martedì 11 febbraio 2014

Vincitori del concorso Pubblica con noi 2014 sez. Racconto

La Giuria e Fara Editore sono lieti di comunicare i risultati della XIII edizione del Concorso. Potrete leggere gli autori nel volume Opere scelte, in preparazione. Per la sezione Poesia v. farapoesia.blogspot.it

Classifica Pubblica con noi 2014 - Racconto

1° classificato

PARK KUL'TURY 
di Maria Clotilde Pesci Schiavo (Roma)

Il primo mattino della sua permanenza in città neanche poteva dirsi una giornata di pioggia, ché le gocce si rarefacevano nell’aria come una spruzzata di selz, e in strada i passanti neanche capivano se stessero respirando o affogando. Perciò Lia aveva dovuto rinunciare al suo proposito, rimandandolo al giorno seguente. Aveva quindi chiesto di chiamarle un taxi e si era fatta portare al Dom musjei di Lev Tolstoi.
La casa di città del sommo romanziere russo, un tempo in estrema periferia e ora a pochi passi da una delle grandi arterie radiali, era una dacia solo un pochino più grande dell’usuale, contornata da un giardino di betulle e situata di fronte a una vecchia manifattura in disuso. Percorrendo, impacciata dalle obbligatorie ciabatte di feltro, gli angusti corridoi in legno, Lia non aveva potuto esimersi da un pensiero di solidarietà per la moglie e i figli del conte, il quale, benché erede di un titolo nobiliare di prestigio e ricchissimo proprietario terriero, per una decisa scelta etica - elevata quanto si vuole, ma insomma! - li aveva costretti a un tenore di vita misero e all’epoca, considerati il suo livello sociale e le sue ingenti sostanze, a dir poco scandaloso. (…)


Maria Clotilde Pesci Schiavo, vive a Roma, è nata a Cagliari il 21 maggio 1934, è laureata in Scienze Politiche, ha insegnato Diritto e Economia negli Istituti Tecnici Commerciali. Ha scritto e pubblicato un lungo romanzo storico ambientato negli anni 1943-45, premiato in Campidoglio per la partecipazione al Concorso letterario ALBEROANDRONICO e un racconto che ha ricevuto il 3° premio nel concorso letterario LA GIRANDOLA. Altri racconti e reportages sui periodi trascorsi a Mosca all’epoca dell’Unione Sovietica sono ancora nel cassetto.

«I desideri di una vita che si rivelano in tutta la loro opacità una volta realizzati, la consapevolezza degli anni che passano, sono I temi di questo racconto che riesce a mantenere l’attenzione del lettore grazie ad un uso consapevole delle descrizioni del paesaggio moscovita. Il sorriso che emerge a fatica consola ma non risolve.» (Alessandra Carlini)

«Racconto ben delineato nella rara cornice del nord-est continentale. Una narrazione non eclatante, uno stile indubbiamente elegante e corposo. Il culmine credo si possa ravvisare nelle righe che riportano, tanto nitidi, i fenomeni atmosferici e naturali. E non di minor vigore si dimostra lo ‘sguardo sociale’, perspicace ed abile nell’introspezione. La lettura incespica appena al subentrare di flash storici e nomenclature varie.» (Fabio Cecchi)

«Una scrittura elegante, una Mosca raccontata con una fluidità narrativa tutta contemporanea, in cui ad ogni angolo spuntano, plasticamente e quasi non avessero tempo, dettagli preziosi della città e dei pensieri di una donna. Uno sguardo femminile, intelligente e simpatico, ci accompagna attraverso Gorky Park e lo fa con una bella saggezza pratica, che non manca di interpretare segnali dalla vita anche mentre indulge al fascino di una città incantata.» (Roberta Leone)

«Non l'ho trovato facile da leggere, per i molti riferimenti che possono confondere chi non conosce la zona geografica e/o culturale; però è stata una scelta coraggiosa, quella di rileggere alcuni passaggi della cultura russa attraverso la storia di un personaggio; stile piacevole.» (CarloBroccardo)



2° classificato

Borgo di piombo 
di Giorgio Massi (Ascoli Piceno)

Cap. 1
È ferragosto. Ringhia il cielo di aria infetta.
È una maledetta giornata di noia. Il muro di schiene marine è lontano km quadrati.
I gatti in giardino parlano lingue metafisiche accartocciandosi in capriole da zoo.
Li seguo con occhio sbarrato, quasi vuoto.
Si ammassano tra loro, poi scompaiono nella radura falciata da un’allegria gitana.
Adoro i felini cosi come l’odore di nafta sulla moquette o le storture letterarie da visigoto.
Dialogherei con qualcuno, ma l’afa mi trascina nel declivio.
I minuti si piegano nelle ore come lacrime d’ansia in dettagli esagonali. Un orologio senza pietà esprime la codardia del tempo. E nessun battito alle ore dodici.
È un mezzogiorno da funerale. Uno come molti altri.
L’unica consolazione sta nella ricerca di aria fredda che si ammassa in immagini visionarie.
La ragione vola così in alto, verso montagne pure come vergini d’estate.
In direzione Appennino.
Mi dirigo a ritmo scabroso su di un’auto di fortuna verso curve a gomito scolpite a ritmo di blues.
Il passaggio di marce è una intersezione tra dita.
Scivolo sul freno-motore, scaldando la schiena a una strada monotona come due dadi in scatola. (…)
Giorgio Massi (1973, Ascoli Piceno). Aspirante scrittore, giornalista, poeta pentito, curatore di eventi culturali e tornei tennistici.

«L’unico racconto ad osare un poco nello stile e che cerca una cifra narrativa personale. (Paolo Galloni)

Originale lo spunto e il linguaggio.» (RobertoBattestini) 

«La fuga dalla calura verso il borgo appenninico si gioca su continui calambour e immagini e ritmi e atmosfere che sembrano uscire da un comic americano o da un film di Miyazaki.» (Simone Sereni) 



3° classificato

METROPOLI

di Sara Macchi (Ferrara) 
1.
La mia capacità di giudizio di quell’estate 2007 lasciava molto a desiderare. Non mi aspettavo niente di buono da quel caldo che mi picconava la faccia. Ma il bello è che va sempre in modo diverso da come l’avevi pensata. Cosa si può raccogliere dalla strada? Pezzi di birra in frantumi, sigarette attorcigliate, merde di cane. Un uomo.
Lui arrivò quando le parole si bloccarono. Come un fiume strozzato a monte. Non scrivevo più. Non era un blocco, niente panico della pagina vuota. Era qualcosa di più strutturale. Non riguardava la scrittura nel suo insieme: i miei articoli per La Deutsche Vita li scrivevo a tutta velocità e i miei fazzoletti erano invasi da muco e appunti. Ma la mia scrittura, quella più profonda, quello con cui convivo da quando ho sei anni, era addormentata. Avevo migliaia di storie, di oggetti, di facce, di terre che premevano nel mio petto e urlavano e io non riuscivo a farli uscire. (…)



Sara Macchi (foto a lato di Giulia Paratelli) è nata nel 1983 a Venezia. Laureata in Lingue, Storia e civiltà all'Università Ca' Foscari e in Didattica e Promozione della lingua e della cultura italiana a stranieri. È insegnante precaria di italiano per stranieri, scrittrice da quando tiene in mano la penna, blogger da quando esiste internet, redattrice della rivista «Listone Mag» di Ferrara. Ha vinto il concorso di scrittura creativa dell'associazione Bologna-Bruxelles nel 2013 e ha collaborato con la rivista letteraria «Chichibio». Fa parte dell'associazione culturale Il Gruppo del Tasso che si occupa di diffondere la letteratura e la poesia nella città di Ferrara. Parla tedesco, inglese e francese.

«L’angoscia a malapena trattenuta, resa attraverso uno stile da seduta di autocoscienza rende questo racconto interessante. Il filo conduttore è un amore mal corrisposto in una vita che tende a spostarsi ai margini un po’ per scelta, un po’ per incapacità di fare diversamente. I limiti del racconto si rispecchiano nei limiti della metropoli e dei suoi “non luoghi”. Claustrofobico.» (Alessandra Carlini)

«“Una vita incasinata è attraente solo quando non ce l'hai”: è la sintesi dell'umore amaro dell'autrice, in un racconto che apre anche una finestra concreta e poco glamour sull'esperienza della cosiddetta “nuova emigrazione”.» (Simone Sereni)

«Una voce disillusa – eppure non vinta - anima il dialogo interiore e sostanzia le immagini, i ricordi, le metafore dolenti  di questo racconto ruvido, spezzato, forte di un linguaggio visuale incisivo. La cornice della metropoli solo apparentemente resta sullo sfondo: è in realtà causa e sovrana della jungla emotiva in cui i suoi abitanti provano se stessi e, amando, tentano di sopravvivere.» (Roberta Leone) 

4° classificato

Quel vecchio stile di amare 
di Claudia Lo Blundo (Montoro Inferiore, AV)

Patrizia volse uno sguardo distratto al di là dalle vetrine, che si aprivano su corso Buenos Aires e, solo allora, si rese conto che il pomeriggio era ormai diventato sera.
Si guardò attorno: il suo editore aveva fatto bene a scegliere l’ampia sala di quella libreria come sede per la presentazione del suo libro Cento giorni in Africa, infatti erano venute più persone di quanto lei avrebbe potuto sperare!
Era soddisfatta! Anche questo romanzo sarebbe diventato un best seller e avrebbe vinto qualche premio importante.
“Ancora una volta” le aveva detto poco prima l’editore, compiaciuto “con questo libro toccherai l’apice del tuo successo”.
Mentre alcuni ospiti alla presentazione si attardavano a parlare tra loro o si fermavano ai vari scaffali per curiosare tra gli ultimi arrivi letterari, decise di dare anche lei uno sguardo tra le varie corsie dei libri: letteratura, arte, storia, i tascabili, i Newton? Robetta! Non li leggeva mai! Ma il nome di un autore, tra i Newton, attrasse la sua attenzione: Aldisio Torrici.
Aldisio Torrici! Aveva saputo della sua morte, avvenuta circa un anno prima: come mai, ora, lì, c’era un suo scritto?
Quel vecchio stile di amare. (…)


Claudia Lo Blundo Giarletta è nata a Roma il 17 marzo 1942. Risiede a Montoro Inferiore (AV). Laureata in Servizio Sociale, sposata, già nonna, ha svolto la professione di Assistente Sociale. Ha pubblicato 7 libri, alcuni a proprie spese e altri con la pubblicazione gentilmente offerta. Ha partecipato a numerosi concorsi di narrativa e poesia, conseguendo anche primi premi.

«Ho trovato piacevole lo stile, leggero pur raccontando una storia difficile. Bello l'intrecciarsi dei due racconti, quello narrato in terza persona e quello contenuto nel libro che Patrizia trova sullo scaffale. Un po' triste la conclusione, ma forse è quella giusta, in sintonia con il personaggio.» (Carlo Broccardo)

«Il recupero delle memorie intime è convincente.» (PaoloGalloni

«Cornice cultural-mondana per una scoperta sentimentale che affonda nel passato della protagonista, e che in qualche modo la obbliga a un bilancio esistenziale. Ma le cose sono come sono perché noi così le abbiamo volute, e non c’è spazio per il rimpianto. Buona la tenuta della struttura narrative che rimane asciutta e essenziale.» (Alessandra Carlini) 

5° classificato

Il salto nel buio e altri racconti 
di Giorgio Caporali (Terni)

Ai margini della mia città sorge un piccolo parco, dove alti pini romani e querce secolari intrecciano, in un abbraccio, i loro rami per ombreggiare i giochi dei bambini e le panchine di legno durante la grande calura estiva.
Da questo luogo si snoda, come un ruscello, un viottolo delimitato da fitte siepi, cespugli e alberi, per poi confluire in una piccola radura illuminata dal sole.
Un giorno d’inizio primavera decisi di attraversare il parco per poi proseguire a piedi verso il centro storico della città; grande fu il mio sconcerto nel vedere come l’incuria si era sostituita a quella cura iniziale che aveva reso gradevole la frequentazione di quella piccola oasi di verde e tranquillità.
Qualcuno riposava disteso su una scomoda panchina, forse pensando di aver lasciato nella sua terra la paura e la violenza, ma non la fame.
In compagnia di questi pensieri, mi avviai lungo il viottolo e vidi un uomo  di colore  venire verso di me tenendo in mano un telefonino; quando ci trovammo di fronte proseguì il suo cammino senza distogliere l’attenzione da quell’oggetto; mi voltai a guardarlo e, più in là, lo vidi sedersi su una panchina mentre continuava a manipolare il telefono. (…)



Giorgio Caporali è nato a Terni il 25 maggio 1938. Maturità scientifica, a seguire attività lavorativa in una compagnia aerea, specializzazione nel campo dell’automazione per i processi aziendali e passaggio a una multinazionale operante nel campo. Successiva attività in alcuni Istituti bancari in qualità di dirigente. Ha partecipato a diversi Concorsi letterari di narrativa e favole ottenendo sempre, con la premiazione, l'apprezzamento delle opere presentate.

«Notevole specialmente per il primo, "il salto nel buio", che ho trovato profondo nel far conoscere i sentimenti dei personaggi, oltre che nella scelta della trama. Alcune descrizioni sono un po' troppo dettagliate, non facili da immaginare; ma si riscatta con uno stile bello da leggere e mai melodrammatico, nemmeno nei passaggi più coinvolgenti dal punto di vista emotivo.
(Carlo Broccardo)


Ci sono storie che meritano di essere raccontate. E ci vuole che qualcuno le sappia guardare. Il merito di questi racconti sta soprattutto in questo.» (Simone Sereni) 


6° classificato 

Di vita e d’Oltre: 4 racconti 
di Mario Mastrangelo (Salerno)

IL DIO DELLE FORMICHE

Nel giardino di casa, quella di campagna di proprietà dei nonni, dove Sergio passava molto tempo nei mesi estivi, c’era un muretto a secco, piuttosto malandato, con alcune pietre smosse o divelte, con varie erbe cresciute disordinatamente.
Era di là che veniva quella fila fitta di formiche, un rigagnolo di scura materia vivente, suddivisa in infiniti minuscoli corpiccioli, che si allungava allontanandosi dalla base del muretto, sparendo, dopo un cammino di qualche metro, sotto una grossa pianta ornamentale.  
Quasi a metà strada tra il muretto e la pianta, una fila di rustiche piastrelle, che costituiva la pavimentazione di quel punto di giardino, costringeva le formiche al frenetico attraversamento di una superficie liscia e regolare.
Era lì che Sergio si metteva accoccolato col suo martelletto.
Manico di legno chiaro, testa di metallo brunito, elegante e comodo da impugnare, quel martello era, in quel periodo, compagno abituale dei giochi solitari di Sergio, ragazzo introverso e dal comportamento decisamente singolare.
Si diceva che fosse autistico o comunque mentalmente compromesso, ma c’era pure chi sosteneva che il ragazzo era normale, però alienato dalla vita solitaria cui lo costringevano i genitori. (…)

Mario Mastrangelo (Salerno, 1946, già docente di scienze naturali) scrive prevalentemente nel dialetto della sua città. Ha pubblicato finora sette raccolte di poesie dialettali, dal 1992 al 2011, l’ultima, Nisciuna voce (Nessuna voce), con prefazione di Franco Loi. I suoi versi, scritti in un dialetto musicale, piegato dall'autore alle esigenze d’espressione del suo universo poetico, sono sostenuti da un delicato gioco di rime e si immergono nei diversi spazi dell'interiorità, toccando temi profondi. Commenti alla sua opera poetica sono inseriti in volumi e periodici di critica letteraria. Diverse sue composizioni sono state pubblicate su riviste, tradotte in inglese e raccolte in antologie. Affianca all’attività di poeta quella di scrittore di racconti e di studioso di vari aspetti della poesia e narrativa italiana contemporanea, con contributi apparsi su varie pubblicazioni di letteratura.

«Un titolo affascinante ci avvia a quattro testi ben calibrati per tono e lunghezza. Soddisfacenti risultano sia la stesura che i soggetti. I brani due e quattro appaiono affaticati, rispettivamente, da vibrazioni spirituali da catechesi e da un’atmosfera melenconica, niente di troppo lesivo ad ogni modo.» (Fabio Cecchi) 


7° classificati ex aequo

Sono Cappuccetto Rosso ed altri racconti 
di Carla De Angelis (Roma) 

- Mamma mi racconti una favola?
- C’era una volta…
- Ora non c’è più?
- C’è ancora, ma le favole iniziano così.
C’era una volta una bambina tanto birichina, ma anche altruista e buona. Aveva sempre un sorriso e una parola per gli altri e girava per il quartiere con la sicurezza di una persona già adulta contagiando tutti con la sua allegria. Da un po’ di tempo però era diventata triste perché non poteva, non sapeva riprendersi dal dolore per la scomparsa del nonno e così quando la sera si ritirava nella sua stanzetta ripensava ai suoi racconti.
Il nonno l’andava a trovare una volta a settimana e si sedevano nei giardinetti di p.za S. Maria Ausiliatrice vicino alla fontanella da dove poi avrebbero riempito due bottiglie di acqua fresca da portare alla nonna.
Il nonno aveva fatto parte della Resistenza Italiana, partigiano nelle montagne del Piemonte che fanno da confine tra l’Italia e la Francia. Era comunista, rosso. (…)




Carla De Angelis è nata a Roma dove vive e lavora; ha collaborato con alcune riviste italiane e internazionali e ha allestito mostre in varie librerie di Roma e al Museo del Folklore, ha partecipato alla mostra dei Presepi nella chiesa del Bramante a Piazza del Popolo. Nel 2005 ha ripreso la scrittura e fino al 2014 sono uscite varie raccolte di versi: Salutami il mare, A dieci minuti da Urano e I giorni e le strade con Fara, Mi vestirei di mare con Progetto Cultura; i libri: Diversità apparenti (dialogato con Stefano Martello), Il resto (parziale) della storia (scritto e curato con Stefano Martello e con contributi di altri scrittori), entrambi con Fara. Testi sono presenti in antologie edite da Fara. A giugno 2012 ha curato l’Antologia “Corviale cerca poeti” edita da “youcanprint”. Tutti i libri hanno ricevuto premi e segnalazioni. Poesie sono presenti in diverse Antologie edite da Aletti, Estroverso, Perrone eLiminamentis. Nel 1995 il Presidente della Repubblica le ha conferito l’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica Italiana. Attualmente, terminato il lavoro nel settore pubblico, si dedica alla scrittura e collabora con la Biblioteca di Roma “Renato Nicolini” al Corviale.

«Piacevole è stato il confronto con tali racconti, capaci di regalare manciate di passaggi freschi e preziosi. A malincuore si rintraccia qualche non vistoso refuso sintattico, nonché la tendenza all’apertura di parentesi eteree e sospese, in sintonia con gli sceneggiati del meriggio domenicale. Il primo dei brani esordisce con buoni passi e tuttavia decade a ‘questione risolta’ in un explicit per infanti. La narrazione del secondo incede senza scossoni, assestandosi su un discreto standard nel capitolo seguente. Nel brano conclusivo è forse radunato il meglio, con fantasia che irrompe a folate e riesce a racchiudere il lettore tra proiezioni di fulgori rubescenti.» (Fabio Cecchi) 


Maria 
di Tina Fezza (Livorno)
Martedì 31 luglio, ultimo giorno di lavoro: da domani ferie per 1 mese. Si mangia sano e controllato godendo la famiglia e le gioie delle quattro mura domestiche.
Mettendo fuori uso il cellulare ed apponendo un bel divieto di accesso nel vialetto di casa si riuscirà una buona volta ad isolarsi dal mondo, oppure no? Ed ancora: se non siamo indispensabili, alle volte persino poco utili, allora nessuno dovrebbe accorgersi di questa assenza, non è vero? No, purtroppo no. Per staccare “il giusto”, allontanandosi dalle solite persone e dai consueti riti della quotidianità, credo sia necessario, almeno, un corroborante viaggetto nello stupendo Sud!
Faccio, come sempre, buoni propositi per l'inverno. Niente di trascendentale però, solo semplici precetti ai quali conformare i miei comportamenti futuri. (…)


Assunta (Tina) Fezza è nata l’8 marzo 1969 a Livorno dove risiede. Lavora in una Ditta a conduzione familiare che si occupa di manutenzione di Impianti di Riscaldamento. È sposata e ha due figlie di 23 e 18 anni. Ha la maturità Magistrale ed ha frequentato per due anni la facoltà di Lettere all’Università di Pisa che ha poi abbandonato quando ha trovato lavoro. Ha sempre coltivato la passione per la lettura, ma in questi ultimi 4/5 anni si è cimentata nella scrittura di racconti e qualche poesia. Frequenta da due mesi per la prima volta un corso di scrittura creativa. “È la prima volta che invio un mio racconto ad un Bando di concorso e lo faccio con la coscienza dei miei notevoli limiti ma perlopiù spinta da una grande passione.”

«Spessore nei sentimenti, trama coinvolgente.» (Roberto Battestini)

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