martedì 17 febbraio 2015

Archeologia, Rosamaria Rita Lombardo alla ricerca dell’ultima dimora del re




ariticolo di Anna Rita Fontana pubblicato su www.siciliajournal.it/archeologia



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Redazione Sicilia Journal
16/02/15
Culture, Interviste, Uomini e Popoli

Innamorata della sua professione di archeologa, Rosamaria Rita Lombardo, natìa di Palermo, con laurea in Lettere classiche all’Università Statale di Milano (dove risiede), svolge da anni attività di docenza nei Licei. Autrice del libro L’ultima dimora del re, Fara Editore, la studiosa vi approfondisce la figura del re cretese Minosse, tra leggenda e realtà sulla sua presunta sepoltura in Sicilia, alla luce di un “fiuto” archeologico riconosciutole da uno dei suoi grandi docenti, che hanno segnato l’eredità intellettuale della scrittrice.





Lei si è formata con i grandi professori Pietro Orlandini, Dario Del Corno e Momolina Marconi, dell’ateneo milanese. Che direttive hanno tracciato nel suo percorso di ricerca?

L’autore latino Columella nel suo trattato De re rustica 
asserivaNihil recte sine exemplo discitur aut docetur, ovvero “Nulla si impara o si insegna senza l’esempio” (Columella, De re rust., 11, 1,4). È proprio vero infatti che il rapporto tra allievi e Maestri rimane indelebile per tutta la vita in virtù dei “semi del Sapere” piantati in te con il loro illustre esempio. Conservo una memoria preziosissima dei compianti professori Pietro Orlandini (Archeologia e Storia dell’Arte greca e romana), che mi appellava scherzosamente “la Dea del terzo occhio”, Dario Del Corno (Letteratura greca) e Momolina Marconi (Storia delle Religioni), veri “Signori dei classici” per l’integerrimo profilo morale e la straordinaria cultura trasmessa senza alterigia e supponenza, deliziosi nella conversazione conviviale e “Padri costituenti” del mio processo formativo di ricercatrice e studiosa, plasmata dal loro ardore di studio e rigore di analisi e ricerca. Mi hanno onorato del loro altissimo contributo nella definizione interdisciplinare dell’argomento della mia tesi.

Nella società odierna, così votata alla disintegrazione morale, qual è secondo lei il compito principale dell’archeologo, oltre che ricomporre materialmente i “pezzi” di un passato da ripristinare?



Fra le tante discipline “salva ottundimento” delle menti e “armi pacifiche di protezione di massa”, reputo l’archeologia una scienza dalla profonda valenza etico-morale, nell’ottica di una cultura intesa come unica trincea e frontiera di resistenza contro l’imbarbarimento non solo del nostro intelletto ma anche delle nostre anime. Essa è un mezzo di ricerca fondamentale per la conoscenza della storia e della civiltà antica, a sostegno e completamento della documentazione scritta, col fine di restituirci il passato nel suo grande splendore e nella sua profonda lezione formativa. Adoperarsi nella ricerca archeologica per la ricostruzione storica di antiche e “altre” civiltà, è una palestra educativa che fa toccare con mano i limiti della nostra capacità di comprensione e del proprio punto di vista, favorendo una visione del pluralismo non come ostacolo, ma come ricchezza generatrice del nostro presente e futuro. Compito dell’archeologo è, quindi, al giorno d’oggi, farsi vessillifero di tutto questo!




La figura del re Minosse, nel suo libro, aleggia tra mito e veridicità delle fonti storiche. In che misura interagiscono queste due componenti e che cosa l’attrae maggiormente del protagonista?


Quella di Minosse è certamente una figura controversa, che mi ha sempre attirato come “spirito” fedele e assiduo compagno di questa mia avventura umana e archeologica. Figlio di Zeus e di Europa, in base a diverse fonti storiografiche (Erodoto, Tucidide, Aristotele, ecc.), fu re giusto e saggio di Creta, che secondo il mito fu ucciso in una vasca da bagno in Sicilia mentre era ospite del re sicano Cocalo nella rocca di Camico,tradizione ripresa da Diodoro Siculo nella Biblioteca storica. Sul piano storico l’elemento più probante sulla genuinità ancestrale della tradizione orale da me raccolta, consiste nella testimonianza registrata dalla viva voce narrante di mio padre, Nicolò Lombardo (vedi trailer della scheda-libro: “Il re Mini- Minosse è sepolto nella montagna di Guastanella, è tutto pieno d’oro e quando lo scoprono egli diventa un capro d’oro e uno degli scopritori dovrà sacrificare la propria vita”). Il mito è quindi “storia sacra” che rimanda sempre a una “storia vera”, attendibile. Nel mio libro si viaggia lentamente a ritroso nel tempo, cercando le origini di una memoria perduta, sul “re capro Minosse”, dal mito riportato nella celebre opera I miti greci di R. Graves, secondo il quale sembra che a Creta il culto della capra precedesse il culto del toro, attestato in molte pitture parietali della Creta minoica, e che Pasifae, sposa di Minosse, in origine si unisse al “re capro”.


L’ultima dimora del Re. Una millenaria narrazione siciliana “svela” la tomba di Minosse, è certamente un titolo creativo che stuzzica il lettore ad avventurarsi a ritroso nei secoli. C’è un obiettivo, in particolare, a cui tende il suo libro?

Obiettivo precipuo del mio libro è innanzi tutto quello, come imperativo morale categorico verso me stessa, la mia famiglia e la mia amata terra di Sicilia, di sottrarre all’oblio e al silenzio della Storia una testimonianza “aedica” che aleggia da tempi immemorabili sul sito di Monte Guastanella, ancora in gran parte di mia proprietà, ubicato nelle remote campagne agrigentine; nonché quello di far riconoscere veridicità ai miti antichi e alla trasmissione orale, che in questo caso è prodigiosamente immutata nei millenni. Vorrei inoltre calamitare l’attenzione del mondo accademico scientifico e dei mass-media in Italia e all’estero sulla mia ipotesi archeologica che identifica l’area da me indagata con un sito minoico-miceneo di rilievo della Sikania agrigentina, ultima dimora del talassocrate cretese.



Quando spera di attivare una campagna di scavi che possa sostenere l’ipotesi della sepoltura del re sotto il Monte Guastanella?


Tutto dipenderà dal riscontro e dall’interesse che la notizia dell’ipotesi archeologica da me avanzata susciteranno in persone, istituzioni, enti, banche e fondazioni inclini a spendersi in una seria operazione di promozione e finanziamento del sito in oggetto. Finora, pur avendo suscitato una valutazione lusinghiera del mio studio dall’illustre diplomatico e ambasciatore Unesco, dottor Ray Bondin, non sono riuscita a riscuotere un adeguato interesse in patria, vera isola del tesoro per il suo patrimonio archeologico, culturale e paesaggistico, ineguagliabile. Rivolgo il mio accorato appello ad illuminati accademici e studiosi oltre agli enti suddetti, perché sia attivata in loco una sistematica campagna di scavi rendendo il sito un “epicentro” di rinascita culturale dell’isola. Che gli dèi, insieme al re Minosse, ci siano propizi!

Lei conclude la sua narrazione affermando convinta che “Il futuro per tutti noi ha un cuore antico”. Forse dal nostro passato si può trarre la linfa migliore per pianificare e progettare il nostro futuro?


Proprio così! Mi sia consentito quindi, a conclusione di questa intervista, suggellare il mio radicato convincimento che solo attraverso la conoscenza del nostro passato possiamo rigenerarci e progettare il tempo avvenire con le illuminanti e a me molto care parole di Cesare Pavese: “Quando un popolo non ha più senso vitale per il suo passato si spegne. La vitalità creatrice è fatta di una riserva di passato. Si diventa creatori anche noi, quando si ha un passato. La giovinezza dei popoli è una ricca vecchiaia.”

Anna Rita Fontana

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giovedì 12 febbraio 2015

Nozze d’argento nell’ Arte del Teatro.

di Vincenzo D'Alessio & G.C. F. Guarini

Siamo agli effetti spenti di una cometa… morta! Perché in realtà gli uomini hanno già conosciuto l’apice dell’umanità, hanno già vissuto l’epoca nutrita di nobili virtù, il passaggio alto di un viaggio inesplorato, l’essenza triste di un linguaggio errante. E ora…? Solo il grido muto di cantori antichi, salti e sibili di fauni ignoti, voci inascoltate di testimoni arcaici possono dare lustro e corda, fiato e nervi ad essenze doriche, ad onde greche, per riportarci al vero, all’essenza, all’epopea del bello…

È la dichiarazione artistica, note di regia, dell’ultimo adattamento dal romanzo di Marguerite YOURCENAR: Memorie di Adriano, scritto, diretto e interpretato dalla Compagnia Teatrale Hypokrites, fondata da Enzo Marangelo in Solofra (AV) il 13 febbraio 1990: venticinque anni di intensissima attività nei teatri e luoghi d’arte della nostra Italia. Lo spettacolo ha avuto luogo nel meraviglioso sito archeologico dei Templi di Paestum, antica colonia greca, nel giugno del 2012 riscuotendo il meritato successo. Successivamente è stato riproposto nel teatro romano di Avella (AV) dove non è mancato il consenso del pubblico.




La lunga storia di Enzo Marangelo parte dalla stretta realtà culturale della cittadina irpina di Solofra dove a fatica si inserisce la verve teatrale del giovanissimo attore con i prodromi del regista: teatro d’avanguardia tratto da A. CECHOV, A.MILLER, ESCHILO, SOFLOCHE, EURIPIDE, J.P. SARTRE, L. PIRANDELLO, E.L. MASTERS, e tanti altri autori del panorama internazionale. Le commedie napoletane di E. DE FILIPPO trovano in loco maggior consenso. Ma il Nostro non aspira alle piccole gratificazioni.
Egli ha nel cuore un pensiero fervido e solido: 


Il prezioso retaggio della cultura teatrale greca, rivissuta nei versi di Eschilo, Sofocle ed Euripide, non può prescindere, per esempio, dalle rivelazioni moderne, sicuri che restare fedeli alle intenzioni del passato significa necessariamente “ricontestualizzarle” nel contemporaneo. Sartre, Pirandello, Checov, Miller diventano i protagonisti delle scene di HYPOKRITES e il filo rosso teso verso un teatro che nella parola si fa altro: da qui si intravede la necessità di fare del palcoscenico uno spazio di rottura, di fastidiosa invadenza nei confronti di un pubblico rigidamente costruito e svuotato nel suo troppo lungo silenzio.

Fuori dalle mura domestiche prende maggior vigore l’Accademia Teatrale Hypokrites con Enzo Marangelo regista e attore insieme ai suoi allievi che portano in scena spettacoli in collaborazione con l’Università degli Studi di Salerno (nel 2003), con la Compagnia del Giullare e la compagnia Von Sacher-Masoch di Salerno. Partecipa nell’ottobre del 2003 al VI Festival Nazionale di regia a Trento con La cantatrice calva di E. IONESCO. Apre gli occhi al silenzio del dopo sisma del 23 novembre 1980 nell’entroterra irpino, con performance sperimentali come Cairano 7x. Ritorna nella città natale, Solofra, carico dei successi avuti con le costruzioni teatrali nella Natura dal titolo Solofra mia: poesie, musica, letteratura, lette nelle prime ore dell’alba, con la musica dell’arpa, il corpo della ballerina librato nell’aria tiepida del mattino che si rinnova nel 2010 con un nuovo spettacolo dal titolo Orizzonti creativi e Alture che riscuote un caldo successo di pubblico e di critica.
Offre la sua partecipazione a molteplici manifestazioni culturali quali: Il Premio Nazionale Biennale di Poesia Città di Solofra dagli anni Ottanta con la lettura delle poesie vincitrici del concorso. Il Premio Prata Poesia manifestazione culturale, organizzato dalla poeta Antonietta Gnerre e realizzato nella Basilica Paleocristiana dell’Annunziata nel comune di Prata Principato Ultra(AV). Il concorso  Strade della poesia, giornate all’insegna della conoscenza dei luoghi attraverso i versi, organizzato dal poeta Domenico Cipriano nel comune di Guardia dei Lombardi(AV) e con lo stesso autore Le note richiamano versi inciso nel 2004 con la casa discografica Aebeat Records. Molte altre manifestazioni poetiche e letterarie.
Il Nostro ritorna ai suoi autori preferiti con Breviario del Caos ( del 2011) tratto dall’omonimo testo di Albert CARACO per confrontarsi con il tema del linguaggio e dell’installazione performativa. La ricerca dell’attore e regista Enzo Marangelo tende come una forza generatrice di cambiamento a realizzare: “piena aderenza all’idea di teatro in quanto metafora istintiva e visionaria della proteiforme quotidianità”. Suoi progetti sono in via di realizzazione presso l’Associazione Culturale Hypokrites Teatro Studio con il patrocinio del Comune di Solofra, e la collaborazione delle Associazioni presenti sul territorio.
Esprimiamo la nostra sincera gratitudine al maestro Enzo Marangelo, ai suoi fedeli collaboratori e agli attori che si sono formati alla sua scuola, per avere segnato con: “ ferma fiducia nella verità dell’istinto, nell’essenzialità del gesto, nell’eloquenza del non detto” questi venticinque anni del nostro stare insieme.

domenica 8 febbraio 2015

La mia scuola: un sogno realizzabile

di Vincenzo D'Alessio

Ho frequentato le scuole elementari a metà degli anni Sessanta del secolo appena trascorso in un antico edificio adibito a complesso scolastico con aule dal cielo alto, i banchi di legno a due posti con al centro infisso il calamaio, molto fredde d’inverno. Avevamo il grembiule nero che recava sul petto i ricami rossi secondo la classe che frequentavi, il colletto bianco e il nastro tricolore che chiudeva il colletto. La campanella suonava alle otto e trenta , il maestro sedeva dietro una cattedra con quattro cassetti sul lato destro pieni di documenti; appoggiata sulla cattedra c’era un’asticella di legno per tenere a bada i discoli tra di noi; la lavagna era grande e nera con un cassino di feltro grigio; alle pareti c’era una cartina dell’Italia politica; la luce nell’ampia stanza pendeva dal soffitto era centrale e poco luminosa: d’inverno e durante i temporali c’era quasi buio.

La bidella si chiamava Giovannina, da sola puliva tutti gli stanzoni e i bagni in modo decoroso, l’odore della creolina arrivava dai bagni nell’ampio spazio del portico che immetteva nelle aule: era anziana vestiva quasi sempre di nero ma sorrideva serena ai nostri occhi fanciulli. Come insegnante ho avuto un campione dei quiz, che era anche sindaco della cittadina: Antonio D’Urso (conosciuto con lo pseudonimo di “ Rischiatutto”). I cinque anni volarono presto con qualche litigio tra coetanei e qualche ferita alla testa dovuta alle sassaiole delle “guerre” tra rioni.

I tre anni successivi in quella che allora venne definita Scuola Media Unificata, furono più difficili e meno collegati alle esperienze precedenti vissute intensamente con i coetanei e i ripetenti delle elementari. I professori erano quasi sempre del parere che avevamo appreso poco nei cinque anni passati e dovevamo maturare a furia di compiti a casa. Inutile dire che oggi sarebbe proprio il caso di realizzare un unico percorso didattico di sette/otto anni che permetta agli scolari/studenti di perfezionare al meglio le loro capacità per poi scegliere di proseguire negli studi superiori oppure perfezionarsi in un mestiere qualificato alle loro propensioni.

Alla fine del percorso nella scuola media mi iscrissi all’Istituto Magistrale “Regina Margherita” di Salerno con la volontà di insegnare nelle scuole dell’obbligo dopo avere completato gli studi al vicino Magistero. Purtroppo le cose andarono diversamente: erano gli anni della contestazione studentesca alla quale presi parte con tutte le conseguenze che portava questa ribellione verso il vecchio sistema scolastico. Mi diplomai con il minimo dei voti e dopo una breve esperienza come operaio nelle fabbriche trovai posto come impiegato nella pubblica amministrazione.

Intanto cresceva in me il desiderio di riallacciarmi al sogno di tornare tra i banchi della scuola statale dell’obbligo per dialogare con le nuove generazioni sugli orizzonti scientifici che avevo raggiunto nel corso della giovinezza: l’archeologia del territorio dove vivevamo. Intervenne dolorosamente il sisma del 23 novembre 1980 a sconvolgere la nostra quotidianità portando ancora una volta lutti e distruzioni. Compresi allora che avrei dovuto fare in modo che gli studenti conoscessero i beni esistenti sul territorio e salvaguardare quanto il terremoto dell’80 aveva lasciato. Così nei pomeriggi disponibili iniziai nel 1983 quello che definii: “Metodologia di ricerca e salvaguardia del territorio: esperienza nelle scuole medie della provincia di Avellino”: oggi visibile in due volumetti pubblicati in proprio nel 1986 e nel 1988 con le mie scarse finanze. Iniziai quindi i corsi con l’autorizzazione del Provveditorato Agli Studi di Avellino e del Preside della locale Scuola Media Statale “Francesco Guarini”.


La foto mostra i giovani studenti della scuola media statale “F. Guarini” di Solofra in visita alla località le fornaci nell’anno scolastico 1983/84, sito dislocato fuori dall’attuale centro abitato, dove era fiorente tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo la realizzazione del cotto, specialmente i “suoli per i forni” a legna: si distinguono ancora oggi sui resti dei materiali di risulta i bolli della Famiglia RUSSO attiva fino agli anni Sessanta del secolo appena trascorso.

Con passione i giovani studenti seguivano le lezioni preparatorie in classe dove, con l’ausilio di un videoproiettore, mostravo i luoghi delle nostre ricerche sul territorio e l’importanza avuta da questi nel corso del tempo: la memoria diveniva per loro una scoperta incontenibile condivisa con amore e passione per la loro conservazione. L’anno scolastico si chiudeva con l’incontro con il pubblico e con i genitori ai quali venivano mostrati dagli stessi scolari protagonisti le diapositive dei luoghi visitati e in qualche modo preservati dalla completa distruzione operata dall’abbandono.

Un grande contributo al lavoro che svolgevo giunse dal maestro Mario LODI di Piadena( CR) del quale scoprivo leggendo i suoi libri il grande impegno innovativo in favore dei metodi scolastici. Fu proprio LODI a suggerirmi di far tenere ai ragazzi un diario nel quale inserire osservazioni e riflessioni sul lavoro che stavamo realizzando. Seguii i suoi consigli e nel secondo libretto, pubblicato nel 1988, furono inseriti degli stralci del diario tenuto dagli studenti. Malgrado la buona volontà, l’economia non mi consentiva di realizzare altre pubblicazioni. Quindi i lavori proseguirono, come pure gli incontri, senza più la possibilità di divulgazione.



Una nuova occasione per divulgare il lavoro che andavo svolgendo nelle scuole si presentò agli inizi degli anni Novanta quando dall’incontro con il docente universitario professore Francesco BARRA fu pubblicato nella rivista «Rassegna Storica Irpina» un articolo nel quale spiegavo le finalità didattiche del lavoro, la salvaguardia dei beni presenti sul territorio e l’impegno dei giovani studenti per questo tipo esperienza. Il lavoro è contenuto nel numero 5-6 della rivista a pagina 69.

Continuai a collaborare con le scuole medie statali presenti nelle vicine cittadine di Montoro e Serino, avendo come collaboratori prediletti i miei tre figli Giuseppe, Nicolino e Antonio, limitando però la ricerca tra i banchi della scuola senza più nessuna ricognizione sul territorio. La certezza che potesse nascere una didattica diversa per insegnare la Storia a diretto contatto con il territorio è stato un sogno realizzato negli occhi e nella mente dei tanti studenti e scolari che hanno animato le mie giornate di “maestro honoris causa”: titolo conferitomi dall’allora direttore didattico professore Paolino Marotta il 20 dicembre 2002.


giovedì 5 febbraio 2015

Su La collezionista di Chiara De Luca




nota di lettura di Bianca Menghi

La collezionista ovvero La Sindrome di Babbo Natale di Chiara De Luca è un romanzo generazionale che narra la tragicomica realtà di noi giovani italiani alla ricerca di un lavoro. La collezionista è un’eroina sofferente e combattiva paragonabile alle coraggiose donne della mitologia greca, non si arrende mai alle porte chiuse in faccia o al baratro esistenziale in cui la dura realtà la fa cadere. Sebbene cada spesso, ogni volta faticosamente si alza, si accende una sigaretta, si trascina davanti allo specchio ed indossata la maschera della candidata perfetta si presenta a un nuovo colloquio di lavoro. Cambiano gli attori e il palcoscenico, ma il dramma dai greci ad oggi è sempre lo stesso.

Jazzitalia: recensione sul Bill Evans di Sergio Pasquandrea

di Alceste Ayroldi per Jazzitalia



Sergio Pasquandrea
Volevo essere Bill Evans. Storie di Jazz 
Fara editore, 2014
Pagine 75 – euro 11


Roba da appassionati, anzi: roba per far appassionare. E per far appassionare bisogna essere appassionati. Lo scioglilingua testé coniato sintetizza l'agile lavoro di Sergio Pasquandrea (valente giornalista e firma di punta del bimestrale Jazzit) che, a dispetto dal sottotitolo, non è una raccolta di aneddotica di jazzisti da manuale, di quelle che – in fotocopia o quasi – si spalmano nelle varie storie del jazz, tracciando figure icastiche di questo o quel musicista.
Lo spirito è altro. Innanzitutto trae spunto da quanto lo stesso autore ha pubblicato sui blog La poesia e lo spirito Jazz nel pomeriggio, rivisti e manipolati da Pasquandrea che intinge la sua mordace penna in venticinque anni di passione jazzistica; poi nasce perché vince la IV edizione del concorso Faraexcelsior sezione romanzi brevi.

Non è un romanzo, ma una serie di pillole di vita jazzistica: vissuta in prima persona dal Pasquandrea pianista nelle jam perugine e nei concerti vissuti: memorabile quello del quintetto Benny Golson e Curtis Fuller, dalla cui descrizione grondano le note. Poi, acquerelli impressionistici, pezzi di musica, di jazz che si è affacciato nella vita dell'Autore: Michel PetruccianiLouis ArmstrongNina Simone, Thelonious Monk, Chet Baker, Billie Holiday, a colpi di pennello intinto nel rosso fuoco di chi ha sincera passione. Ci sono dei riquadri che stimolano l'approfondimento, come la sessualità mortificata di Billy Tipton o il colpo di "genio" di Ray Charles. Scelte fatte da Pasquandrea: la sua personale selezione guidata dall'assenza di una rotta. Libera, come è l'improvvisazione jazzistica. Pasquandrea è l'anfitrione jazz un po' goliarda, di libero pensiero, che si preoccupa delle emozioni e non della tassonomia a tutti i costi (di quelle che fanno scappare i giovani a gambe levate). E questo è un valore aggiunto.


domenica 1 febbraio 2015

Archeologia, l’ultima dimora di Minosse, il re cretese sepolto nell’Agrigentino

recensione di Anna Rita Fontana pubblicata in SiciliaJournal.it

scheda del libro qui  
www.faraeditore.it/nefesh/dimorare.html


Sono certa, per aver condiviso il pane, il sale e il giaciglio di chi ha vissuto e vive tutt’oggi alle pendici di Monte Guastanella, nonché aver appreso da questi, sul far della sera, il nome del re che ivi è sepolto, che il re cretese Minosse non è mai morto nei sogni e nei cuori degli uomini di questo remoto e incontaminato lembo di Sicilia. Chi lo resusciterà del tutto? Chi, se non colui che reputa le leggende ricche di realtà, ed i sogni altrettanto rivelatori di una confessione? (parafrasando un pensiero di Paul Faure)
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La voce del mito e la seducente “parola della storia” sulla presunta sepoltura del re cretese “Mini Minosse” in Sicilia, dànno vita alla ricerca dell’archeologa Rosamaria Rita Lombardo, nel libro L’ultima dimora del re, Fara Editore. A guidare l’autrice, nata a Palermo e residente a Milano, la “cometa” di una memoria tramandatasi nei millenni, attraverso più depositari (innanzitutto i genitori Nicolò Lombardo e Giuseppina Gueli) e pertanto degna di autenticità, oltre che suffragata da fonti classiche quali Erodoto, Aristotele, Diodoro Siculo, Eraclide Lembo, Strabone e Duride di Samo. Grazie a un lungo e costante lavoro, condotto spesso in solitudine ( pur col sostegno del marito Francesco Ritondale, della figlia Thuy Lan, e di Francesco Gueli), ma ravvivato dall’aspetto “romantico” di una vocazione archeologica fuori dai canoni in quanto avulsa dalla rigidità ufficiale, Lombardo avvince il lettore addentrandosi in un luogo che si ammanta di atmosfera sacra, ovvero il feudo del Monte Guastanella (di proprietà dell’autrice) ubicato nell’agrigentino, con l’intento di avvalorare, sulla base delle fonti storiche collimanti con gli esiti delle indagini topografiche, idrografiche e toponomastiche, una relazione tra il suddetto, probabile ultima dimora del re cretese e la saga di Minosse in Sicilia.
1920560_10200451271799766_5107905090793346512_n Sfortunato monarca, diremmo, che perì di morte violenta, vittima di una tremenda congiura portata a termine dall’ingegno di Dedalo, fuggito dal labirinto di Creta e ospite presso la corte del re sicano Cocalo sulla rocca di Camico, corrispondente a S. Angelo Muxaro, paese a nord-ovest di Agrigento. Non da meno interessante l’aspetto orografico della zona in oggetto, su cui l’autrice richiama l’attenzione parlando di piccoli crateri di fango eruttanti calda fanghiglia e gas metano stranamente rumoreggianti, oggetto di fantasia popolare, secondo la quale addirittura nel terreno sarebbe sprofondata una città punica! E di tali fenomeni della natura si trova anche un accenno nel Fedone di Platone, citato dall’archeologa Lombardo a proposito dei fiumi di limo che ci sono in Sicilia.. o del nostro mare che ribolle d’acqua e di fango. Dal testo, corredato di numerose foto scattate sul luogo, emerge l’amore per la bellezza naturalistica di un passato che si va scoprendo attraverso vani rupestri e grotte scavate nella roccia della montagna (grutti saracini, dal volgo siciliano, ma ascrivibili a periodi più antichi, secondo l’autrice), fino al panorama in cima, su un pianoro a strapiombo, dove l’occhio del visitatore viene attratto dall’incisione di un reticolo tauromorfico, con una croce all’interno, vicina a un oscuro individuo. Tangibile il sapore del mistero che permea la descrizione, sulla spalliera di un rozzo sedile di pietra ovvero Il trono del re (all’ingresso della grotta A), tra strani grafemi e immagini miniaturistiche, il cui attento esame allo scanner attesta legami con la civiltà del Mediterraneo orientale : un pugnale ad alette curvato come una scimitarra, figure muliebri che rimandano a immagini femminili di dee nelle decorazioni di palazzi cretesi, o figure maschili con copricapo piumato, con le braccia quasi a croce. Avvolto e sospeso tra leggenda e realtà storica, il Monte Guastanella si lascia rapire con tutte le sue viscere dalla curiosità di particolari iconografici, con riferimento anche alle Metamorfosi di Ovidio (che raffigurano Minosse con un elmo piumato), e risalendo ai classici ipogei mortuari di costruzione labirintica.
10408619_10200451268039672_7475452822363474395_n C’è chi ipotizza in proposito l’esistenza di cunicoli sotterranei, quali veicoli di collegamento tra il monte e Agrigento. L’autrice cita Falaride, tiranno della città dal 570 al 554 a. C., che combatté con acume contro i Sicani e i Cartaginesi che miravano a espandersi sull’isola. A lui è collegato il reticolo tauromorfico già citato, in quanto nel celebre toro di bronzo (prodotto da Perillo) venivano rinchiuse le vittime del malvagio, che avrebbe goduto del loro strazio. Sul Monte Guastanella, inoltre, secondo Lombardo, fin dall’antichità si sarebbero insediate diverse comunità di popolazioni (puniche, minoiche e micenee, normanne susseguitesi nei millenni), per strategiche comunicazioni a distanza. Col tributo di numerose fonti, raccolte alacremente, la scrittrice si è impegnata a far rivivere la Parola nel tempo, credendo fermamente con Diodoro Siculo che nel caso di coloro che in forza della propria virtù si sono assicurati la gloria, le imprese sono ricordate per sempre, poiché è la divina voce della storia a darne annuncio perenne.
(Biblioteca storica,I,2)
Anna Rita Fontana