sabato 30 novembre 2013

Su Il principe bambino di Emilia Dente Santangelo

Youcanprint, Tricase (LE), 2013 

recensione di Vincenzo D'Alessio & G.C.F.Guarini


La realizzazione di questo libro è durata molti anni di lavoro e ricerca. Lo possiamo affermare con certezza perché abbiamo seguito il piano del lavoro, la sua stesura e finalmente la pubblicazione quest’anno. La prima parola che ha dato inizio a questo libro che reca il titolo: Il principe bambino è stata un nome proprio, Ennio: il primo nato dal matrimonio dell’autrice, il suo principe bambino, che ha offerto alla mamma i suoi occhi grandi e chiari per permetterle di realizzare il viaggio nel regno meraviglioso dell’infanzia, “sui sentieri delle fate”.

Il lavoro suddiviso in vari capitoli analizza il lungo percorso che ha visto la nascita della favola all’interno delle comunità antiche ad iniziare dalla teoria di W. Propp che analizzò le favole della Russia attribuendo l’origine “al rito dell’iniziazione” dei giovani nelle società primordiali; si continua con le gesta del principe Gilgamesh e dell’amico Enkidu; per giungere cronologicamente all’Età Classica di Omero, Aristofane con la commedia Le vespe, Esopo, Fedro e Apuleio che per primo adottò la formula: “C’erano in una città un re e una regina…”.

L’autrice delinea pagina dopo pagina tutto le schema che regge la favola e la fiaba differenziandole nei tratti: “entrambe sono narrazioni per gli ascoltatori, piccoli o adulti, la favola è una storia fantastica breve, a volte in versi, che spesso ha come protagonisti degli animali e che è nata con lo scopo di impartire un preciso insegnamento morale. La fiaba è invece una narrazione fantastica più lunga, in prosa, in cui sono presenti elementi magici” (pag. 24)

L’agile testo raccoglie le testimonianze di vari personaggi reali che hanno sostenuto l’autrice nel corso della ricerca: la professoressa Lucia Stanziale (mamma scolastica dei figli dell’autrice); il dottore Carmine De Blasio (compagno d’avventura sin dall’infanzia); il cavaliere Vincenzo (che passeggia insieme raccontando). L’intento di questo lavoro è quello di coronare la lunga ricerca sul mondo fantastico delle fiabe rendendolo visibile agli occhi dei bambini e degli adulti. Per questi ultimi i riferimenti bibliografici e del Web permetteranno di valutare la qualità scientifico pedagogica della ricerca.

La parte che a noi piace di più e che avvicina il lavoro della Nostra a quel bellissimo racconto che sa di poesia di A. de Saint-Exupéry: Il piccolo principe è identificata, nel testo che stiamo analizzando, come: “Le paolette” (racconti fiabeschi). Sono i racconti che Emilia Dente ha scritto e raccontato ai suoi figli nel corso degli anni e che hanno scandito il tempo della famiglia: cuore pulsante di ogni realtà sociale che scopre nella continuità dei propri figli il rinnovamento personale e della comunità di appartenenza. A noi è piaciuta tanto quella di Lizzi ranocchietta che richiama il senso armonico del mondo ordinato della Natura rispetto al disordine causato dal genere umano. In questo racconto, come negli altri che seguono, ricorre la presenza del tarassaco: pianta cara all’autrice perché solare e radicata fermamente nella continuità della specie( si veda la raccolta di poesie Tarassaco e viole Fara Editore 2009), oltre all’avvicinamento all’antropomorfismo degli animali che fa tornare alla mente i Paralipomeni della Batracomiomachia scritti dal grande poeta Giacomo Leopardi.

Un ottimo lavoro di ricerca, cesellato dalla grande passione per l’infanzia che si esprimeva già negli anni Novanta del secolo scorso quando l’autrice si laureava con una tesi sul tema: L’educazione alla fiducia (Università degli Studi di Salerno), e la fortuna di vivere in una cittadina fantastica, Montefusco tra la provincia di Avellino e Benevento, rimasta il borgo medievale dove i sogni s’involano dai comignoli degli antichi focolari divenendo “parole dal fuoco” che scaldano il cuore dei bambini e degli adulti.

venerdì 29 novembre 2013

Renzo Montagnoli su Pazziando

http://www.faraeditore.it/html/neumi/pazziando.htmlAA. VV.
a cura di Alessandro Ramberti

Copertina di Francesco Ramberti, studio Kaleidon

Fara Editore
www.faraeditore.it

Narrativa e poesia
Collana Neumi
Pagg. 116
ISBN 978 88 97441 31 1
Prezzo € 15,00

recensione di
Renzo Montagnoli

pubblicata in Arte insieme


 
La scrittura come terapia del disagio


Il presente volume è un’antologia delle poesie e dei racconti classificati ai primi 5 posti nel concorso letterario Insanamente 2013, ormai una tradizione per l’editore Fara. Ricordo che questo concorso è dedicato a opere legate al tema della scrittura come terapia, come elaborazione anche giocosa e autoironica del disagio, come modalità dialogante, rispettosa e tragicomica di affrontare il proprio e/o altrui disagio mentale, come riportato in premessa dal curatore.
Ammetto che in genere sono un po’ scettico sulla qualità delle opere di questi concorsi a tema specifico, ma, una volta tanto, mi sono dovuto ricredere, anche per quanto concerne le classifiche di merito. Ho rilevato che, in generale, le opere che figurano in questo libro dall’emblematico titolo Pazziando non solo sono pertinenti all’argomento, ma presentano anche indubbie qualità, e questo vale sia per la sezione “Poesia” che per quella “Racconto”, lavori che sono caratterizzati da un sostanziale equilibrio, il che deve aver reso non facile l’operato dei giurati, come dimostrato anche dai molti ex aequo..

Per quanto concerne il primo classificato per la poesia, Paolo Assirelli, sono rimasto colpito da Grammi, vincitrice del concorso, con un’alternanza temporale, fra passato nel ricordo che diventa presente e un presente che non inibisce il futuro, una visione della vita che, per dirla con l’autore “si misura in grammi”, ma che è positiva, luminosa, come il sole felice del mattino. Altrettanto valida è poi L’amore dei vecchi, una felice combinazione di constatazioni che non deprime, nonostante il tema, ma che anzi fa della terza età un periodo vitale, pur con le limitazioni fisiche, ben espresso in una chiusa di grande effetto (… Non c’è nulla che valga più dell’amore, se non / l’amore che verrà / quello che sogni un attimo prima del risveglio – ferma, ferma / il motore / macchinista, scendi tu se vuoi, io resto.) E anche una poesia che può sembrar minore – mi riferisco a Il pallido pesce rosso è morto – è invece una gran bella riflessione sulla morte, fra la vitalità e la fissità corporea che trasforma ogni essere in cosa inanimata, come un sasso, come la cenere.

Meritato è pure il primo posto per Matrioska, un bel racconto di Gabriele Cecchini, un brano in cui era facile cadere nell’autocommiserazione della protagonista, ma l’autore ha saputo esaltare la tenerezza senza giungere alla mielosità, pur nella difficoltà di un’analisi introspettiva di una donna in evidente disagio, una donna frustrata dalla premurosa assistenza della madre, a cui ha sacrificato l’intera esistenza. E ora che la genitrice è venuta meno è sommersa da una lacerante sensazione di vuoto, la realtà si mostra in tutti i suoi aspetti, così che più che condurre un’esistenza si finisce per l’essere condotti da essa e il rifugio è nel sogno. Questa contrapposizione appunto fra realtà e sogno porta a un finale del tutto inaspettato, ma rasserenante.
Ecco, la serenità, quasi una chimera per gli esseri umani, è una sensazione di benessere a cui si perviene con grande difficoltà e solo con la consapevolezza di quel che siamo, il che ci induce a vedere in positivo. Assirelli, con le sue poesie, e Cecchini con il suo racconto, apportano speranze per il domani, vedono il sole anche dove c’è il buio, infondono serenità e credo che anche il lettore ne trarrà benefici. Non è poca cosa, anzi è tanto.
Mi sono limitato ai primi classificati per doverosa brevità e perciò non me ne vogliano gli altri, dei cui lavori ho pure apprezzato i fini e gli svolgimenti.
È quindi un piacere leggere Pazziando, un piacere che mi auguro coinvolga anche altri ai quali consiglio vivamente questo libro.

Gli autori

Paolo Assirelli, Claudio Pagelli, Giovanna Iorio, Domenico Cipriano, Mauro Nastasi, Ulisse Fiolo, Vincenzo D’Alessio, Vincenzo Gabrielli, Gabriele Cecchini, Barbara Rossi, Manfredo Marotta, Vincenzo Domenichelli, Giorgio Massi, Francesco Randazzo.

martedì 26 novembre 2013

I° Concorso di Poesia "Katia Zattoni - Come farfalle diventeremo immensità" (scade 20 gennaio)

a cura di Guido Passini
 

Parte il I° Concorso di Poesia 
“Katia Zattoni – Come farfalle diventeremo immensità”
Un concorso dedicato ad una cara amica prematuramente scomparsa l’8 Ottobre 2013.

Abbiamo deciso di istituire questo concorso perché Katia amava la poesia, scriveva poesia, ma soprattutto ha fatto si che la poesia entrasse in ogni progetto che portava avanti. I progetti infatti che come Assessore portava avanti erano sempre circondati da quell’essenza di creazione nel trasmettere concetti, stati d’animo, realtà che spesso non vogliamo vedere. Proprio come la Poesia dovrebbe fare. A noi piacerebbe che ognuno dei partecipanti al bando potesse in qualche modo ricevere la grande energia positiva che Katia riusciva a trasmettere, nonché il suo coraggio nell’affrontare un destino che conosceva ma a cui non ha ceduto il proprio spazio. La sua è stata una vita all’insegna della politica e del rispetto civile dell’uomo. Ha unito passione, gentilezza, disponibilità verso il prossimo senza mai negare un sorriso a chi ne aveva necessità. La nostra intenzione è quella di riproporre il Concorso annualmente facendo si che il suo ricordo resti acceso, ma soprattutto che possa essere sempre un arrivederci e mai un addio.
Per scaricare il bando clicca Bando

Per scaricare la liberatoria clicca:

È uscito Faraexcelsior 2013







Potete ordinare i nostri libri per mail a info@faraeditore.it o allo 0541.22596 fax 0541-22249 con lo sconto del 15% (più 3 euro spese per l'Italia) inseriremo nel plico il bollettino di c/c postale già compilato o, se preferite fare un bonifico, vi indicheremo le coordinate bancarie.


Autori Vari
Faraexcelsior 2013

€ 20,00 pp. 302 (Nefesh 6)
ISBN 978 97441 36 6


Questo volume raccoglie opere di narrativa e poesia selezionate dai giurati del concorso Faraexcelsior 2013. Nella frizzante e stimolante postfazione, Stefano Martello si interroga sul suo ruolo di giurato e scrittore: “… se hai ben chiaro non tanto dove vuoi arrivare quanto come ci vuoi arrivare, il dubbio si trasforma in uno stimolo potente, capace di trasformare le tue vittorie in vere e proprie entrate ad Alessandria e le tue sconfi tte in episodi da affrontare con la coscienza pulita. Di più, da cui imparare“. Riportiamo di seguito alcuni brevissimi passi delle motivazioni dei giurati (le trovate complete nella Presentazione): ci offrono preziose chiavi di lettura per “assaporare“ autori che è un vero piacere pubblicare:


999 parole di Alessandro Chiarini: “Poesie di intensa ispirazione religiosa” (Rosa Elisa Giangoia)

Se sei nato Caos non puoi diventare Armonia di Elena Varriale: “un messaggio di speranza per tutte le donne vittime di violenza e soprusi” (Silvia Sanchini)

Il sogno breve di Gabriella Bianchi: “Squarci lirici con echi classici” (Luca Ariano); “Il sogno è per l’orfano il rifugio, la protezione, il distacco provvisorio dal risveglio” (Vincenzo D’Alessio)

Io Achille di Ivan Norberto Braidot: “Prendere sul serio il mito e giocarci (parlando tra le righe – presuppongo – di un presente personale e sociale) non è cosa da poco” (Giuseppe Carracchia)

Diario 2.3 di Manlio Ranieri: “Adoro i diari, ne adoro il coraggio, la sfrontatezza, l’ingenuità, l’assolutismo” (Stefano Martello); “Coerente nello stile, offre un quadro godibile della vita e delle emozioni di una generazione” (Lorenzo Gobbi).

Lassurdo di Massimiliano Barattucci: “Dissacrante, a tratti disturbante, sempre politicamente scorretto” (Stefano Martello); “Premio questo racconto per l’originalità della scrittura, l’ironia, la scelta di raccontare situazioni solo all’apparenza surreali” (Silvia Sanchini).

I miei versi come un cane in chiesa di Simona Cerri Spinelli: “Visionari alla Rimbaud, compassionevoli alla De André e duri alla Bukowski sono i versi di questa raccolta” (Valerio Grutt).

La memoria del dolore di Viviana De Cecco: “Ben strutturato, coinvolgente, appassionante, scava bene nell’intimo” (Lorenzo Gobbi).

mercoledì 20 novembre 2013

Su Il fulmine nella terra. Irpinia 1980 di Mirko Di Martino

Edizioni Teatro dell’osso, 2013

recensione di Vincenzo D'Alessio


http://www.teatrodellosso.it/libro-il-fulmine-nella-terra/
Il libro che reca il titolo Il fulmine nella terra nasce dalle mani di un autore del Sud che ha realizzato il testo adattandolo al teatro in forma di monologo. Un monologo da recitarsi sul modello amletico dove chiedersi: cosa è successo all’Irpina e alla sua mite gente durante e dopo il sisma del 23 novembre 1980?
Non basta un teatro per contenere la tragedia e Di Martino riducendo il dramma in un monologo ha disseppellito la corale degli scomparsi, il disagio dei superstiti, la devozione alla memoria tradita. Una esegesi faticosissima per un evento naturale senza precedenti.
Nel leggere la prefazione alle settantatre pagine del testo si rimane storditi da quel rigo iniziale che dice: “Sono nato a Lioni. Ho studiato a Napoli e vissuto a Roma, poi sono tornato a casa perché qui sono le mie radici. No, non è vero, non sono tornato per questo.” 
All’epoca del sisma l’autore aveva cinque anni: il primo respiro l’aveva tratto dalla sua Irpinia. Si è allontanato per studiare: il viaggio arricchisce. Durante il viaggio e i ritorni si è accesa la fiamma che divora ogni coscienza sincera, ogni uomo appassionato per la sua terra: “ma la verità è che le mie radici non esistono più, cancellate dal terremoto dell’80 insieme alle case, le strade, i vicoli, le piazze” (dalla Prefazione).
Un palcoscenico dove arde il fuoco della parola, la voce del narratore, la trasmissione orale delle vicende singole e collettive di intere comunità granulari sparse nelle costole di una terra, l’Irpinia, che di morti ne ha visto stritolati da secoli. Il terremoto da noi è di casa. Una casa di pietre e di legno pronta a crollare addosso ai suoi abitanti all’improvviso. Una terra spesso dimenticata che viene alla ribalta nazionale soltanto per le catastrofi. Eppure la gente migliore in campi diversi viene proprio dal Sud. Si porta dentro la genetica del dolore, del poco conforto, del fai da te se ci riesci. Una popolazione che vive del poco, anche economico e sa bene tenere i fili della sopravvivenza.
Il dramma è in scena attraverso l’attore che recita, perde un po’ del dolore che contiene, invita a guardare la vita degli anonimi scomparsi che riprendono il nome avuto al battesimo e riportato sulla tomba. Sono di nuovo tra noi a guardarci da sotto le macerie, dentro le auto schiacciate dai crolli, dalle belle pareti affrescate delle chiese: “Chi s’è salvato si è appeso alla mano di Dio”, recita una delle anafore utilizzate nel monologo.
“Che quello che misuriamo ci appartiene. Pure il terremoto”, recita un’altra anafora che compare nel testo a identificare la sorda differenza tra causa ed effetto sulla realtà degli accadimenti.
Serve a qualcosa, oggi a trentatré anni di distanza, ricordare gli eventi della domenica di novembre, a chi li ha vissuti, a chi li custodisce interiormente, a chi nascendo in questo nuovo secolo non avverte la necessità di conoscerli? L’ironia del gioco del calcio che prende corpo dalle prime pagine è materia che darà vita sempre ad interessi e dibattiti. La politica internazionale cucirà sempre le sue idee a Palazzo Madama o in altri luoghi. La musica darà ancora i suoi contributi come pure la televisione e oggi i computer.
Ma il luogo nascosto dell’anima che un bimbo di cinque anni ha portato chiuso nel petto e che ha liberato in questo bellissimo lavoro, molto vicino ad un altro uscito tempo addietro dal titolo Irpinia terra del Sud (Edizioni Tracce 2003) dello scrittore Michele Luongo, di cosa si nutre?: “Ci interessa, oggi, stare a sentire i nostri vecchi che raccontano delle 'centredde' di ferro che mettevano sotto alle scarpe per non consumare le suole di cuoio? Sono racconti che non creano più memoria, sono storie che non uniscono più narratori e ascoltatori. Le 'vecchie' e i 'vecchi' di cui parlo sono i cinquantenni di oggi, quelli che avevano vent’anni nel 1980 e che hanno scoperto troppo tardi che il terremoto li aveva fatti diventare superstiti, dei ruderi, fuori posto allo stesso modo di quelle poche case rimaste in piedi, oggi, in mezzo ai nuovi palazzi” (dalla Prefazione).
Il teatro è riuscito a rinsaldare le voci interne riconducendoci per mano fuori dall’inferno che abbiamo attraversato: “E quindi uscimmo a riveder le stelle”. E nel petto di questo monologo è rimasto l’interrogativo: “Ma noi, chi lo sa se abbiamo vinto o perso?” (pag. 58).

martedì 19 novembre 2013

Su Pazziando

recensione di Emilia Dente
 

C’è un filo rosso che attraversa e sottende il vivido mosaico di parole delle opere vincitrici al concorso Insanamente; un prezioso filo rosso che, dipanandosi nelle diverse immagini poetiche, intricandosi nelle luminose figure della mente e del cuore e annodandosi alla verità dei sogni e dei pensieri, tesse la trama sottile ed elegante della produzione poetica di Pazziando. Ordito pregiato, variopinto ed originale, arazzo di versi fluidi ed armoniosi, drammaticamente autentici, veri quanto la sofferenza. Una scrittura che attraversa la soffocante ipocrisia quotidiana e si tinge di ombra nella riflessione meditata che “sente” il vuoto, cerca l’altro, dialoga con l’essere e incontra il dolore. “Non c’è nulla che valga più dell’amore se non l’amore che verrà”: questo verso è idealmente l’incipit e la rossa fibra che guida il cammino profondo dell’intera opera poetica. “C’è un alfabeto da imparare, e l’intera grammatica di Dio” continua il suo appassionato autore, Paolo Assirelli, annodando fermamente la parola poetica alla forza dei sentimenti, e segnando i passi profondi nel cammino emozionante della vita. Dai versi aspri, come fibre di canapa ruvide, nel chiaroscuro della vita e della poesia, emerge la sofferenza, il dolore, la solitudine, il vuoto, l’assenza , la diversità , il malessere che scava gli abissi dell’anima di ogni autore , segnando profondamente la pelle dei versi. Domenico Cipriano, nel suo trittico poetico, rivela “le fratture della transumanza / che porti in giro nelle tue parole / isole lontane, dove il mare duole” e poi, nella formula originale ed interessante della poesia sciolta “Nessuno si ferma a guardarne il volto, ma lo ascoltano da lontano”. Amari sono i versi di Ulisse Fiolo da cui emerge forte il senso di vuoto e solitudine dell’uomo moderno che, nella piazza globale, si sente sempre più estraneo e solo e ancora, amaramente malinconici i versi di Vincenzo D’Alessio. Nella terra dei lupi, aspra e dura, il poeta testimonia negli occhi e nel cuore il bagliore vivido e il sincero calore umano della civiltà contadina ingoiata dagli ingranaggi voraci di una massificazione selvaggia che ha sradicato l’umanità autentica e ha snaturato i suoi sentimenti, elevando il canto poetico nella bellissima invocazione “vestimi di grano, per non andare lontano”. Una scrittura poetica palpitante e complessa, inquieta e profonda nell’intreccio di temi sempre importanti, a volti trattati con raffinatezza e fine ironia, come i bozzetti poetici di Claudio Pagelli che con poche, vibranti e meditate pennellate, racconta il disagio e la difficoltà di vivere, riflettendoli nelle interessanti figure degli “astri matti”, o l’intreccio sapiente della lirica Maggio di Mauro Nastasi che ripropone una meditata riflessione sui temi che tormentano oggi e sempre l’essere umano, fino all’urlo poetico di Vincenzo Gabrielli che, nell’implosione delle parole e dei sentimenti esprime fortemente tutta la fatica della vita e il malessere dell’eterno seminare “mentre dormo inerte , e sepolto, come una radice infeconda”. Sulla intricata trama poetica di Insanamente, infine, Giovanna Iorio ricama le liriche che, in un riflesso meravigliosamente folle e vero, specchia la bellezza dell’anima nella sua informe e deforme verità. La parola poetica diventa così il legno scuro in grado di traghettare l’essere umano, legittimamente clandestino, nell’abisso del tormento che gli appartiene, costringendolo a specchiarsi senza il velo dell’ipocrisia, lasciandogli la forza di riconoscere sul fondo dello specchio deforme la meravigliosa bellezza dell’essere.
Meraviglioso ricamo le liriche di questa silloge poetica che irradiano l’anima e alimentano, nei percorsi luminosi della scrittura, il cuore e la mente (in)sana, meravigliosamente, splendidamente libera.

Giornata Panziniana a Senigallia 22 nov

Celebrazioni per i 150 anni dalla nascita di Alfredo Panzini


http://www.faraeditore.it/html/collane/classici/orlando.html
Venerdì 22 novembre 2013

Programma della Giornata Panziniana


Mattino, ore 11.30-13.00

Istituto di Istruzione Superiore A. Panzini


Saluto del Sindaco del Comune di Senigallia Maurizio Mangialardi

Saluto del Sindaco del Comune di Bellaria-Igea Marina Enzo Ceccarelli

Saluto del Dir. Scolastico dell’Istituto di Istruzione Superiore A. Panzini Maria Rosella Bitti

Saluto del presidente dell’Accademia Panziniana Arnaldo Gobbi



Proiezione del documentario Panzini ha cent’anni (1963) di Sergio Zavoli



Interventi

Mario Cavallari - Alfredo Panzini tra biografia ed autobiografia

Camillo Nardini - “Le parole nascono, restano, muoiono” – La funzione del Dizionario moderno di Alfredo Panzini

Fabrizio Chiappetti - Il gusto delle parole. La Guida alla grammatica italiana di Alfredo Panzini



ore 13.30

Istituto di Istruzione Superiore A. Panzini

Pranzo su invito e intermezzo da “Le ostriche di San Damiano”,

a cura degli studenti dell’Istituto di Istruzione Superiore A. Panzini



Pomeriggio, ore 16.00-18.30

Auditorium San Rocco

Saluto dell’Assessore alla Cultura del Comune di Senigallia Stefano Schiavoni

Interventi

Mariangela Lando

Panzini misoneista ne Il libro dei morti e le avventure di un pater familias

Antonio Maddamma

Alfredo Panzini in viaggio “Nella terra dei santi e dei poeti”

Andrea Bacianini

“Fabulae ex Ponto?” Piccola indagine sul classicismo di Panzini

Luca Rachetta

La dimensione de Gli ingenui: attualità delle pagine di Alfredo Panzini

Giuseppe D’Emilio

Il futuro di Alfredo Panzini: le sue opere in e-book



Presiede e modera gli interventi: Antonio Maddamma

Le letture dei passi delle opere panziniane sono affidate all’attore Mauro Pierfederici





Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca

Istituto dI IstRUZIONE suPERIORE

“Alfredo Panzini”


Via Capanna 62/a – 60019 SENIGALLIA (An)

Istituto Professionale dei Servizi per l’Enogastronomia
e l’Ospitalità Alberghiera – Istituto Tecnico per il Turismo

Tel. 071.79111 – Fax 071.7924570
E-MAIL: istituto@panzini-senigallia.it WEB: www.panzini-senigallia.it


Codice Fiscale n. 83003810427 – Cod. Mecc. ANIS01900A

Una Giornata Panziniana per i 150 anni dalla nascita dello scrittore senigalliese Alfredo Panzini


Anno 1966, preside il prof. Vasco Bertarelli: il 16 febbraio durante una seduta del consiglio di istituto viene deliberata all’unanimità l’intitolazione della scuola ad Alfredo Panzini.

Da quel giorno il noto istituto senigalliese si è sentito fortemente legato allo scrittore e naturale è stato accogliere il progetto di celebrare questo concittadino, celebre scrittore, narratore e saggista, accademico d’Italia, giornalista, professore di ginnasio e buongustaio.

Perciò venerdì 22 novembre 2013 a Senigallia si terrà una Giornata Panziniana, evento inserito fra le celebrazioni del 150° anniversario della nascita dello scrittore nato a Senigallia nel 1863.

La Giornata Panziniana, organizzata dal Comune di Senigallia e dall'Istituto d'Istruzione Superiore A. Panzini, e con la partecipazione del Comune di Bellaria Igea Marina e dell’Accademia Panziniana, prevede due sessioni di convegno, una mattutina e l'altra pomeridiana, che avranno luogo rispettivamente all'Istituto di Istruzione Superiore A. Panzini e all'Auditorium San Rocco e che ospiteranno gli interventi di studiosi e docenti di materie letterarie, intervallate da un pranzo su invito a tema con intermezzo da "Le ostriche di San Damiano", a cura degli studenti del detto Istituto.

Quando all’inizio di quest’anno – scrive Antonio Maddamma, ideatore e coordinatore della Giornata Panziniana – ho pensato ad un evento che celebrasse i 150 anni dalla nascita dello scrittore senigalliese Alfredo Panzini, il mio pensiero è corso alla sua patria d’elezione, la sua Bellaria, dove visse e scrisse molte delle sue opere. Invitati d’eccellenza della Giornata Panziniana sono dunque il Comune di Bellaria-Igea Marina e l’Accademia Panziniana, presieduta da Arnaldo Gobbi, nipote di “Finotti”, il contadino mezzadro di Panzini. Invito accolto con entusiasmo e che inserisce la Giornata Panziniana fra gli eventi celebrativi promossi e sostenuti da questa Accademia, che si concluderanno il 31 dicembre, giorno di nascita di Alfredo Panzini, con un commosso omaggio alla sua tomba nel cimitero di Canonica di Sant’Arcangelo. Il nostro intento è quello di offrire un contributo ancorché modesto alla conoscenza di uno scrittore, la cui opera, tanto apprezzata mentre ch’egli visse, quanto ignorata, messa in ombra e di fatto epurata dopo la sua morte dalle maggiori correnti della critica letteraria novecentesca, andrebbe nuovamente riscoperta.

Il 22 novembre sarà una giornata veramente importante la cui realizzazione al Panzini ha visti impegnati i proff  Giuseppe D’Emilio  e Simonetta Sagrati per il coordinamento e la comunicazione; lo chef Giancarlo Rossi e la sua classe 3E cucina, che permetteranno di gustare un menù ripreso da “Le ostriche di San Damiano”; il prof Luciano Matteucci con la classe 4A sala per il servizio ai  tavoli e la classe 5A turistica per l’accoglienza.

Sarà sicuramente un grande vento che vuole celebrare Alfredo Panzini, uno scrittore che alunni, docenti e concittadini potranno nuovamente apprezzare.


L’addetto stampa
Simonetta Sagrati

lunedì 18 novembre 2013

Alessandro Rivali presenta GIAMPIERO NERI UN MAESTRO IN OMBRA a Milano 22 nov

http://www.jacabook.it/ricerca/main-aut.htm
Cari amici,
in occasione di BookCity Milano venerdì 22 novembre alle 19 presenterò al Castello Sforzesco (sala Weiss) il mio libro-conversazione con il poeta “maestro in ombra” Giampiero Neri, con noi due ci saranno anche Filippo Tuena e Bianca Garavelli. Se siete da quelle parti magari riuscite a fare un salto…
Un caro saluto.
Alessandro Rivali



IN  OCCASIONE DI BOOK CITY MILANO 2013 (21-24 NOVEMBRE 2013) JACA BOOK SARA’ PRESENTE  CON I SEGUENTI INCONTRI
VENERDI’ 22 NOVEMBRE - ORE 19.00 

Castello Sforzesco - Sala Weil Weiss, Piazza Castello

Presentazione del volume di Alessandro Rivali:  

GIAMPIERO NERI UN MAESTRO IN OMBRA

A dieci anni dalla morte dello scrittore Giuseppe Pontiggia, il fratello Giampiero Neri affida alle pagine di Un maestro in ombra le memorie di famiglia, i difficili rapporti interpersonali e la sua vicenda di poeta. A raccogliere il materiale è Alessandro Rivali. Un poeta, Neri, è intervistato da un poeta più giovane, Rivali. Il dialogo dura nel tempo: la confidenza con il giovane poeta e amico permette un’intervista intima e forse liberatoria.

Intervengono Alessandro Rivali, Giampiero Neri, Bianca Garavelli, Filippo Tuena

Evento gratuito e ingresso libero fino a esaurimento posti

giovedì 14 novembre 2013

Senza fiato 2 in Libromondo

recensione di Vittoria Sguerso 
pubblicata in Libromondo 
Newsletter n. 21/2013 (Nov. 2)


v. scheda del libro a cura di Guido Passini










mercoledì 13 novembre 2013

Guido Passini in Chi scrive ha fede?

recensione di Vincenzo D'Alessio

Il contributo di Guido Passini, inserito nell’Antologia Chi scrive ha fede? (Fara Editore 2013) curata da Alessandro Ramberti, apporta un momento di riflessione fondamentale al tema proposto dall’incontro svoltosi a Rapallo (GE). Il titolo del contributo di Guido recita: “Fede è rispetto” e nell’esergo cita San Giacomo 2,26: “Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta.”

Ci sono testimoni, uomini, che portano con tanta dignità la propria sorte esistenziale da meritarsi un dolore costante, acre, resistente alla poca gioia che è il dono della vita. Gli altri che guardano li chiamano poeti e sovente li invidiano. Per me non sono riuscito in nessun momento della mia vita a dimenticare il dolore dell’onestà. Per questo amo i poeti come Guido Passini. Li amo incontrandoli nei loro versi, che sono la loro esistenza, l’infanzia, i grani di quel rosario che si chiuderà in una preghiera finale recitata da altri. Li amo perché, come nel contributo prosa/poetico offerto da Passini, hanno il coraggio di esistere e bene: “Io ho iniziato a scrivere per me stesso, solo successivamente mi sono accorto che in realtà allo stesso modo lo facevo per il prossimo” (pag. 214).

Scrivere per amore di sé stessi. Perché come scrive ancora il nostro nella premessa ai suoi versi: “Io questa vita la rispetto. Non farlo sarebbe come sputare sugli sforzi di un genitore, come sputare su chi ha dato la Vita alla Vita, e questo non è onesto” (pag. 214). L’esempio di vita di Passini è dichiarato: “Io non frequento le chiese (…) Questo non significa che io non creda” (pag. 214). Poeta perché in cerca della verità che fa germogliare la fede nell’esistenza. Lo scrive in modo perfetto nei versi del canto III : “(…) un senso di non ritorno / e senza renderti conto / avrai vinto la guerra” (pag. 217).

La ricerca della luce uscendo dalla miniera dei pensieri disseminati nei versi. La corsa calma verso il finale dove arriverai comunque: spetta a te la scelta se essere un protagonista o un gregario. Sei entrato nell’esistenza, dove altri ti aspettavano, dalla quale uscirai per forza “spezzando catene, graffi di scintille, rantoli di sabbia”. Ma sarai tu il costruttore e l’innovatore. Il fabbro e l’artista che ha forgiato: “il sapore di sangue, il sapore di pane, il sapore di libertà” (pag. 217).

Il Nostro ci rammenta che dentro la fragile scorza del corpo c’è l’angelo che vuole volare, tornare all’energia di Madre Natura: “(…) angeli del firmamento / con l’integralità / di ali che non possono volare”(pag. 216). Noi di angeli ne abbiamo conosciuti. Guido Passini si è riconosciuto angelo e conoscendosi ha raccolto il bagliore fatuo che altri angeli hanno lasciato lungo il suo cammino. Come cantato amorevolmente nella poesia Gabriele a pag. 218: “(…) Non sei solo voce, / amico mio, sei molto di più. / Poche persone, / riescono ad illuminare / quell’angolo remoto / che chiamiamo Anima.”

Il vocativo ha sempre l’effetto della meta raggiunta e che si è costretti a lasciare. Ha l’afflato della domanda fatta a sé stessi e condensata nel nome della persona alla quale indirizziamo il nostro raccontare. L’enjambement rende con maggiore insistenza la distanza tra l’amico scomparso e chi resta a raccontare il calore delle mani perdute. Guido vive attraverso i suoi angeli. Con le sinestesie: “rantoli di sabbia / rumore vuoto”; il senso orfico che pervade la sua distinta poetica: “Ascolto la tua parola, / come fosse verbo / e mi riserbo / di gridarla / in sogno / mentre sveglio, stringo” (pag. 216) affida tutto il dolore composto al verso libero, in qualche parte rimato, lucido strumento di dialogo con sé e il mondo circostante.

“Oggi viviamo in un mondo in cui tutto sembra dovuto, pefino la vita, a volte anche una guarigione istantanea” (pag. 215).

Come per i dieci lebbrosi guariti da Gesù Cristo sulla via che conduceva a Gerusalemme (Luca 17,5) per la loro fede, Guido Passini è quell’unico che tornato indietro per ringraziare il suo benefattore rappresentò e rappresenta l’umanità intera, liberata per sempre dai suoi dolori.

È uscito il bando del Concorso Pubblica con noi (scade il 6 gen 2014)


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Concorso Pubblica con noi 2014










esiliobandini
Qui sotto il libro dei vincitori dell'edizione 2013
creare mondi

Art. 1 Fara Editore bandisce la XIII edizione del concorso Pubblica con noi. Due le sezioni a tema libero: sez. A. racconto o raccolta di brevi racconti inediti; sez B. silloge poetica inedita.
Art. 2 Le opere dovranno essere inviate entro il 6 gennaio 2014 direttamente al nostro indirizzo elettronico info@faraeditore.it in un unico file.
Art. 3 L'opera inviata (non più di una per autore) deve essere inedita (o comunque l'autore deve ancora detenerne i diritti; a tal fine l'autore deve dichiarare l'opera frutto della sua inventiva e di sua libera disponibilità) ed essere: per la sez A. tassativamente compresa fra un minimo di 10 cartelle (o 18.000 caratteri spazi inclusi) e un massimo di 25 cartelle (o 45.000 caratteri spazi inclusi); per la sez. B. comprendere un massimo di 30 poesie e non meno di 20 e non superare comunque il numero complessivo di 1.200 versi (righe bianche incluse).
Art. 4 È richiesta una tassa di lettura di € 20,00 che dà diritto a ricevere (solo in Italia) i libri Esodo e Figli (o altri libri a scelta dell'Editore in caso di esaurimento scorte): la tassa verrà pagata solo dopo aver ricevuto i libri (nel plico inseriamo bollettino di c/c postale per il pagamento).
Art. 5 Il partecipante dovrà allegare o inserire nel messaggio di posta elettronica una breve biografia (non più di 10 righe) con dati anagrafici, indirizzo tradizionale, e-mail e recapito telefonico.
Art. 6 Premi. I primi 3 classificati della sez A. e i primi 3 classificati della sez. B. verranno pubblicati congiuntamente in un libro a cura e a spese dell'editore, che si riserva gli interventi editoriali che riterrà opportuni. Gli autori pubblicati riceveranno 3 copie omaggio godendo dello sconto del 40% (+ spese di spedizione) sulle altre copie che volessero eventualmente acquistare.
Art. 7 Ogni autore selezionato per la pubblicazione riceverà un accordo di edizione che gli lascia la libera disponibilità della sua opera previa citazione dell'edizione Fara. Non verrà dunque corrisposto alcun diritto d'autore.
Art. 8 Il giudizio verrà operato insindacabilmente dall'editore e/o da giurati di sua fiducia. I risultati verranno comunicati ai partecipanti via posta elettronica (v. Art. 10).
Art. 9 Qualora si ritenesse non soddisfacente la quantità e/o la qualità delle opere pervenute, la pubblicazione premio potrà non aver luogo.
Art. 10 I risultati verranno comunicati ai partecipanti e nel web presumibilmente entro il mese di marzo 2014 (saranno pubblicizzati nel nostro sito www.faraeditore.it e nei blog narrabilando e farapoesia). Non è prevista una cerimonia di premiazione.
Art. 11 La partecipazione al Concorso Pubblica con noi implica l'accettazione di tutte le norme indicate nel presente bando.
Art. 12 Ai sensi della legge 675/96 (e succ. mod.) e del D. Lgs 196/2003 i partecipanti al concorso consentono a Fara Editore il trattamento dei dati personali e delle loro opere secondo quanto previsto dal presente bando. Resta inteso che potranno in ogni momento richiedere di essere cancellati dalla nostra banca dati.






domenica 10 novembre 2013

Giambattista Bergamaschi

Ma le nuove generazioni… leggono?




Leggere è la cosa più importante.
Lasciatelo dire, non ci sono molti marinai che sanno leggere, ed è un male, perché così firmano qualsiasi contratto.
Gli viene detto che devono trasportare tabacco da Charleston, ma nessuno gli ha accennato che prima devono caricare schiavi in Africa.
(Björn Larsson, La vera storia del pirata Long John Silver, Iperborea, 1998, p. 62)


***

È opinione comune che i giovani d’oggi non amino leggere. Eppure, a me sembra di udire ancora la voce di quell’indimenticabile mia alunna che, riguardo al tema presente, energicamente insorse un dì, quasi gridando: “Non è vero che Io non leggo! Faccio fuori un libro ogni quattro giorni!”
Ora la ribattezzerei con infinita simpatia Miss ...anta all’ora, ovviamente sperando che durante tutto il tempo passato assieme io sia riuscito in qualche modo a ficcarle nella bella testolina che leggere un libro non significa divorarlo famelicamente per sbranarne subito dopo un altro.
So di persone che per tutta la loro esistenza hanno letto e pazientemente riletto un solo, unico Libro.
E gli è bastato…


La pratica dell’autentica assimilazione, naturalmente fondata sul “piacere”, esige in effetti una speciale gestione dei tempi di lettura (a meno che non si bruci alle fiamme dell’intollerabile febbre di chi smaniando brama unicamente di arrivare, non importa come, al termine di una certa storia solo per sapere “come va a finire”, infischiandosene altamente di tutto il resto), dal momento che, lungo il percorso, dovrebbero accendersi le più svariate pulsioni. E queste vanno consapevolmente assecondate: rileggendo più volte una determinata sequenza, magari a voce alta, tornando a quel che si è già letto per controllare, verificare intenzioni, intendere meglio, cogliere anticipazioni, coscientizzare strategie, scandagliare indizi, re-interpretare, svelare trappole o “anamorfosi” testuali, valorizzare dettagli, godere di nuovo (insomma, tutte quelle attività, proprie del perfetto lector, che Umberto Eco chiamerebbe “passeggiatine”), rallentando il ritmo della lettura, conformando la propria respirazione a quella del testo, cercando relazioni empatiche con l’autore per poterne intimamente rivivere pensieri ed emozioni, sottolineando a matita taluni passaggi, memorizzandoli, ovvero trascrivendoli su un supporto qualsiasi (che può essere il prezioso diario dei memorabilia letterari, o un pratico archivio informatizzato), declamandoli più volte per assaporarne l’intelligenza trasmigrata nel suono delle parole, accalappiando disperatamente qualcuno che voglia prestarci un minimo di attenzione, per condividere con lui quel determinato pensiero che tanto ci pare unico; infine, dopo una chilometrica lista di appassionate altre operazioni atte a rendere davvero avvincente il nostro rapporto “(t)sess(t)uale”, sospendendo l’“atto” sul più bello…


A ciò pensavo, sotto il sole ormai clemente d’un tardo e quieto pomeriggio mediterraneo, mentre con fare un po’ turistico vagavo per uno di quei distensivi mercatini estivi del libro che, però, qualche sorpresina a volte te la riservano.
E poi, devo ammetterlo, a me le cose capitano sempre quando è il momento.


Così, fra una selva di pubblicazioni che forse soltanto nel peggiore dei miei incubi riuscirei a sognare (giardinaggio, bricolage e cucito, giochi di carte, basso occultismo, mantiche e talismani, biografie di Eminem e Maradona, manuali su funghi domestici e cani velenosi, romanzetti rosa) e altrettante che invece potrebbero interessarmi non poco, se le mie giornate contassero 48 ore, lo sguardo andò ad inchiodarsi, con l’incontenibile vigore d’una lucida, travolgente predestinazione, benché laica, esattamente su una vecchia e cara, carissima conoscenza: Come un romanzo, di Daniel Pennac (UE Feltrinelli, 2003).


***

Nato a Casablanca nel 1944, figlio di un generale (“Un monumento, questo padre: non una punta di razzismo”), Daniel Pennac ne segue gli spostamenti durante tutta l’infanzia, e così ha modo di viaggiare moltissimo: Algeria, Etiopia, Africa equatoriale, Asia, Europa. Più tardi si imbarcherà come mozzo in Costa d’Avorio.
Il suo vero cognome, Pennacchioni, assumerà la forma attuale quando, per non creare imbarazzo nell’amato genitore, Daniel lo decapiterà (equivoco sintattico ’na ’nticchia freudiano) per firmare un pamphlet giovanile contro il servizio militare.
Conseguita la laurea in lettere presso l’Università di Nizza, si stabilisce in Francia nel 1970, esattamente a Belleville, quartiere della prima periferia parigina, popolato da africani e non privo di un certo misterioso fascino: alla speculazione edilizia e all’avanzata della civiltà tecnologica vi si oppongono eterogenee e pittoresche tribù che ne fanno l’ambientazione ottimale per dei complicati intrecci narrativi.
Belleville è assunta in tal senso a scenario ideale per le innumerevoli vicissitudini che vedono la variopinta famiglia Malaussène e in particolare Benjamin, professione “capro espiatorio”, protagonisti di una fortunatissima serie “poliziesca” (in italiano: Il paradiso degli orchi, La fata carabina, La prosivendola, Signor Malaussène, Ultime notizie dalla famiglia, che raccoglie due episodi, “Monsieur Malaussène au théâtre” e “Des Chrétiens et des Maures”, separatamente apparsi in Francia, e La passione secondo Thérèse) iniziata nel 1985, in seguito ad una sfida raccolta da Pennac durante un proprio soggiorno in Brasile.
Dimostrando uno straordinario senso dell’intreccio narrativo, nonché un’irresistibile vena umoristica sostenuta da un’immaginazione paradossale («la vie est une mauvaise farce »), nelle sue storie surreali Pennac affronta casi imprevedibili inscritti entro la dinamica cornice di un complesso sfondo storico-sociale di assoluta attualità, tratteggiato attraverso le rapide ma inconfondibili pennellate di un linguaggio intenso e colorito, spesso velato di ironia e, qua e là, elettrizzato da un frizzante gusto del magico. È così che riesce a tener sempre desta l’attenzione del lettore, trasmettendogli in ogni caso una tonificante carica di ottimismo e positività.


A Parigi Pennac vive tuttora, marito, padre, lettore appassionato, autore, oltre che della già citata “saga Malaussène”, di svariati libri per ragazzi (tra questi L’occhio del lupo, forse la più bella tra le sue storie. Pennac svela il proprio segreto nel corso di una recente intervista: se gli adulti sono «des perdus d’enfance», «quand j’écris mes romans, je retourne au temps flottant de l’enfance») e insegnante di francese (cioè professeur de lettres, o meglio ancora de l’être, come egli stesso ama dire di sé, scherzando ma non troppo) presso un liceo e una scuola per ragazzi difficili.
C’è sempre stato un cane nella sua vita” (http://it.wikipedia.com/wiki.cgi?Daniel_Pennac).


Interessanti alcuni passaggi tratti da quanto Pennac, nel corso di un’intervista concessa nell’aprile del 2000 a Label France, ha dichiarato riguardo al ruolo degli insegnanti e all’importanza del sentimento, e dunque dell’immaginario artistico, nella società odierna:
La ginnastica intellettuale del professore consiste nel creare una dinamica dentro alla propria classe senza negare mai nessuna delle individualità che la compongono (“il rispetto delle differenze è la legge stessa dell’amicizia”). Ciò non fa parte di quel che si insegna ai docenti, ma coincide con la realtà quotidiana del loro stesso lavoro. […]. Il professore deve dunque “gestire” istintivamente questo genere di problemi, che non sono propriamente pedagogici, bensì comportamentali e affettivi. […] se ci si occupa solamente dei “bravi” alunni, la pedagogia diventa una specie di meccanismo cieco che non tocca oltre il 10% dei bambini scolarizzati. Noialtri professori dovremmo invece dar prova di attenzione reale, di pazienza, oltre che di una certa gratuità nelle nostre relazioni con gli alunni. È forse ciò che essi chiamano “rispetto”.
[…] in quanto docente di lettere, il mio obiettivo è duplice: da una parte, preparare gli alunni al diploma; dall’altra, se riesco a organizzarmi, prendere tempo per poter “fabbricare” dei lettori a lungo termine. Sperando che, in tal modo, io possa ottenere degli uomini e delle donne degni di compagnia, che soprattutto pensino con la propria testa (“La verità è una conquista! Sempre!”, energicamente insegna il professor Crastaing in Signori Bambini, uno tra i più teneri e intriganti romanzi di Pennac).
[…]. Il sentimento è assai disprezzato presso tutte le società meglio strutturate. Se ne diffida dal momento che esso rappresenta una terribile forza di sovversione.
[…]. La funzione dell’immaginario nella vita umana è fondamentale. Secondo me, la creazione artistica gioca per la società intera il ruolo che il sogno notturno ricopre presso ciascuno di noi individualmente preso. […]. Ovunque si cerchi di impedire questa libera espressione del sogno comunitario, la società diviene folle, come fu per la società nazista, per il totalitarismo staliniano, o al giorno d’oggi per le società integraliste.
[…]. Io credo che l’artista, sotto questo aspetto, svolga una funzione sì gratuita, cioè non redditizia, ma anche e soprattutto terapeutica per la società: la sua follia ci salva dalla follia.


***

Che cosa pensa di lui la gente comune?
- è geniale: si vedono le immagini nello stesso tempo in cui le si legge.
- Io me la rido da solo nel métro.
- Amo il suo sguardo, la scintilla di umanità che egli scopre persino nel peggior mascalzone.
- Pennac? Gentile. Anche troppo. Si sente addirittura male a dir di no.


***

Come un romanzo (Comme un roman, Paris, 1992, Edizioni Gallimard, oltre 650.000 copie immediatamente vendute. Italia: 1ª ed., 1993) è un saggio sul piacere della lettura, rivolto ai ragazzi ma non solo, e, come spiega l’autore stesso, “ha per vocazione presentare la mia pratica [didattica] senza tuttavia erigerla a ’metodo’ ” (Le pouvoir des livres. Entretien avec Daniel Pennac, Label France, Avril 2000).

Dal quello specialissimo osservatorio socio-culturale che è il liceo presso il quale da parecchi anni insegna (“la classe, per un romanziere costituisce un’incredibile miniera di modelli adolescenziali e familiari. Vi si può avere il sistema sociale al completo, specialmente se tutte le sue categorie vi sono mescolate”; da Le pouvoir des livres, cit.), e al quale approdano “non quel genere di studenti calibrati per varcare in gran fretta gli alti portoni delle grandi università, no, gli altri, quelli che sono stati respinti dai licei del centro perché la loro pagella non lasciava prevedere un gran voto alla maturità, né addirittura una maturità […] arenati qui. Respinti sulla riva, mentre i loro compagni di ieri hanno preso il largo a bordo di licei-transatlantici in partenza per grandi ’carriere’ ” (Come un romanzo, p. 85), Pennac può toccare con mano la crescente indifferenza nei riguardi della lettura da parte delle ultime generazioni.
Per questo, nel saggio in questione, che può essere letto (in virtù di un’ “intenzione” narrativa che con chiara evidenza ne imbriglia ogni scheda) anche come un accattivante “romanzo”, egli decide di affrontare da un duplice punto di vista, dello scrittore e del professore, il problema di come rianimare nei giovani, e in generale in chiunque con i libri intrattenga un rapporto problematico, il piacere della lettura in quanto “atto di creazione permanente” (ibidem, p. 19), orientato verso l’immaginazione e costruzione di mondi inediti, “cammino dell’uomo verso l’uomo” (ibidem, p. 76), ineffabile “viaggio verticale” (ibidem, p. 14; “voyage intersidéral”), come quello da noi effettuato per passare dal segno al senso, “dall’assoluto arbitrario grafico al significato più carico di emozione” (ibidem, p. 32), nel momento in cui abbiamo imparato a scrivere, a leggere inebriati e a gridare al mondo intero, prima fra tutte, la parola “Mamma!(uno “choc dont on ne se remet pas”).


Per onorare convenientemente un concetto più volte toccato da Pennac nel corso del proprio lavoro, vale a dire che un romanzo non solo andrebbe letto (possibilmente ad alta voce), ma anche raccontato, dove per raccontare l’autore intende “offrire i nostri tesori, spiattellarli sull’incolta spiaggia”, dando da “fiutare un’orgia di lettura” (ibidem, p. 104), dovrei “raccontare” Come un romanzo, e potrei farlo prendendo spunto da un paio di esempi presentati nel libro stesso (rispettivamente, alle pagine 104 e 121-2):


Il fratello minore, mosca cocchiera: “Cosa leggi?”
IL MAGGIORE: “La grande pioggia”.
IL MINORE: “È bello?”
IL MAGGIORE: “Un casino!”
IL MINORE: “Di cosa parla?”
IL MAGGIORE: “È la storia di un tale che all’inizio beve molto whisky, alla fine molta acqua!”


[Su Guerra e pace]
Di cosa parla?”
È la storia di una ragazza che ama un tizio e poi ne sposa un terzo.”
Mio fratello ha sempre avuto il dono dei riassunti.
[…] fu il mistero aritmetico della sua frase a […] gettarmi a capofitto in quel romanzo […]: non so chi avrebbe saputo resistere.


E allora Come un romanzo potrebbe essere riferito al modo di una curiosa storia che, partendo dalle ossessioni di un adolescente irrimediabilmente inchiodatosi alla pagina 48 (delle quasi 500 assegnate dal professore!), approda alla definizione di una “carta dei diritti imprescrittibili del lettore”: tra essi, quello di “non leggere”.


***

Se la mia “recensione” finisse qui, probabilmente tutto filerebbe più o meno come quella volta in cui i 35 alunni di Pennac, persino i più recalcitranti, reduci dalla prima delle sue irresistibili lezioni semplicemente imperniate su un paio di elementari strategie attinenti all’ “arte del porgere” i testi (il segreto è tutto lì), letteralmente svaligiarono le librerie della zona.
Sennonché, per quanto si debba o voglia risultare sintetici, un paio di altre cose andrebbero comunque dette, a riconoscimento dell’indiscutibile ricchezza e vivacità di provocazioni contenute nel volumetto in esame: non ultime quelle in cui l’autore, con delicatissimo affetto, dimostra una profonda e partecipe comprensione dell’universo giovanile.
Ma si potrebbe anche risolvere l’intera questione citando direttamente dal saggio, come per un’antologia, e augurandosi che pure il lettore voglia fare la sua parte, “resuscitando Lazzaro” a voce alta, un passaggio dopo l’altro, per la piena riuscita di un’operazione dal gusto squisitamente pennacchiano:


[…] la virtù paradossale della lettura, che è quella di astrarci dal mondo per trovargli un senso.” (p. 14);


Grande piacere di lettore, questo silenzio dopo la lettura!” (p. 14);


[Dal diario di Franz Kafka] “Non si riuscirà mai a far capire a un ragazzo che, la sera, è nel bel mezzo di una storia avvincente, […] che deve interrompere la lettura e andare a letto.” (p. 48);


[…] questa assoluta necessità della lettura è anche ciò che ci distingue dalla bestia, dal selvaggio, dal bruto ignorante, dal settario isterico, dal dittatore trionfante, dal materialista bulimico, bisogna leggere! bisogna leggere!
[…].
Per sapere da dove veniamo.”
Per sapere chi siamo.”
Per conoscere meglio gli altri.”
Per sapere dove andiamo.”
[…].
Per trovare un senso alla vita.” (p. 58);


È proprio degli esseri viventi di fare amare la vita, anche sotto forma di un’equazione di secondo grado, ma la vitalità non è mai stata inserita nei programmi scolastici.
Qui c’è l’utilità.
La vita è altrove.
Leggere, si impara a scuola.
Quanto ad amare leggere…” (p. 65);


La lettura, atto di comunicazione? Ecco un’altra simpatica frottola da commentatori! Quel che noi leggiamo, lo taciamo. Il piacere del libro letto lo teniamo spesso gelosamente segreto. […] non vi vediamo materia di conversazione […]. Abbiamo letto e taciamo. Taciamo perché abbiamo letto. […].
A volte è l’umiltà a esigere da noi il silenzio. […] l’intima, solitaria, quasi dolorosa consapevolezza che questa lettura, questo autore ci hanno, come si usa dire, ’cambiato la vita’ !” (p. 68);


[…] preferiamo troppo spesso il ruolo di commentatori, interpreti, analisti, critici, biografi, esegeti di opere rese mute […]. Imprigionata nella fortezza delle nostre competenze, la parola dei libri lascia il posto alla nostra parola. Invece di permettere all’intelligenza del testo di parlare per bocca nostra, ci affidiamo alla nostra personale intelligenza, e parliamo del testo. Non siamo gli emissari del libro ma i custodi giurati di un tempio di cui vantiamo le meraviglie con parole che ne chiudono le porte […].” (p. 77);


Una sola condizione a questa riconciliazione con la lettura: non chiedere niente in cambio. Assolutamente niente. Non erigere alcun bastione di conoscenze preliminari intorno al libro. Non porre la benché minima domanda. Non dare alcun compito. Non aggiungere una sola parola a quelle delle pagine lette. Nessun giudizio di valore, nessuna spiegazione del lessico, nessuna analisi testuale, nessuna indicazione biografica…
Proibirsi assolutamente di ’parlare intorno’.” (p. 102);


In fatto di lettura, noi “lettori” ci accordiamo tutti i diritti, a cominciare da quelli negati ai giovani che affermiamo di voler iniziare alla lettura.


1) Il diritto di non leggere.
2) Il diritto di saltare le pagine.
3) Il diritto di non finire un libro.
4) […].
5) Il diritto di leggere qualsiasi cosa.
6) […].
7) […].
8) Il diritto di spizzicare.
9) Il diritto di leggere a voce alta.
10) Il diritto di tacere.” (p. 116);


[…] la libertà di scrivere non può ammettere il dovere di leggere.” (p. 120);


L’uomo costruisce case perché è vivo ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo.” (p. 139).


***

Da quando ero piccola ho sempre letto molto, soprattutto romanzi. È il modo migliore per farsi un’idea di come si vuole vivere e di chi si vuole essere.” (Björn Larsson, L’occhio del male, Iperborea, 2002, pp. 101-2).