercare l’esistenza di consistenti vestigia riferibili alla fine infausta del re.” Così Rosamaria Rita Lombardo, docente nei licei e qui nelle vesti (che parimenti le si attagliano) di studiosa e di ricercatrice, la quale invero non avrebbe potuto, in termini più succinti e al contempo significativi, approntare una più efficace presentazione della sua opera.




Ampliare il rapido superiore proemio e soffermarci un po’ sugli aspetti più avvincenti del libro è l’ufficio che ci siamo oggi proposti. Ma prima una irrinunciabile considerazione; considerazione che compiutamente si cala nello spirito di quelle pagine e ci autorizza a ubicare le vicissitudini narratevi in una più vasta straordinaria cornice: il Mediterraneo, il mare nostrum, culla della civiltà occidentale, centro del mondo allora conosciuto. In questo bacino peraltro (secondo la seducente tesi sostenuta da Samuel Butler sul chiudere dell’Ottocento, in più circostanze poi ripresa nel corso del Novecento e in anni recenti recuperata da Nat Scammacca e da altri studiosi, che a Trapani nel 1990 e nel 2000 hanno organizzato due convegni di studi internazionali) si situano Le origini siciliane dell’Odissea.   

 

Di quale montagna e di quale sito si ragiona? A che periodo risale il suo interesse? A quale sovrano si allude?
“Il feudo – scrive l’autrice – finì con l’essere provvidenzialmente acquistato dalla mia famiglia.” E puntualizza: “Monte Guastanella [venne] acquistato da mio padre nel 1947.”
Quel “provvidenzialmente”, c’è da scommetterci, è messo lì a bella posta col proposito di sgombrare il campo da ogni ipotesi riconducibile a un evento fortuito, a una mera casualità e intende suggerirci, d’un lampo, il senso della predestinazione, dell’investitura, dell’ineluttabilità quanto al suo coinvolgimento emotivo, personale, professionale nella intera vicenda. L’avverbio, per di più, trova fausta sponda cronologica nell’inciso “sin da adolescente”, che rimarca le origini remote del suo slancio.


Si discorre palesemente di un possedimento, nel quale insiste un’altura (mt. 609 s.l.m.), di proprietà della famiglia della autrice sin dal 1947. Ma, contrariamente a quanto di primo acchito potrebbe apparire, non di un affare privato si tratta, non di un’opera autobiografica; le didascalie: “evento realmente accaduto” e “tradizione leggendaria testimoniata dalle fonti classiche” ci danno fondato motivo di rivolgere altrove, in una dimensione del passato allocata fra Mito e Storia, la nostra attenzione.

D’altronde tutti gli elementi disseminati nel corpo della narrazione, oltre a consentirci di avvicinarci progressivamente al clou della storia, di definirne ogni prezioso singolo carattere, concorrono in questa direzione e ne circoscrivono il perimetro dell’azione. Degli esempi: “Un lungo lavoro di ricerca condotto in un sito ubicato nell’area agrigentina, le cui risultanze inducono a supporre che esso sia il luogo di sepoltura del re”; “Alle falde della montagna denominata Guastanella c’è una piccola necropoli”; “I fabbricati e le mura creano un perimetro di circa 200 metri che include un’area di circa mq. 1.200”; “L’insediamento è inserito nelle contrade agrigentine di Raffadali e Santa Elisabetta. A nord del sito scorre il fiume Platani, che secondo gli studiosi dovrebbe identificarsi con l’Halycos delle fonti”.



Il volume consta di oltre 110 pagine ed è suddiviso in quattro capitoli: La saga di Minosse in Sicilia. Le fonti; Storicità del mito e sue implicazioni archeologiche;Revisione interpretativa del mito e nuova localizzazione dei siti dell’antica saga;Memoria mitica della tomba-tempio di Minosse e sua possibile ubicazione.Identificazione e collocazione di Camico. Gli stessi sono preceduti dai Ringraziamenti e da una Premessa e seguiti dalle Conclusioni, da una Appendice, dalla Bibliografia e dall’Elenco delle Tavole.


Sin dal sottotitolo, col verbo “svela” compreso fra virgolette, Rosamaria Rita Lombardo, benché “consapevole dell’eccezionalità dell’ipotesi avanzata”, malgrado la serietà della “indagine topografica, toponomastica, idrografica e folklorica, effettuata sul territorio in cui l’insediamento risulta inserito”, palesa a più riprese la propria prudenza (“la prudenza è d’obbligo. Saranno il vaglio, l’esame e l’approfondimento critico che la comunità scientifica vorrà riservare a questa ricerca ad emettere il verdetto finale”), anticipa le perplessità che altri potrebbero avanzare sul suo lavoro, il quale (non ha remore a dichiarare) “nasce da una vocazione archeologica romantica e irregolare, lontana dagli apparati e dai dogmi dell’archeologia ufficiale”. “Pur conscia della scientificità della conduzione di gran parte dei miei studi – ci confida – ho avvertito il disagio del lavorare in solitudine, del pervenire a conclusioni interpretative che potrebbero apparire o troppo assertive o troppo vaghe, se non addirittura visionarie.” 




Questo lavoro d’altronde, nel realizzare il quale “ho seguito la voce del mito, ho sentito, scorto e visto cose dove altri credevano fosse il nulla, non ha alcuna pretesa di rappresentare un elemento inconfutabile” e si presenta piuttosto come “un contributo all’interpretazione di un passato finora avvolto di mistero”, una monografia volta a sottrarre all’oblio e al silenzio “il segreto del re cretese Minosse”, un’analisi intesa a“ridare identità storica alla leggenda che sul Monte Guastanella da millenni aleggia”.

Controversa e tutt’oggi di difficile lettura l’etimologia del nome Guastanella.
“Guastanella, volgarmente UastaneddaVastanedda o Guastanedda – sostiene Rosamaria Rita Lombardo – ritengo che fosse in antico Wuastanedda, etimo a mio avviso di matrice minoica che, costituito dal prefisso wa-, abbreviazione di wanax (re) owanakatero (regale), nonché da stan (dimora, luogo, città), radice del verbo cretese στανύομαι, significherebbe città del re”.

La spinta iniziale, quella “da cui hanno preso avvio le mie indagini” circa “la memoria mitica della sepoltura di un re sul Monte Guastanella”, quella desunta dalla “tradizione orale rivelatami, io allora appena quindicenne, dai miei genitori [Nicolò Lombardo e Giuseppina Gueli]”, quella sentimentale pertanto, mirabilmente si fonde con la sfera esistenziale della stessa autrice.  


Quasi un obbligo morale, così, pressoché un dovere, suffragare un mito cresciuto passo passo con lei, affermare il trasporto emotivo nei confronti del sito che sente ed è della sua famiglia, suo, porre nel debito risalto quell’insediamento. La prudenza, della quale poc’anzi s’è fatto cenno, felicemente, rileviamo, si combina con l’entusiasmo e con la fierezza per l’impresa (con la pubblicazione dell’odierno volume) condotta in porto; fierezza che si coniuga con l’amore per la propria terra, la Sicilia, e per le scaturigini di essa che affondano, si permeano, si arricchiscono di mito e di storia. Il tutto corroborato da una spigliata, compiaciuta venatura di orgoglio, tanto che il libro è stato scritto in prima persona: “le mie indagini; questa mia avventura; ho intrapreso; il mio monte; ho ispezionato; le mie supposizioni”, eccetera.  

 
È tempo adesso di entrare nel vivo del tomo e un antefatto ce ne spianerà la strada.
Esiliato da Atene e rifugiatosi a Creta, Dedalo costruì per Minosse il labirinto, nel quale il re rinchiuse il Minotauro. Questi, un mostro che aveva corpo di uomo e testa di toro, era figlio di un toro, inviato da Poseidone a Minosse, e della moglie di quest’ultimo, Pasifae, per la quale Dedalo aveva costruito una vacca di legno dentro la quale celarsi per ingannare il toro. Spaventato e vergognandosi per la nascita di quel mostro, Minosse fece costruire da Dedalo il labirinto, un immenso palazzo composto da un intrico di sale e corridoi, del quale era impossibile a chiunque trovare la via di uscita. Sappiamo, nondimeno, che Teseo uccise il Minotauro e con l’aiuto di Arianna, figlia di Minosse, e appunto di Dedalo riuscì a venirne fuori. Appreso dell’inganno, Minosse fece imprigionare Dedalo e il figlio di costui, Icaro, ma i due (è notorio) se ne volarono via. Perito miseramente nel mare Egeo Icaro, le cui ali di cera si sciolsero al sole al quale troppo si era avvicinato, Dedalo giunse sano e salvo in Sicilia.


Vale la pena, in argomento, di rispolverare qualche schematica nozione sul labirinto.
Nel mondo greco-romano di età classica, con tale termine si designava un impianto che era ad un tempo residenza reale e luogo di culto con spiccata valenza funeraria. La complessa pianta della costruzione costringeva coloro che vi entravano a tornare continuamente sui propri passi, non potendo più trovarne la via d’uscita; fuggire dal labirinto sembrava significasse reincarnarsi.
Diodoro Siculo riferisce che Dedalo abbia visitato l’Egitto e, colpito dall’abilità ivi raggiunta nell’arte edilizia, abbia in seguito costruito per il re di Creta Minosse, a Cnosso, un labirinto, simile a quello egiziano, che presentava la triplice funzione di reggia, centro amministrativo e luogo di culto. In Egitto, ragguaglia Plinio il Vecchio, nel distretto di Eracleopoli, ne sopravvive uno (quello del quale Dedalo ebbe ad imitare l’intricata struttura, eretto molti anni prima per iniziativa del re Mendes o Marrus), che fu il primo a essere costruito. Nulla per contro rimane di quello di Creta, che fu il secondo.


“L’infelice fine del re cretese Minosse!” È questo il fulcro del libro, questa la chiave di volta della intrigante avventura (nella quale tutti noi, protagonisti, autrice e lettori, siamo stati visceralmente coinvolti) che ci introdurrà alle suggestioni che Rosamaria Rita Lombardo ha colto e ha trasferito per noi su carta. Minosse, stante a quanto tramandato, perì di morte violenta in terra di Sicilia. Fuggito, infatti, Dedalo da Creta – ci riallacciamo così all’antefatto appena esposto – e riparato in Sicilia a Camico presso il re Cocalo, Minosse allestì una ingente flotta e partì alla sua ricerca. Giunto in Sicilia e insediatosi a Makara, città chiamata poi Minoa in suo onore, Minosse si recò a Camico. 


Il re di Creta escogitò uno stratagemma per fare uscire allo scoperto l’inge­gnoso costruttore: portò con sé una conchiglia di tritone e promise una ricompensa a chi fosse capace di farvi passare da un capo all’altro un filo di lino; egli sapeva che soltanto Dedalo era in grado di riuscirvi. Propose al re sicano Cocalo la gara. Il re accettò la sfida e passò nascostamente la conchiglia a Dedalo che, solleti­cato nella sua vanità, sciolse il rompicapo. Egli spalmò del miele all’interno della conchiglia a forma di chiocciola, vi praticò un forellino in cima e vi immise una formica alla quale aveva legato un filo di lino. L’animaletto, attratto dal miele, si intrufolò nei meandri del guscio portando con sé il filo. Dedalo riuscì a far vincere la gara al re Cocalo, ma si tradì rivelan­do implicitamente il suo nascondiglio. Il talassocrate cretese comandò a Cocalo che Dedalo gli fosse consegnato, ma le figlie di Cocalo, non volendosi privare dell’artefice che costruiva per loro splendidi balocchi, tramarono col suo aiuto ai danni di Minosse. Dedalo introdusse un tubo nella stanza da bagno di questi e attraverso esso versò acqua bollente o, come altri sostengono, pece bollente su Minosse che stava facendo un bagno termale. 

 

L’autentica passione per l’ammaliante materia dissertata non si creda, però, che sortisca l’effetto di fuorviare le virtù professionali dell’autrice, la sua lucidità nello schierare sul campo e mettere in relazione impressioni, deduzioni ma soprattutto fonti.
Da esigente, coscienziosa studiosa quale lei è, Rosamaria Rita Lombardo destina largo spazio alle fonti, le quali sono meticolosamente riportate allo scopo di dare man forte, di accreditare, di  asseverare la bontà delle sue risultanze. Solo alcune a mo’ di esempio. Eraclide Lembo, 29, F.H.G. II: Minoa, in Sicilia, era dapprima chiamata Makara. Minosse, venuto a sapere che Dedalo colà si era rifugiato, partì con una flotta e approdatovi, dopo aver risalito il fiume Lykos, si impossessò della città; Aristotele, Politica, II B, 1271b: Minosse, avendo intrapreso la conquista della Sicilia, vi morì presso Camico; Erodoto, VII, 170: Minosse, giunto in Sicilia, alla ricerca di Dedalo, vi perì di morte violenta. Ma è di Diodoro Siculo, IV, 79, l’asserzione risolutiva per il prosieguo: Minosse, allorché informato della fuga di Dedalo in Sicilia, decise di fare una spedizione contro l’isola. Preparata una considerevole forza navale, approdò in territorio di Agrigento, nel luogo chiamato da lui Minoa. Minosse reclamava Dedalo per punirlo. 
Cocalo lo invitò a un incontro e, mentre Minosse era al bagno, lo uccise. Restituì quindi il corpo a coloro che lo avevano accompagnato nella spedizione, adducendo come causa della morte il fatto che fosse scivolato nel bagno e caduto nell’acqua bollente. Costoro seppellirono il corpo del loro re con grande pompa: edificarono un duplice sepolcro e posero le ossa nella parte nascosta, mentre in quella scoperta costruirono un tempio ad Afrodite.  
Sottolineato che il Lykos o Halycos dei Greci, l’Iblatanu per gli Arabi, è oggi conosciuto quale il (menzionato) fiume Platani, ancora una stimolante digressione.


Dante recupera Minosse, “orribilmente, e ringhia”, e lo piazza nel Canto quinto, secondo cerchio dell’Inferno della Commedia. Considerato un servitore della volontà divina, egli è il giudice infernale che giudica i dannati; costoro infatti gli confessano le loro colpe e Minosse, gran conoscitor de le peccata, decreta attorcigliando la coda attorno al corpo tante volte quanti sono i cerchi che i dannati dovranno scendere per ricevere la loro punizione. Vedendo Dante, Minosse tenta di farlo desistere dal proseguire, avvertendolo di guardarsi dal fatto che sia stato facile entrare nell’Inferno e di diffidare da colui che lo guida. 
Virgilio prende allora la parola, lo ammonisce severamente a non ostacolare un viaggio voluto dal Cielo e proferisce i due famosi, superbi endecasillabi: Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole e più non dimandare. Sebbene descritto con i tratti grotteschi di un mostro, Minosse tiene un atteggiamento solenne e sparisce di scena compostamente.


Con tante salde premesse e con le seguenti ulteriori valutazioni: “La saga di Minosse e Cocalo, della cui storicità nessuno degli autori antichi ha mai dubitato”; “È facile individuare il possibile teatro della leggenda nel territorio agrigentino lungo la media valle del fiume Platani”. “Cretesi [furono i] fondatori di Gela e di Agrigento”, si perfeziona la scommessa di Rosamaria Rita Lombardo, tramata in anni di fervidi studi, tesa ad argomentare, documentare e comprovare la “tradizione leggendaria relativa alla sepoltura di un re, dal nome Mini Minosse, nelle viscere di Monte Guastanella”.

Si avvale lei e ci gira la tradizione orale in dialetto siciliano tramandatale, sin dalla più tenera età, dal suo compianto papà: “Lu re Mini-Minosse è / drivucatu intra la Muntagna di Guastanedda. / È tuttu chinu d’oru / e quannu lu scoprinu / iddu addiventa un Crastu d’oru / e unu av’arrimaniri (Il re Mini-Minosse è sepolto nella montagna di Guastanella. È tutto pieno d’oro e quando lo scoprono egli diventa un capro d’oro e uno degli scopritori dovrà sacrificare la propria vita)” e quanto al curioso nome Mini-Minosse, se esso non si spiega con la semplice tipicità delle lallazioni infantili e di talune filastrocche popolari (“tale nome veniva una volta usato, soprattutto dalle persone an­ziane della zona, per impaurire i bambini capricciosi. Si di­ceva loro, appunto: “Attenti ca veni Mini-Minosse!”, intendendo con ciò evocare la figura di uno spirito maligno punitore e vendicatore, una sorta di orco mitico”) o con la “corruzione linguistica prodottasi nei secoli, può comunque essere giustificato col raddoppiamento della prima sillaba che si registra sovente in taluni nomi minoici (si veda Acacallide da Acallide, figlia di Minosse)”.


La coincidenza fra testimonianze orali e storico-documentarie aveva bisogno tuttavia, ne è ben consapevole Rosamaria Rita Lombardo, di un concreto riscontro archeologico.   
Diodoro Siculo descrisse il monumento sepolcrale nel I secolo a.C.; ma, quantunque ciò autorevole, alla Nostra non basta. Ed ecco, lei ne appronta per noi una minuziosa (che in questa sede, ovviamente, diverrà essenziale) descrizione, della quale ci avvarremo letteralmente, della tomba-tempio di Mini-Minosse.


“Un rozzo sedile di pietra, di struttura e conformazione monumentale, chiamato da sempre Il trono del re, sulla cui spalliera non integra sono in basso leggibili tracce di inquietanti grafemi, è posto all’ingresso della grotta, al piano superiore, denominata B. Grazie a una appassionata ricostruzione grafica al computer, mi è stato possibile individuare diverse interessantissime immagini. Nella parte centrale del pannello roccioso sembra notarsi una figura femminile, con elaborata acconciatura e a seno nudo, attorniata da disegni di capre e bovidi; lettura, per la verità, opinabile anche se non visionaria, per la difficoltà di focalizzazione. 

Accanto a tale figura muliebre (che pare appartenere a un panorama iconografico del Mediterraneo orientale, specificatamente cretese) si scorge in alto a sinistra una figura miniaturistica in corsa che tiene fra le mani un oggetto di forma cornuta. In alto a destra, ben evidente, si staglia la figura di un uomo dal copricapo piumato, con le braccia disposte quasi a croce e il corpo tondeggiante dalla vita scoperta. La foggia del copricapo piumato sembra essere in rapporto di forte parallelismo e analogia iconografica con quella di taluni elmi tardo minoici e micenei, nonché appartenere a una particolare simbologia iconografica sacra e regale del mondo minoico”. 
E rilancia: “Un altro elemento di intrigante esegesi è costituito dal reticolo tauromorfico che si trova inciso sul pianoro del monte e che contiene al suo interno una croce o un segno X vicino alla figura crucciata di un individuo.”



Affascinante! Ma, tirate le somme, a quali conclusioni, “benché con ineludibile margine di ipoteticità”, perviene Rosamaria Rita Lombardo?
“Sul piano della verità storica nonché contemporanea allo svolgimento dei fatti narrati (XIII sec. a.C.)” lei soppesa che debba ritenersi attendibile la saga del re cretese Minosse in Sicilia; il “Monte Guastanella, caratterizzato com’è da un’unica via di accesso e da un’eccelsa rupe fortificata sarebbe il sito della antica Camico, reggia del re sicano Cocalo, definita da Diodoro Siculo φρούριον (luogo fortificato)”; le “coincidenze strutturali, la specificità dell’insediamento nell’area agrigentina teatro delle vicende di Minosse e Cocalo, unita alla tradizione orale della sepoltura di un re dal nome Mini-Minosse nelle viscere di Monte Guastanella”, hanno finito col confermare e convalidaretale sito come “quello della tomba-tempio del re cretese Minosse”.


Plaudiamo al pregevole saggio di Rosamaria Rita Lombardo e ci congediamo con una strabiliante coincidenza.  

“Nel corso di alcune ricerche comparative, condotte nell’ambito del presente lavoro, mi sono imbattuta in un motivo iconografico particolare e quanto mai oscuro, presente su un’anfora cipriota (anfora Hubbard prove­niente da Platani presso Famagosta e conservata nel museo di Nicosia a Cipro). 
L’intera scena, a tutt’oggi non identificata, appartiene, a mio avviso, a un preciso, peculiare e raro, sul piano del riverbero iconografico, ciclo mitologico: quello appunto della saga di Minosse e Dedalo in Sicilia, che ha un riflesso interessantissimo in questa creazione cipriota e trova illuminanti conferme sul piano lettera­rio (Apollodoro, Epitome, I, 14-15; Zenobio, Proverbi, IV, 92). 


Databile alla fine del­l’VIII sec. a.C., potrebbe costituire una prova e un elemento discrimi­nante e decisivo per ritenere la saga del re cretese Minosse in Sicilia non già una composizione mitica di età storica concepi­ta per giustificare e nobilitare l’espansione greca in Occidente, bensì un evento protostorico realmente accaduto, la cui prima risonanza orale e attestazione figurativa precederebbe di molto la sua posteriore codificazione letteraria.”