martedì 19 novembre 2013

Su Pazziando

recensione di Emilia Dente
 

C’è un filo rosso che attraversa e sottende il vivido mosaico di parole delle opere vincitrici al concorso Insanamente; un prezioso filo rosso che, dipanandosi nelle diverse immagini poetiche, intricandosi nelle luminose figure della mente e del cuore e annodandosi alla verità dei sogni e dei pensieri, tesse la trama sottile ed elegante della produzione poetica di Pazziando. Ordito pregiato, variopinto ed originale, arazzo di versi fluidi ed armoniosi, drammaticamente autentici, veri quanto la sofferenza. Una scrittura che attraversa la soffocante ipocrisia quotidiana e si tinge di ombra nella riflessione meditata che “sente” il vuoto, cerca l’altro, dialoga con l’essere e incontra il dolore. “Non c’è nulla che valga più dell’amore se non l’amore che verrà”: questo verso è idealmente l’incipit e la rossa fibra che guida il cammino profondo dell’intera opera poetica. “C’è un alfabeto da imparare, e l’intera grammatica di Dio” continua il suo appassionato autore, Paolo Assirelli, annodando fermamente la parola poetica alla forza dei sentimenti, e segnando i passi profondi nel cammino emozionante della vita. Dai versi aspri, come fibre di canapa ruvide, nel chiaroscuro della vita e della poesia, emerge la sofferenza, il dolore, la solitudine, il vuoto, l’assenza , la diversità , il malessere che scava gli abissi dell’anima di ogni autore , segnando profondamente la pelle dei versi. Domenico Cipriano, nel suo trittico poetico, rivela “le fratture della transumanza / che porti in giro nelle tue parole / isole lontane, dove il mare duole” e poi, nella formula originale ed interessante della poesia sciolta “Nessuno si ferma a guardarne il volto, ma lo ascoltano da lontano”. Amari sono i versi di Ulisse Fiolo da cui emerge forte il senso di vuoto e solitudine dell’uomo moderno che, nella piazza globale, si sente sempre più estraneo e solo e ancora, amaramente malinconici i versi di Vincenzo D’Alessio. Nella terra dei lupi, aspra e dura, il poeta testimonia negli occhi e nel cuore il bagliore vivido e il sincero calore umano della civiltà contadina ingoiata dagli ingranaggi voraci di una massificazione selvaggia che ha sradicato l’umanità autentica e ha snaturato i suoi sentimenti, elevando il canto poetico nella bellissima invocazione “vestimi di grano, per non andare lontano”. Una scrittura poetica palpitante e complessa, inquieta e profonda nell’intreccio di temi sempre importanti, a volti trattati con raffinatezza e fine ironia, come i bozzetti poetici di Claudio Pagelli che con poche, vibranti e meditate pennellate, racconta il disagio e la difficoltà di vivere, riflettendoli nelle interessanti figure degli “astri matti”, o l’intreccio sapiente della lirica Maggio di Mauro Nastasi che ripropone una meditata riflessione sui temi che tormentano oggi e sempre l’essere umano, fino all’urlo poetico di Vincenzo Gabrielli che, nell’implosione delle parole e dei sentimenti esprime fortemente tutta la fatica della vita e il malessere dell’eterno seminare “mentre dormo inerte , e sepolto, come una radice infeconda”. Sulla intricata trama poetica di Insanamente, infine, Giovanna Iorio ricama le liriche che, in un riflesso meravigliosamente folle e vero, specchia la bellezza dell’anima nella sua informe e deforme verità. La parola poetica diventa così il legno scuro in grado di traghettare l’essere umano, legittimamente clandestino, nell’abisso del tormento che gli appartiene, costringendolo a specchiarsi senza il velo dell’ipocrisia, lasciandogli la forza di riconoscere sul fondo dello specchio deforme la meravigliosa bellezza dell’essere.
Meraviglioso ricamo le liriche di questa silloge poetica che irradiano l’anima e alimentano, nei percorsi luminosi della scrittura, il cuore e la mente (in)sana, meravigliosamente, splendidamente libera.

Nessun commento: