venerdì 30 agosto 2013

Formalina: trama avvincente e realistica

di Michele Bisceglia, anatomopatologo
 
Ho letto tutto d'un fiato questo romanzo, incentrato sull'incontro dei due personaggi principali (Ambra e Ruggero), nei quali probabilmente si riflettono le due anime dell'autore, quella del poeta inquieto e quella del patologo scienziato. La trama è avvincente e tutto è realistico. I dialoghi sono fluidi. Il linguaggio corrente e quello specialistico sono sempre appropriati, nonché molto incisivi. Numerose sono le citazioni filosofiche e quelle letterarie, che si possono cogliere, come pure le riflessioni morali e le note biocomportamentali, relative non solo a fatti di vita quotidiana, ma anche a temi più generali, come quello del trascendente. Nel titolo Formalina vi è la sintesi di una professione medica, quella dell'anatomopatologo, proposta con rilievi contrastanti: un ruolo, in seno alla medicina moderna, centrale ma invisibile; un soggetto, nello specifico della trama, rappresentato da una lesione precisa dal significato enigmatico, borderline; un percorso diagnostico, linearmente scientifico, qui causalmente dirottato da concause incidentali. In questo libro la cultura artistica dell'autore si fonde armoniosamente con la passione per la sua disciplina professionale. Si tratta di un capolavoro di narrativa e la sua lettura è raccomandata a tutti, in particolare ai medici, specialisti e non specialisti.

Formalina di Gaetano Giuseppe Magro

recensione di Claudia Distefano (laureata in Lettere Moderne, Università di Catania)

«Ambra, per molti era una ragazza difficile.»
Altrettanto difficile è ingoiare tutto d’un fiato il periodo di ben 8 righe che segue quest’incisivo inizio del romanzo.
Mi piace molto che si cominci così, col “microscopio” puntato su una ragazza e dunque sull’ “altro da sé” rispetto all’autore. Niente diaristica narrazione in prima persona, nessun noioso ed ingombrante io.
Seconda pagina, secondo maxi periodo, questa volta esteso su ben 16 righe. Si tratta di un elenco: «amarsi solo nei week-end, […] la piscina invernale per i bambini, […] le graduatorie dei concorsi pubblici», tutto viene etichettato come appartenente a quel «mondo mediocre» che fin dall’inizio si rivela essere parola chiave e insieme scenografia dell’intera storia.
A proposito di scenografie, la prima metà del romanzo ci abitua ad osservare con attenzione asettici luoghi chiusi. C’è una sala d’attesa (con tanto di settimanali e quadri di scarso valore) e ci sono stanze da cui al massimo si può fuggire per andare a visitare la foce di un fiume morto ed inquinato.
Poi irrompe Praga. Balconcini in legno e torri in stile gotico sembrano quasi un respiro, una picconata sul muro grigio che delimita il perimetro d’azione del protagonista. Lui Ruggero Morganti (e chissà perché questa ripetizione della R), lei Ambra (R) Contimini e non è forse un caso se i luoghi esterni riguardano principalmente lei e non lui, che quando tenta di raggiungerli si ritrova a « girovagare », preda del potere decisionale di lei. Insomma un po’ un “Novecento” del Duemila, che un Baricco invisibile ha rinchiuso fra i più controllabili limiti del mondo / nave conosciuto.
Molto più a suo agio con la pupilla puntata sul microcosmo delle cellule, lui, anche se «sono guai se guardi le cose tenendovi sopra gli occhi per starvi il più vicino possibile: tutto viene enormemente ingrandito, senza possibilità di sintesi estetica.»
Perché un microscopio? Perché Ruggero Morganti è un anatomopatologo e non stupisce che nella Nota dell’autore si legga l’esplicita volontà di rendere almeno un minimo più conosciuta questa figura indebitamente nascosta della medicina moderna.
Eccolo quindi, lui e il suo linguaggio così indissolubilmente legato alla sua professione. «Affetto da uno sconfinato delirio nominale», si destreggia in periodi - anche questi interminabili - che assomigliano a scioglilingua e che confesso di aver saltato a volte a piè pari per l’incapacità di comprenderli. I monologhi sembrano alimentati da una punta di autocompiacimento, per poi tornare all’interazione con un intimorito «Ti sto annoiando, vero?». Similmente, sembra quasi trasformarsi quando si rivolge a lei con intenti dialogici. Abbassa improvvisamente i toni e in assenza di tecnicismi e terminologia scientifica, a volte si scopre tutta la difficoltà nell’indagare la sfuggevolezza di lei… come quando si abbandona all’inflazionato «Perché scrivi?».
(A proposito di dialoghi, qualche spia d’improbabilità ad esempio quando il cameriere si accontenta di «Due cappuccini e due cornetti, grazie » senza chiedere di specificarne il gusto. Tuttavia sottolinearlo sembra davvero un eccesso di “osservazione al microscopio”!)
Questa lingua, questa terminologia è forse il tratto distintivo del romanzo. E come è piacevole / raro che un autore contemporaneo ne possegga uno…
Contagioso fra l’altro, se anche la protagonista femminile finisce per acquisire un lessico scientificamente colto nelle sue lettere e nel suo romanzo (un romanzo nel romanzo). Ciò che colpisce - così come nei testi poetici dello stesso autore - è l’unione fra questa lingua “straniera”, artificiale e dall’altra parte, concetti astratti, misteri dell’esistenza.
«La poesia è il miglior strumento diagnostico a disposizione dell’uomo per tentare la biopsia di Dio e di tutte le cose misteriose», questa ed altre definizioni colpiscono per immediatezza dell’ immagine e del contenuto. Ammirevole poi che si definisca l’anatomopatologo come un critico d’arte, dedito all’interpretazione critica di cellule dalle forme più svariate: sostanzialmente delle opere d’arte…
Persino l’amore non sfugge - affatto - a quest’occhio critico che tutto classifica e analizza nella sua più oggettiva realtà. Così non sfugge il ruolo ingannatore degli ormoni nella fase del corteggiamento (spiegazioni istruttive oltre che molto interessanti), i battiti accelerati di un cuore sono descritti con chiarificatrice semplicità e lo stesso cuore è addirittura sezionato in alcune pagine che personalmente “non ho avuto il cuore” di affrontare.
A proposito di questo, è innegabile il ruolo primario ricoperto dalla “storica coppia Eros-Thanatos” a cui probabilmente avrei dovuto dedicare spazio in questo commento. Ma il commento è mio e preferisco terminarlo sottolineando le citazioni (ben 19 se non di più) riscontrate nel romanzo. Opere d’arte, canzoni e sculture si ritrovano principalmente in quei famosi luoghi chiusi di cui parlavo prima, con un picco di presenze nella stanza bizzarra dell’anatomopatologo.
Quando mi ritrovo davanti a simili abbondanze di citazioni, non posso fare a meno di ripensare – in maniera più o meno fuori luogo - alle alte stanze e saloni mirabilmente descritti dal Gabriele D’annunzio de Il piacere. Con un salto in stile e tempo, le opere citate da Magro sono quadri di Chagall e Magritte; alla classicità più fastosa, in immagini ed ostentazione, fa da contraltare un montaliano «mal di vivere cellulare».
Paragone azzardatissimo, d’accordo ma non posso fare a meno di trovare concordanze fra la storia Ruggero-Ambra e l’ossessione di Andrea Sperelli per la «stronza sofisticata» (cit. Magro) Elena Muti…
Il piacere si conclude con un’asta fra gli scatoloni di un trasloco; Ruggero trasloca disfacendo proprio quella sua stanza iper-riempita d’opere d’arte. Andrea Sperelli è l’affascinante precursore di una decadenza intuita e sfidata a duello; Ruggero è il pro-pro-pronipote della stessa decadenza divenuta “decaduta” al participio passato.
Non resta che scegliere il proprio punto di vista, scegliere cosa osservare: micro / macrocosmo, microscopio o spazi esterni.
«Era arrivato il momento di cambiare cielo, o meglio l’angolo di mondo da cui guardare quello stesso cielo.»

venerdì 2 agosto 2013

Formalina: un trattato “pettinato” da romanzo

recensione di Francesca Romano Longo,
specializzanda in Anatomia Patologica (Università di Catania)


Questo libro altro non è che un trattato scientifico-filosofico che, per usare un’espressione cara all’autore,  “si è pettinatoda romanzo: c’è una spietata analisi della dicotomia dell'animo umano filtrato attraverso le figure dei due protagonisti, Ruggero e Ambra. L’autore esprime nella protagonista femminile la leggerezza calviniana infusa di passione, emotività e curiosità; l'animo acerbo di Ambra è ancora pregno dell'illusione che ogni essere umano coltiva durante la giovinezza: poter controllare ed eventualmente dirottare il proprio avvenire in qualsiasi istante lo si desideri. Così, per la durata di poche pagine, l'autore sembra rivivere attraverso Ambra la spinta giovanile del sé stesso non-vissuto e che probabilmente manca all’appello dei suoi quasi cinquanta anni (48 per l’esattezza), relegando in Ruggero tutto ciò che di più pesante, ripetitivo e scientificamente tedioso possa esserci nella figura dell’anatomopatologo, scettico e disilluso studioso che trascorre la propria esistenza lontano dalle “vite degli altri”, compulsivamente soddisfatto solo se perennemente sepolto in mezzo al suo mare di libri, pubblicazioni scientifiche, vetrini che nascondono casi interessanti da decifrare, blocchetti paraffinati e vecchie scartoffie (in quanto accanito  sostenitore del “è sempre meglio non buttar via niente che tanto le mode ritornano e non si sa mai!”).  Ruggero è il medico specialista in anatomia patologica che vive con passione i pochi metri quadrati del suo laboratorio, crucciandosi talvolta di quanta vita “non vissuta e insostenibilmente leggera” esista appena aldilà di quella porta,  consolandosi – forse – con l’illusione che quella vita non sia poi così interessante rispetto al suo agognato mondo cellulare. L’attrazione per Ambra rappresenta per il protagonista un’occasione di allontanamento, l’uscita momentanea da quel mondo microscopico che lo impegna senza posa e a cui egli è “quasi religiosamente”  devoto. Ambra è per Ruggero ciò che la poesia è per l’ anatomopatologo: “la poesia è la libera uscita di ogni essere umano, la possibilità di spingere la parola ai confini del linguaggio, cercando di toccare almeno i piedi della divinità… è il miglior strumento diagnostico per tentare la biopsia di Dio”. La poesia per Ruggero è anche la discesa verso un mondo  dominato dall’emotività psichica, il luogo della mente dove ogni impulso irrazionale può assurgere a forma fisica, un mondo lontano dagli affanni e dalle frustrazioni della vita quotidiana. Un mondo nel quale a ogni “diagnosi  complessa” è concesso il beneficio del dubbio. La poesia – che pervade questo romanzo – è il fuoripista inaspettato dalla “scia delle lumache mediocri”, quella “scia” su cui ciascun uomo, con una convinzione che non di rado rasenta la follia, quotidianamente e ineluttabilmente  avanza. A questo proposito l’autore, in una delle sue poesie particolarmente gravide di scetticismo, scrive:  

nessuno sa di esserci per l’altro
e tutti insieme però non sanno 
che fanno il mondo che ci è toccato
questa punta d’ernia strozzata 
chiamata terra, che gira contenta 
portandoci tutti verso una nuova stella 
o, forse chissà, fuoripista nel gran premio del niente

Presentato il libro di Magro, Formalina

recensione di Chiara Borzì pubblicata sul «Quotidiano di Sicilia» dell'11 giugno 2013

CATANIA - Difficile immaginare che nel mondo della professione  medica possano nascere degli autori dall’ispirata vena letteraria, eppure da qualche anno a questa parte la letteratura siciliana si è arricchita di un nuovo autore, Gaetano Magro, al suo quinto libro all’attivo. Formalina, libro edito da Fara Editore, è un testo che Magro ha voluto dedicare  alla figura dell’anatomopatologo, un medico “fuochista”, figura che sta dietro le quinte della medicina dei servizi ma che ha un compito duro come la diagnosi dei tumori. Formalina racconta la storia d’amore tra due giovani che nasce dirompente e muore, come spesso accade negli incontri travolgenti, senza un perché comprensibile. Nel suo dispiegarsi la storia comprende elementi di vita e passione lucidamente descritti attraverso un linguaggio medico scientifico che non annoia ma invoglia chi non ne conosce perfettamente la terminologia a cercarne il significato, regalando, per contro, immediatamente un sorriso. Formalina è l’ultimo lavoro di Gaetano Magro presentato non per caso nell’aula  del Policlinico universitario di Catania dedicato a C. Pero, altro medico con ottime capacità di italiano scritto e parlato. A dare una propria opinione sul romanzo il professore Guglielmo Trovato, il dottore Saro Di Stefano, insieme al dottore Francesco Di Vincenzo coinvolgente nella recitazione di alcune pagine del testo. Molto spesso quel che si racconta del compito del medico, specialmente in tv, è solo finzione e per questo, ha consigliato Trovato, è meglio leggere Formalina che credere in queste storture televisive. Sulla difficoltà di questo mestiere si è interrogato Di Stefano chiedendo direttamente a Gaetano Magro se lui stesso s’interroghi su chi siano davvero le persone che analizza attraverso il vetrino, andando oltre i semplici dati anagrafici che contribuiscono alla diagnosi. La risposta è stata fornita direttamente da Magro: “se ci lasciassimo coinvolgere inizieremmo a soffrire noi di una patologia, il delirio nominale”. Per spiegare chi è l’anatomopatologo bisogna pensare al Titanic. Il Titanic aveva una prima classe, una seconda e una terza ma ancora più giù stavano i fuochisti, persone invisibili che facevano però andare avanti la nave. Il nostro ruolo –dice Magro- è proprio questo, siamo come i mediani che intendeva Ligabue (una vita da mediano): “il mediano non fa goal ma un buon mediano fa vincere le partite”. Come accade per la poesia, “l’anatomia patologica non cerca seguaci ma amanti”, per questo non m’impaurisce la momentanea crisi di vocazione che il settore sta vivendo.