domenica 19 maggio 2013

L’eredità delle principesse, a cura di Emilia Dente, Montefusco, 2013

di Vincenzo D’Alessio

Emilia Dente,  montefuscana, nata a Baden (Svizzera), la conosciamo come fervida poetessa e appassionata recensora. Da bambina fece ritorno, con i  genitori, nella città che l’ha vista protagonista di tante iniziative tese a valorizzare la sua terra, in una provincia dimenticata e maltrattata dall’emigrazione e dai terremoti, questa di Avellino. Il suo viscerale amore per quell’insieme di storia, arroccata a 700 metri sul livello del mare, si riserva oggi in un lavoro dignitoso  dal punto di vista storico e antropologico.
Il titolo del libro, voluto dal Comune di Montefusco, è L’eredità delle principesse e reca nel sottotitolo: Storia e storie del pizzillo montefuscano, in più l’aggiunta del “Museo del Risorgimento meridionale” allestito nel Carcere borbonico definito dagli storici “Lo Spielberg” dell’Irpinia, dove è collocata anche una sezione documentaria dell’attività del Tombolo, attività ancora oggi diffusa nel contesto cittadino. L’epigrafe al testo recita: “Dedicato alle donne di Montefusco, le pizzillare di ieri e di oggi che intrecciano emozioni e pensieri nel ricamo della vita.”
 Sottolineo, per chi leggerà questo agile volumetto, che la curatrice del Museo del “pizzillo” (leggi merletto al Tombolo) è la stessa Emilia Dente. A lei si deve anche un validissimo depliant sul Carcere Borbonico di Montefusco stampato su proposta dello stesso Comune negli anni Novanta. Lo studio sul “merletto” finissimo che viene realizzato in questa antichissima città, già capoluogo di Principato, sede della Regia Udienza, amata dai Re che la predilessero con la propria famiglia soggiornandovi in età Angioina e Aragonese, è solo agli inizi. Proprio alle “principesse” veniva insegnata l’Arte del Merletto, che prese poi il nome di “pizzillo” in questa parte della provincia di Avellino.  Le monache domenicane, d’istanza nel Convento di Montefusco, hanno continuato questa attività ,dalla loro fondazione nel XVII secolo, trasmettendola  alle giovani novizie che entravano in convento  e che spesso tornavano alla vita civile.
 Quanta importanza avesse , non solo per l’economia che realizzava quanto per la dignità sociale  l’apprendere quest’Arte, lo si può comprendere ancora oggi visitando l’aula della chiesa di Santa Caterina in Montefusco:  su un altare laterale c’è una bellissima tela dell’Annunciazione, dipinta sul finire del XVII secolo,  in un angolo è riprodotto il tombolo con i fuselli, proprio accanto alla Vergine Maria raggiunta dall’annuncio dell’Angelo. Una lunga tradizione artigianale che ha visto impegnati anche molti uomini, chiamati “maestri pizzillari”. Non mancano nel testo Atti che riportano nomi di bambine, scomparse in tenera età, già dedite a quest’Arte.
 La Nostra autrice ha finalmente liberato l’energia che il suo “cuore di donna” conteneva da tempo per la terra d’origine e per quell’immenso tramestio di mani che per secoli ha valorizzato, silenziosamente, il magnifico tesoro d’Arte che è il merletto di Montefusco. La scrittura è limpida, ben articolata nei capitoli, documentata ampiamente, con  l’aggiunta della sincronia poetica: non si può pretendere da una poetessa un linguaggio scarno e puntiglioso tipico degli storici. Riporto, per il lettore, un periodo ripreso dal testo a sostegno della mia tesi: “È questa indagine che cerca nel canto dei fuselli le voci perdute nel tempo e nelle fredde carte riconosce il calore di un sorriso lontano, deviando dal rigore dell’ufficialità per perdersi e ritrovarsi nell’intricato pizzillo della memoria montefuscana.”
Il corredo fotografico di questo volumetto è ricchissimo. Come molteplici sono le emozioni che queste immagini suscitano nel lettore.
Dopo il volume di Angelo Cennerazzo, dal titolo “Sulle tracce del tombolo: Montefusco ieri e oggi” del 2004, questo volumetto di Emilia Dente segna unaltra tappa importantissima  alla riscoperta della valenza socio culturale dell’artigianato  nelle terre dell’Irpinia, a poca distanza dalla movimentata società della capitale del Regno delle Due Sicilie, Napoli, che tanta influenza ha avuto  nell’entroterra campano.

  

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