venerdì 30 marzo 2012

Massimo Sannelli vince Il Golfo 2012 per la saggistica: complimenti!

Verbale di Giuria Il Golfo 2012

v. http://www.concorsiletterari.net/verbale-di-giuria-il-golfo-2012
 
La Giuria della 18°edizione del premio nazionale di poesia e narrativa Il Golfo 2012 organizzata dal centro culturale Il Golfo.Ha concluso nella riunione tenutasi in La Spezia il giorno 8 febbraio 2012 l'esame dei testi dei poeti e scrittori concorrenti ai quali sono andati i premi in conformità delle seguente graduatoria.

Per la prima sezione -Silloge Inedita- la Giuria ha deciso all'unanimità di assegnare il primo premio alla Silloge -Sopra l'erba di TRAINA TINO di Trapani.

Per la seconda Sezione -Poesia singola- la Giuria ha deciso all'unanimità di assegnare il primo premio alla Lirica -Ode alla mia terra-di BACCINO PIETRO di Savona.

Per la terza Sezione -Libro edito di Poesia- la Giuria ha deciso all'unanimità di assegnare il primo premio al volume-L'ultima fuga-di QUIETI DANIELA di Pescara.

Per la quarta Sezione -Narrativa e Saggistica- la Giuria ha deciso all'unanimità di assegnare il primo premio all'opera -Scuola di Poesia- di SANNELLI MASSIMO di Genova.

Il primo premio della prima sezione -Silloge Inedita- consiste nella pubblicazione gratuita dell'opera presentata.(l'autore avrà diritto a quattrocento copie).
Il primo premio della seconda sezione -Poesia Singola- consiste in un assegno di 1,500,00€
Il primo premio della terza e quarta sezione -Libro Edito di Poesia e Narrativa- consiste in assegno di 600,00€
I vincitori dei primi premi di tutte le sezioni riceveranno inltre una Targa Artistica Personalizzata

Al fine di fornire un'immagine più completa della partecipazione, la Giuria ha deciso di assegnare altri premi.

Sezione Silloge Inedita
Sono risultate assegnatarie del secondo e del terzo premio le sillogi-Per il colore del grano-di CACCIA ANGELA di Cutro e -Labirinti- di ZANELLO DONATELLA di Lerici.
Menzione d'onore
Pizzeghello Margherita di Rovigo con Scrivere
Fattorossi Anna Maria di Genova con Frammenti
Menzione con Merito
Portunato Nadia della Spezia con Luce d'arcobaleno
Deluca Barbara di Roma con Lungo il viale dei tigli
Encomio Speciale
Barbetti Rita di Querceta con L'autunno
Prada Vincenza di Parma con Pensieri
Vannucchi Giulia di Viareggio con Fiore di luna

Sezione Poesia Singola
Sono risultate assegnatarie del secondo e terzo premio rispettivamente le liriche-S'accorda il verso libero e sincero di MARCONI FULVIA di Ancona e -Il giardino segreto- di POGGI FABRIZIA della Spezia
Menzione D'onore
Maestroni Alfredo di Malnate con Dove il mattino
Galimberti Giuliana di Mozzate con Al di là delle onde
Maranca Mara della Spezia con Quel novembre di anni fa
De togni Mariangela di Piacenza con Un campo di girasoli
D'aleo Marco di Trapani con Tendenze del vivere
Rossi Daniele di Fivizzano con Quasi monet
Menzione con Merito
Viola Mario di Torino con Ritorno di alfama
Croce Francesca di Ceparana con Il temporale della vita
Melandri Stefano di Ravenna con Felicità
Salvini Francesco della Spezia con La pendola
Follador Clara di Musile di piave con I due cuori di giorgio
Selva Maria Concetta di Rimini con Golfo marino
Encomio Speciale
Garzella Renzo della Spezia con Fittizzio
Contoli Antonio di Roma con ...e non avremo più paura
Manzo Giovanni di Marino con Manto d'amore
Villa Renato di Genova con Papà
Scaturro Giovanni di Mazara del vallo con Tormento
Gelli Laura di Pisa con Campane lontane

Premio della Critica
Alessi Franca di Firenze con L'amore sconosciuto
Montacchiesi Mauro di Roma con Mamma
Maggiara Nicola di Itri con Magia d'ottobre
Oggero Lorenzo di Pisa con A mio padre
Pagliaccia Massimiliano di Perugia con Il veliero
Viviani Giuseppe della Spezia con Come quando fuori piove

Sezione Libro Edito di Poesia
Sono risultate assegnatarie del secondo e del terzo premio rispettivamente i volumi-Senza sponde -di GRASSI TIZIANA di Roma e Animamante di DI CASTRO FRANCESCA di Roma
Menzione D'Onore
D'ambrosio Fiorella di Chieti con Epifanie di cieli
Ghillino Federico di Genova con Rintocchi d'ombra
Perilli Tullio di Loreto Aprutino con Sapere amare
Menzione con Merito
Franco Nunziata di Catania con Il senso della vita
Pacetti Massimo di Roma con Tempo massimo
Venuti Silvia di Varese con Oltre il quotidiano
Encomio Speciale
Dal bo Michele di Verona con Il poeta e il guerriero
Piccoli Renzo di bologna con Cantar de mi amor
Zangheri Stefano di Montevarchi con Dissolvenze

Sezione Narrativa
Sono risultate assegnatarie del secondo e terzo premio rispettivamente le opere -Il manovratore occulto- di DISTEFANO SANDRO MARIA di Catania e -Noi ancora vivi 1987- di SCALAS ETTORE di Roma
Menzione D'Onore
Cristadoro Diana di Genova con Cardarelli poeta della memoria
Casali Vittorio di Roma con Un balcone sulla via merulana
Biggi Cecilia della Spezia con Benjamin
Soliman Lisa di Legnago con I trucchi di elly
Pizza Silvia di Pescia con Mi hai fatto volare cosi in alto come nessuno era riuscito prima
Menzione con Merito
Carosini Antonella di Livorno con Uno scorcio di vita
Cantalupi Germano di Reggio emilia con La luna spezzata
Valentini Amelia di Pescara con Scuola di campagna
Duronio Paride di L'aquila con Viole d'autunno
Encomio Speciale
Avanzini Piergiulio di Genova con Collasso 61
Asti Andrea di Volvera con Come toro in mezzo al petto
Mattavelli Laura di Monza con I percorsi della natura istintiva e intuitiva
Pozzi Gabriella di Varese con Io amo la primavera

Permio della Critica
Bernardi Gaspare di Pievepelago con Interludia
Barbaro Carmelo di Bologna con Piccoli mondi
Capanna Daria di Cecina con Le foglie gialle di novembre
Barite Daniela della Spezia con Quell'intrigante paesino che si chiama "Schiara"

Premio Narrativa per L'Infanzia
Alciati Paola di Torino con La pulce che voleva vedere il mondo

La proclamazione ufficiale e la cerimonia della premiazione avrà luogo alla Spezia il Giorno 15 Aprile 2012 alle ore 15,30 presso la SALA CONGRESSI del JOLLY HOTEL (Via XX Settembre 2)

Il Presidente
(Dr.Arch. CRISTIANO RUGGIA)
La Spezia 8 Febbraio 2012

Scopriamo i volti di Solofra dal 20 al 22 aprile


domenica 25 marzo 2012

L’ARTE VA A RUBA: MA SONO I LADRI DELINQUENTI A FARLA FUORI





INGENTI DANNI: OPERE DI NOTI ARTISTI RUBATE NELLA NOTTE FRA IL 15-16 MARZO 2012 AL:
MODERNARTMUSEUM/CA’ LA GHIRONDA
PONTE RONCA DI ZOLA PREDOSA (BOLOGNA)

Il Museo all’Aperto “ModernArtMuseum di Zola Predosa” è sorto alcuni decenni fa (1984) sulle colline di Zola Predosa, grazie all’amore per l’Arte che fin da ragazzo ha sempre coinvolto le passioni del Prof. Francesco Martani (Bologna 1931) da indurlo a dedicarsi al collezionismo quando, ancora studente, scambiava, con gli amici artisti, le sue opere di pittore alle prime armi. Nel 1984 aveva già una gran quantità di opere di scultura e pittura di noti artisti italiani e stranieri: per meglio collocare tutta la sua raccolta di sculture perché colloquiassero a diretto contatto con l’ambiente e ne potessero godere della loro bellezza, acquistò un bel terreno collinare a Zola Predosa dove poi è sorto l’ampio Museo all’Aperto diventando uno dei rari luoghi d’incontro per artisti e amanti dell’arte. Per lunghi anni, e fino alla sua scomparsa avvenuta ai primi di giugno 2011, il poeta critico e scienziato Prof. GIORGIO CELLI ha curato mostre d’arte, pittura e scultura, dedicate ad artisti italiani e stranieri, proponendo e scoprendo anche nuovi talenti poi diventati conosciuti e stimati nel mondo dell’arte, con la collaborazione del direttore Vittorio Spampinato. Da anni il Museo è sempre stato un paradiso dell’arte a disposizione dei numerosi visitatori provenienti da tutte le parti del mondo, e mai si sarebbe pensato ai ladri nonostante le robuste recinzioni a salvaguardia delle opere. Con l’augurio che il loro recupero possa essere possibile al più presto, si riporta la Lettera aperta di denuncia che Vittorio Spampinato, direttore del Museo, ha rivolto agli organi di stampa e alle autorità predisposte alla ricerca affinché il danno possa essere recuperato e i vandali scoperti e giustamente puniti per il grave delitto recato all’Arte.  


Opere rubate a Ca' la Ghironda
la notte del 15-16 marzo 2012


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..16 marzo 2012

Lettera aperta

...16 marzo 2012
E' accaduto.
Non ci sono più.
Cinque opere.
Il “branco”.
Un manipolo di sbandati senz’anima e senza nome ha colpito. Dritto, al cuore, di Ca’ la Ghironda, di noi tutti. E per il niente, per il danaro. Poca cosa.
Molto poca cosa, sicuramente, se paragonato al valore che invece in mano nostra quel bronzo trafugato a  quintali ha, per anni, significato. Per nessun valore rispetto all’amore che quelle forme plastiche e generose di fascino, mistero, e di magia ha trasmesso a migliaia e migliaia di bambini in festante gita fuori porta. Per nessun valore rispetto al dubbio, alla curiosità, all’interrogazione che i nostri visitatori si ponevano davanti ad esse. Ora non più. E’ finita così.
La doppia croce, la grande mela, i giochi d’infanzia, gli amanti e la guardia delle stelle non ci sono più. Non ci faranno più sognare, non ci richiameranno più su quel terrapieno oramai spoglio dei suoi astati. Non saranno più il nido di scoiattoli e di merli nel primo calore della primavera oramai alle porte, né rifugio di anfibi o di farfalle al calar dell’inverno.
Serviranno per riempire il portafoglio di qualche disperato nell’anima, nella coscienza, tracotante d’ignoranza. E per questo scopo, quelle forme, verranno probabilmente bruciate, ad un calore tale da fonderle, oltre i 1000 gradi. Fuse! Una colata di lava incandescente, un fiume di materia senza più forma, senza più identità, senza più storia. Saranno ridotte al nulla e, ancor peggio, senza più dignità!
Quella dignità che l’uomo, la natura e, prima di ogni, i nostri bambini gli avevano conferito. Le loro mani che le toccavano, quelle opere così vicine, senza protezione per poter essere una di loro, senza distacco, senza auto blu o scorte per dar loro solennità e “valore”, non ne avevano bisogno; senza il dono - quelle meraviglie - della voce per poter urlare, quella dannata notte; senza la velocità delle gambe vive dei nostri piccoli per poter correre e scappare, disperate, per trovar rifugio - tremanti e impaurite - lontano da chi bramava la loro tragica fine.
Ora è accaduto.
Bene a coloro che hanno avuto il coraggio di farlo. Bene ai loro vergognosi corpi, ai loro squallidi sensi, ai loro turpi linguaggi, ai loro irripetibili sogni: hanno violentato il corpo, hanno stuprato lo spirito. E allora che un Dio - fra i tanti che gli uomini si sono inventati -  li perdoni, perché il Dio vero, quello che ha accolto Giorgio Celli al suo fianco, quel Dio che è equilibrio fra materia e antimateria, fra il profondo degli abissi e il cosmo, fra l’acqua e il vento, fra il gelo e il fuoco, non li condanna e non li perdona, non giudica: è oltre. Non si mischia nelle cose torbide dell’uomo, non ordina guerre sante, non fa inquisizioni, non aumenta le tasse per il bene sociale, non specula sull’ignoranza e sulla miseria della gente, non genera corpi e menti da assistere. NON GENERA MOSTRI!
Quel Dio che è al centro dell’uomo, che è ciascuno di noi, che alberga nella nostra capacità di sognare, di creare, di dare vita, e che oggi è sepolto dall’incultura, dall’arroganza, dalla prevaricazione, soffocato da un’esigenza di “far quadrare i conti” e svuotato - in nome di un’inarrestabile rincorsa ad un’economia virtuale che aiuta i potenti e impoverisce le masse - di quell’identità che solo l’Essere umano dovrebbe saper coltivare e custodire, salvaguardare, per il futuro dei nostri figli e della civiltà, vuole solo rispetto.
Rispetto. Fra tutto e tutti. Fra le leggi della fisica e della scienza; rispetto fra i vuoti e pieni, fra il giorno e la notte, fra la luna e il sole, fra il caldo e il freddo, fra la vita e la morte, come avviene in natura, in quella dimensione che solo un Dio vero, che va oltre l’uomo, può aver congegnato e a cui un giorno, senza giustificazioni né mediazioni, ci troveremo a dover rispondere.
Addio mie care, e che quel Dio a Voi renda merito per la gioia e l’amore che siete riuscite a dare a coloro che vi hanno curato e a quelli che vi hanno sfiorato, almeno una volta, un giorno a Ca’ la Ghironda, nelle pause di una vita difficile e da oggi, senza di Voi, ancor più vuota.
Vittorio Spampinato
Ca’ la Ghironda - ModernArtMuseum
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sabato 17 marzo 2012

LE BELLE ENERGIE DEL SUD ITALIA


di Vincenzo D'Alessio (nella foto primo a destra)

Quest’anno scolastico 2011/12 volge al termine. Abbiamo trascorso un inverno rigido e difficile, con tanta neve e non poche difficoltà. La primavera si affaccia con tutta la sua pungente presenza. Il sole, qui a Sud, inizia a riscaldare la terra e i cuori.

Il Gruppo Culturale Francesco Guarini, impegnato dal 1976 nelle scuole della provincia di Avellino, ha portato a termine un corso gratuito di archeologia e conoscenza del territorio nelle classi quinte A e B, della Scuola Primaria Statale “Madre Teresa di Calcutta” di Montoro Inferiore, durante quest’anno scolastico. Il corso, iniziato nelle terze classi, proprio quest’anno conclude il suo ciclo per i giovani studenti avviati alla scuola secondaria di primo grado.

Un percorso intenso, partito dalla Preistoria e conclusosi con i Popoli che hanno civilizzato il Mediterraneo: per le nostre coste più feconda la Magna Grecia. I riferimenti al nostro territorio sono riportati nei diari dei giovani scolari, a partire dai reperti della prima Età del Bronzo dalla località Figlioli di Montoro, per finire alle vicine città greche di Paestum e Velia, non trascurando la grande Pompei. Gli studenti hanno realizzato disegni, ricerche su internet, foto, esaminato reperti archeologici, riprodotto finanche una delle lastre della “Tomba del Tuffatore”, oggi nel Museo Archeologico di Paestum, scoperta dal grande archeologo e soprintendente Mario Napoli.

Un percorso che è stato realizzato grazie alla disponibilità della Dirigente Scolastica, dr.a Stella Naddeo, e dell’insegnante Albina Carpentieri, collaborata dallo scrivente, in qualità di ispettore onorario del Ministero dei Beni Culturali. I diari dei ragazzi costituiscono la testimonianza tangibile delle “belle energie” che il nostro Sud Italia alimenta nelle scuole primarie, ponendo solide basi di Cultura e di Civiltà, per i prossimi professionisti impegnati nei vari campi del Sapere. Veramente, come ripeteva “il maestro” Mario Lodi, i giovani hanno tanto da offrire a quanti nella scuola sono chiamati ad educare.

Al fine di abituare i nostri giovani “apprendisti del Sapere”, il Gruppo Culturale “Francesco Guarini” ha rilasciato, a ciascuno di loro, un attestato di credito per le attività svolte, utile per il curriculum scolastico degli anni che seguiranno. I giovani che hanno alimentato il fuoco di questo fare sono, in ordine alfabetico:

Celentano Umberto Luigi, D’Alessio Michelangelo, De Girolamo Irma, De Gregorio Federica, Donniacuo Anais, Gallo Miriam, Guerriero Antonio, Ippolito Daniele, Mazzocca Simone, Moffa Giuseppe, Montefusco Michele, Musto Pantaleone, Notariale Antonio, Russo Elena, Sabatino Emanuele, Sabatino Flavio, Streppone Federica e Troisi Alessandro.

Il corso di quest’anno è stato realizzato simbolicamente come il viaggio di Ulisse alla scoperta delle coste italiche. È stata fatta una votazione in classe e sono stati scelti i personaggi principali del “viaggio/racconto”, Ulisse, Penelope e Argo (il fidato cane che accompagnava Ulisse nella caccia e che lo riconobbe al suo ritorno ad Itaca). Un avventuroso viaggio alla scoperta dell’Isola d’Ischia, dell’Antro della Sibilla a Cuma, di Capo Palinuro e della vicina Velia, oggi Casalvelino Scalo (SA), considerando la nascita della famosissima scuola eleatica con Parmenide e Zenone.

Molte speranze nascono in noi, in momenti come questi, nonostante tutte le spinte negative che giungono dall’esterno, specialmente nell’economia e nella mancanza di civiltà tra la gente. I semi sono stati posti, con cura, nella buona terra del Sud della penisola nella speranza che crescano offrendo frutti odorosi.

venerdì 16 marzo 2012

DA GUTTUSO A GUADAGNUOLO, Frascati 22 mar


(a cura di DavideArgnani)

A FRASCATI, GIOVEDÌ 22 MARZO 2012
DA GUTTUSO A GUADAGNUOLO, E IL TRANSREALISMO IN ITALIA
Sinestesie e metamorfosi dei linguaggi fra Arte, Letteratura, Musica, Cinema e Scienza,
di Francesco Guadagnuolo



Francesco Guadagnuolo nel suo studio
A Frascati: Giovedì 22 Marzo 2012 sarà presentata alle ore 17,00, presso la Sala degli Specchi della Biblioteca Comunale, Piazza Marconi - la monografia “Metamorfosi dell’iconografia nell’arte di Francesco Guadagnuolo” con le poesie di Karol Wojtyla (Edizioni Angelus Novus – Tra 8 & 9, anno 2011) già presentata alla Camera dei Deputati.  Interverranno: Emilio Baccarini (filosofo): “L’arte come trasformazione del reale”; Fulvio Bongiorno (scienziato): “Sta nel cuore della scienza il futuro dell’arte?"; Pino Blasone (critico e scrittore): “Transavanguardia e Transrealismo”.              
 
Purificato e Guttuso hanno fortemente creduto al carattere e alla tradizione del realismo, in quanto connessa con le nostre radici culturali. Scomparso Guttuso nel 1987, ci si chiese chi potesse farsi carico della ricerca rivitalizzata del realismo italiano sul finire del ’900. Anche se le Correnti finiscono per morte naturale è però anche vero che il richiamo del buon sangue può ritrasmettersi nelle vene dei giovani che verranno, con nuove idee, nuovi segni, ma ispirati dal buon esempio dei progenitori.  All’inizio del 1980, in quanto successore dialettico che si colloca tra Purificato e Guttuso, potremmo classificare il giovane artista Francesco Guadagnuolo, emerso in un momento di disputa fra Ipermanierismo e Transavanguardia. Abile disegnatore, specialista nell’incisione, con un evidente talento pittorico, egli ha cercato di definire e impersonare la continuità della tradizione figurativa italiana. Se Guttuso ha vissuto il periodo drammatico della seconda guerra mondiale, (pensiamo a una delle opere più note, la Crocifissione, dichiarata denuncia dei disastri causati dal regime), Guadagnuolo respira gli avvenimenti disastrosi del terrorismo, l’era dell’automatizzazione e dei computer, i rilevanti risultati scientifici e tecnologici che preludono al 2000, come lo descrive lo storico dell’arte Vinicio Saviantoni.

“Transreali”: è anche la suggestiva definizione che è stata evocata e trascritta, con riferimento alle opere e mostre di Francesco Guadagnuolo, dal critico d’arte Antonio Gasbarrini. Come per tutte le tendenze culturali, si dirà che ciò era inevitabile. Ma c’è una logica a carattere creativo, almeno in questo tipo di fatalità. Auspicabilmente, si tratta di una logica destinata a lasciare un segno positivo nelle nostre sensibilità. Il lavoro del Maestro Guadagnuolo è terreno fecondo, pluridisciplinare di interrelazioni fra le arti visive e la poesia, la filosofia, la musica, la scienza. In questa metamorfosi ed evoluzione di linguaggi estetici, con il suo transrealismo l’arte acquista nuove rielaborazioni formali sinestetiche. Peraltro trasversale enciclopedia di illustri personaggi, questo volume è soprattutto un invito a ripercorrere, attraverso le visioni dell’arte, lo scibile umano contemporaneo. Tramite e grazie all’Artista, è altresì una speranza di porre nuovamente l’uomo al cospetto delle problematiche del nostro tempo, non in una condizione remissiva ma di piena libertà e coscienza.
 
Come spesso si sente dire, per invidia o per millanteria, non si può credere che l’Arte italiana oggi sia morta o non abbia più nulla di nuovo da dire. Sarà perché distratti da mille sogni come l’arte della nostra civiltà dei consumi ci abbaglia, ma, soffermandoci nei luoghi giusti, possiamo ricrederci e riuscire anche a scoprire e Vedere novità importanti, ricche di contenuti e di linguaggi originali. Succede a due passi dalla Capitale, ai Castelli Romani, nello studio di un artista eccentrico, lontano dalle mode, e ben attento alla ricerca di nuove forme, aperto alle suggestioni di una civiltà malata di consumismo ma capace di incitare animi sensibili alla scoperta delle verità nascoste o soltanto negate dallo strapotere di una omologazione volgare e irresponsabile. Si tratta di Francesco Guadagnuolo, un artista che non si lascia scoraggiare né trascinare dal quotidiano rincorrersi delle mode. Un artista eclettico, capace di inventarsi addirittura il “Transrealismo in Italia”, ossia: “Dal Realismo del ‘900 al Transrealismo del nuovo Millennio”, ovvero: “da Guttuso a Guadagnuolo”! Non tanto per uccidere il “chiaro di luna” del Realismo che fu, ma piuttosto per sottolinearne l’importanza e i segni lasciati, riscoprendone le tracce attraverso nuove visioni e ripensando a Renato Guttuso..
Tutto questo e altro ancora sarà discusso alla presentazione della Monografia “Metamorfosi dell’iconografia nell’arte di Francesco Guadagnuolo” con le poesie di Karol Wojtyla (Edizioni Angelus Novus – Tra 8 & 9, anno 2011), curato da Antonio Gasbarrini e Renato Mammucari, Giovedì 22 Marzo 2012 alle ore 17,00, presso la Sala degli Specchi della Biblioteca Comunale, Piazza Marconi - Frascati.  Interverranno: Emilio Baccarini (filosofo): “L’arte come trasformazione del reale”; Fulvio Bongiorno (scienziato): “Sta nel cuore della scienza il futuro dell’arte?"; Pino Blasone (critico e scrittore): “Transavanguardia e Transrealismo”.

Francesco Guadagnuolo è nato nel 1956 a Caltanissetta e da tempo vive ai Castelli Romani. Opera nell’ambito culturale tra Roma, Parigi e New York. Ha frequentato l’Accademia delle Belle Arti di Roma. Pittore, scultore e incisore. Nel 1980 presenta a Roma, alla Libreria ‘Remo Croce’, la cartella di acqueforti “La Bottega dell’Orefice”, legata al dramma in tre tempi di Andrzej Jawien (Karol Wojtyla) e poi numerose sono le mostre delle sue poliedriche opere in Italia e all’estero e da ricordare le recenti mostre negli Stati Uniti e a Istanbul. E da buon siciliano non manca di confrontarsi con importanti artisti conterranei: dall’arte somma di Renato Guttuso alla poesia di Salvatore Quasimodo. In occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia ha realizzato una rassegna dedicata alla poesia italiana: un poeta rappresentativo di ogni Regione con una poesia inserita in una sua opera pittorica in forma sinestetica e messa in mostra a giugno 2011 ad Aprila (LT), a cura del Comune e della Biblioteca Comunale Sala Manzù; i poeti inseriti nella mostra-evento sono: Valle d’Aosta-Marco Gal; Piemonte Mauro Ferrari; Liguria: Massimo Morasso; Lombardia: Giancarlo Pontiggia; Trentino Alto Adige: Renzo Francescotti; Veneto: Ferruccio Brugnaro; Friuli Venezia-Giulia: Robaerto Pagan; Emilia-Romagna: Davide Argnani; Toscana: Sauro Albisani; Marche: Eugenio De Signoribus; Umbria: Anna Maria Farabbi; Lazio: Plinio Perilli; Abruzzo: Pietro Civitareale; Molise: Mario Michele Gabriele; Campania: Antonio Spagnyuolo; Basilicata: Raffaele Nigro; Puglia: Lino Angiuli; Calabria: Carlo Ciparrone; Sicilia: Lucio Zinna; Sardegna: Angelo Mundula. Da ricordare che Francesco Guadagnuolo, nel 2005, ha creato la prima mostra di ritratti al nuovo Pontefice “Omaggio a Sua Santità Benedetto XVI°” presentata a Palazzo Bologna, Senato della Repubblica. Poi la mostra, organizzata dall’Associazione Nuovi Castelli Romani, fu trasferita a Castel Gandolfo nella Cripta della Chiesa Pontificia S. Tommaso da Villanova con il nuovo titolo “Santi Padri Papi Santi, con i ritratti dei Papi dell’ultimo secolo, da Pio IX a Benedetto XVI.

lunedì 12 marzo 2012

Su due opere di Francesco Babbini

di Roberto Borghesi




Il crocifisso di Francesco Babbini


Come immaginate il volto di Gesù, sulla croce, appena esalato l’ultimo respiro? Triste, straziato dalle sofferenze, abbandonato al Padre, serio o dimesso? Il volto di Gesù crocifisso nel quadro di Francesco Babbini, è sorridente! Ma quel sorriso non è quello di un uomo finalmente liberato dai patimenti. Quello è il sorriso di un fanciullo, il sorriso di un bimbo che corre a braccia aperte verso il papà. A braccia aperte e gli occhi chiusi, come fa un bambino piccino quando gioca con il grande padre a nascondino e lo ritrova, dopo che questo si era nascosto dietro ad un albero. Ed effettivamente, il Padre sembrava avere abbandonato il figlio, là su quel legno, quella croce alta alta, come la disegna Francesco, alta sui templi e sulle nubi. Una croce di gloria. Il figlio è portato in alto, porta in alto, molto in alto tutto il suo dolore, il corpo martoriato, il corpo dell’amore.
Ma il padre, dov’è? Non c’è?
Gesù sorride come un fanciullo scherzoso. “Guarda bene!”, dice allo spettatore. Aguzziamo gli occhi, ed ecco tra il cielo azzurro, proprio sopra il capo di spine, una aureola discreta come la prima luce del primo mattino, cerchia quel volto sorridente e lo rende ancora più radioso. Gesù è lì, il corpo spento, ma “sente” il padre, è tutt’uno con lui. È già risorto e nessuno se n’è accorto. È troppo presto, per il mondo distratto. Il mondo è qui sospeso in un tempo fuori dal tempo. Non a caso Francesco non ha dipinto nessuna persona. Ciò che Gesù vede ai suoi piedi e sogna, gli occhi chiusi è la sua “chiesa”, i nuovi templi della nuova religione. “Lasciate che i fanciulli vengano a me”, sono le sue parole cui ora il suo volto rimanda. Dopo l’immensa sofferenza, dopo la crocifissione, i chiodi, le spine, il costato, torna il sorriso che aveva nel tempio in mezzo ai dottori, ai quali parlava del Padre e del suo amore. Egli è ora il fanciullo che vince la morte con il sorriso in mezzo ai templi, in alto sopra la Storia.
Chi può dire se i templi raccolti da Francesco siano pieni o siano vuoti?
Il crocifisso è fuori dalla storia e dal tempo; sospeso tra un oceano di nubi e un dolcissimo cielo ora alba, ora tramonto. Quella striscia ai confini del giorno ha una luce che rimanda discreta all’aureola, al Padre. La terra è in pace, e anche i templi sono nella quiete. Il tempo è sospeso nell’attimo infinito. Il Cristo-bambino, forse, sogna? Traballa la certezza tra la realtà e la fantasia, tra il tempo passato e futuro. Dove siamo? Chi è quel crocifisso che sfida il nostro sapere, del morire e del gioire? Le domande non sono inquietanti;quel volto non è rabbuiato. E se anche alla fine, quei templi fossero vuoti, resterebbe quel sorriso sognatore di quel giovane Signore, signore dell’amore infinito di un Padre discreto che fu creduto capace di abbandono,ma che nel suo discreto chiarore dietro la croce indica il perdono. Non a caso Francesco ha nome il pittore di questo quadro, che rimanda a quel “Francesco giullare di Dio”,giulivo di Dio, a ricordarci che insomma “vangelo” viene da “euangello”: annuncio una “lieta” novella.



Il Cenacolo di F. Babbini (o della “teologia” di Giuda) L'opera è stata donata alla parrocchia della Colonnella – Rimini

Il Cenacolo di Francesco Babbini si inscrive nella tradizione pittorica che ha per tema l’ultima cena di Gesù, descritta nei Vangeli. Il tema del quadro è dunque religioso. Immediatamente, la prima visione del dipinto ci porta alla memoria il celebre quadro di Leonardo da Vinci. E subito si intuisce come il nostro pittore, non si sia limitato a seguire passivamente le orme del grande maestro, ma abbia riscritto l’immagine secondo una prospettiva moderna, attuale, personale. Rispetto alla pittura leonardesca salta subito agli occhi il fatto che, mentre il Cenacolo di Leonardo è ambientato in un interno, quello di Babbini sembra situarsi dentro a un porticato. E subito colpisce la distribuzione delle colonne; due all’altezza del tavolo, due coppie all’altezza degli angoli del tavolo, mentre le altre due sulla stessa linea dividono in tre gruppi i commensali, due di tre, quello alla destra di Gesù e il gruppo di Gesù stesso, il terzo gruppo di quattro discepoli. Infine le due ultime colonne, sullo sfondo formano ancora tre gruppi; quello a destra di Gesù di quattro discepoli, quello centrale di cinque, quello a sinistra di quattro. Sono dunque tre gruppi di quattro discepoli perché quello di mezzo comprende anche Gesù. Insomma la distribuzione delle colonne pratica una divisione molteplice ma estremamente calcolata dei personaggi che ora vanno a formare un gruppo di due, ora tre, ora di quattro, ora di cinque personaggi, simmetricamente ripetuti. Siamo di fronte a una matematica dei discepoli seduti a fianco del Messia.
Ora, mentre i personaggi seduti frontalmente sono otto più Gesù e a destra e a sinistra sono due, si nota che sia Gesù che i discepoli alle due estremità hanno la tunica sulla spalla sinistra, tuttavia, il discepolo seduto alla estrema destra di Cristo, contrariamente a tutti gli altri discepoli non ha nella mano il pane: è seminascosta sotto il tavolo non fino al punto di non lasciare vedere la sua presa su di una borsa. È chiaro che questo discepolo così atteggiato sia Giuda. Mentre tutti gli altri ripetono il gesto di Gesù di tenere con la destra il calice e con la sinistra il pane, tuttavia rispetto a Gesù, sacerdote, che volge il pane verso l’alto in un gesto di consacrazione, gli altri tengono ancora il pane non ancora come un’offerta. Essi sono già pronti al sacerdozio di Cristo, ma non hanno ancora consacrato l’eucaristia. Il gesto di Gesù, allora, ci dice che il “tempo” di questo quadro è quello della “consacrazione “eucaristica. D’altra parte, la presenza ancora di Giuda, proibisce la possibilità che anche i discepoli siano già sacerdoti, come Gesù.
Qui Babbini raggiunge un altissimo livello di esegesi teologica della spiegazione del ruolo di Giuda quale contrasto con la santità del momento. Il tradimento di Giuda è sì nei confronti di Cristo, ma ancor più, si potrebbe dire, nei confronti della comunità. Egli impedisce la piena comunione del gruppo intorno a Gesù. Questo è il suo grande peccato; egli ha tradito la comunione, impedisce la comunione dei fratelli, spezza la forza che unisce il gruppo.
Potremmo dire che questa “teologia”del peccato di Giuda – spesso limitata e concentrata sul solo tradimento di Gesù – è la grande lezione di questo Cenacolo di Babbini. Non a caso l’autore si ritrae nel secondo discepolo a partire dalla sinistra di Gesù, con lo sguardo rivolto a Giuda. D’altra parte, mentre il pane di quest’ultimo giace sul tavolo, il suo calice sta pericolosamente sul bordo del tavolo, quasi stesse per cadere. Giuda ha fretta, sta per rovesciare l’armonia delle cena, ha già tradito con il cuore, il prezzo di Gesù è già calcolato.
Gli sguardi dei discepoli sono volti verso di noi, guardano “fuori” dal quadro, sono in contemplazione, potremmo dire in estasi mistica. Lo sguardo obliquo dei discepoli tranne Giuda e l’autore/discepolo sembra convergere verso il centro del dipinto, in effetti verso il punto in cui dovrebbe collocarsi colui che contempla il quadro, il punto verso il quale guarda diritto davanti a sé Gesù. Ma in effetti gli sguardi vanno oltre il posto dell’osservazione; sono diretti verso Colui che è presente sulla scena e dona all’insieme dei personaggi un alone “mistico”; lo Spirito?
Ora, c’è un oggetto, sul tavolo, che potrebbe simboleggiarlo; l’anfora del vino, che sta tra due ceste con pani, otto da destra di Gesù, nove alla sua sinistra. I pani nei due cesti simbolizzano la data di nascita di Maria, la madre di Gesù. Con quelli in mano ai discepoli fanno ventinove, più una di Gesù, trenta. Le due ceste di pane con l’anfora di vino in mezzo rimandano all’episodio della moltiplicazione dei pani: esse stanno lì davanti a disposizione di coloro che, passando accanto al dipinto vorranno partecipare, spiritualmente al banchetto. Ma, c’è un particolare che si fa avanti a mano a mano che la lettura del quadro avanza; l’ultimo discepolo alla sinistra di Gesù sembra volgere lo sguardo a Giuda, anche lui. La sua espressione, tuttavia, pare differente da quella del discepolo/autore. Mentre in quest’ultimo sembra esserci un tono di dolore, di chi ha capito fino in fondo il senso di quella che abbiamo chiamato la “teologia” del peccato, nell’altro discepolo, invece, prevale uno sguardo fatalistico, come di chi, per conto di Gesù, dicesse qui a Giuda:  “Fai ciò che devi fare”.
Sappiamo, poi, che i personaggi, le persone che interpretano i discepoli sono di provenienza eterogenea sia nello spazio che nel tempo; alcuni sono defunti, alcuni sono celebri nella storia, della chiesa per esempio, altri sono persone note all’autore. Tutti hanno una identità; Giuda solo resta ignoto! Giuda è qui un “tipo”; colui che tradisce nella comunità, colui che rinnega gli amici, ma non per una convinzione maturata per una diversa visione, bensì per danaro, per mercimonio, per interesse. Infine, nella analisi dei personaggi notiamo come l’autore abbia messo tutta la sua cura dei particolare nella teoria delle tuniche e dei mantelli. Lo studio attento della loro distribuzione sulle spalle potrebbe rivelare altri significati di questo quadro. Certamente è evidente il bianco della tunica di Gesù con il mantello purpureo. Notiamo solo che, certamente, Giuda, Gesù e l’autore/discepolo portano il mantello sulla spalla sinistra. E non a caso: tutti e tre sono a conoscenza fino in fondo del significato della presenza del “male” in questo momento della Cena. Se c’è in questo momento un discepolo “prediletto” da Gesù in questo quadro, è bene il discepolo/autore, e in effetti la somiglianza di lui con l’altro discepolo va ben oltre gli abiti. Ora sappiamo perché Giuda non ha una identità; è perché, in realtà egli è la “proiezione” dell’autore, quella proiezione, quella tentazione di Giuda che è in ciascuno di noi. Questi i personaggi attorno al tavolo, tra i quali, di passaggio, notiamo la presenza dell’autore di questo saggio, proprio accanto a Giuda!

Proseguiamo la lettura del dipinto notando come alle spalle di Gesù le mattonelle del pavimento riproducano una croce, tra le due colonne centrali (l’autore ci ha detto che le colonne sono dieci come i dieci comandamenti), la quinta e la sesta che rimanderebbero ai comandamenti omonimi. La teoria delle colonne, che fanno da sipario allo sfondo su cui sono visibili le chiese che vanno dal Tempio Malatestiano, alla Basilica di San Pietro in Roma, alla Chiesa Parrocchiale Santa Maria Annunziata della Colonnella dove ha trovato collocazione il quadro stesso, formano un insieme che abbraccia nel tempo e nello spazio tutta la storia della nostra fede. Dopo la croce, verso il fondo, si dà come una balaustra bianca che fa da separazione tra la scena del banchetto e lo sfondo.
Questo sfondo dà non già su di una parete, ma su luoghi esterni, all’aperto: sono luoghi riminesi che abbiamo già menzionati( il Duomo, la Parrocchia Santa Maria Annunziata), mentre al centro, in corrispondenza del Cristo è dipinta la Basilica di San Pietro. In questi luoghi ecclesiastici si muovono altri personaggi; sono per lo più donne, a gruppi, a due a due che camminano verso il Cenacolo. Sappiamo che anche tra queste donne il tempo e lo spazio della loro identità non conta; sono vive, ancora, o sono morte. Vita e morte, in questo quadro, come è del resto anche nella Cena, sono appaiate. Le donne sono appaiate, come i discepoli di Emmaus, come ordinò Gesù stesso che andassero a due a due. Dunque le donne che avanzano verso la Cena, sono dei discepoli, i prossimi discepoli di Gesù, i nuovi discepoli.
L’autore del quadro, senza dubbio, nell’appaiare le donne, avrà, ancora una volta, mescolato vita/morte. Perché?
È ipotizzabile che egli intendesse dire come tra i discepoli si trasmettano al di là della vita le testimonianze, i ricordi, gli esempi… Le due uniche presenze maschili nei gruppi – il sacerdote e il parente tra le sorelle – sottolineano come l’autore abbia mantenuto nel quadro riferimenti affettivi e biografici specifici che fanno di questo dipinto di altissima spiritualità, potremmo dire “trascendenza”, un dipinto “carnale”, vivo, storico, come lo sono tutti i grandi quadri. Infine; non abbiamo volutamente citato nomi e cognomi delle persone care rappresentate in questo dipinto perché abbiamo cercato di dimostrare che proprio partendo dagli affetti concreti Babbini ha dipinto un quadro che parla e parlerà al cuore e allo spirito, insomma alla fede di tutti coloro che sapranno soffermarsi per un tempo a contemplarlo.

Carla De Angelis in AA.VV. Scritto e…mangiato

Giulio Perrone Editore, Roma, 2011

recensione di  Vincenzo D’Alessio

Carla De Angelis, infaticabile poetessa e ricercatrice, ha voluto farmi dono di una singolare Antologia, curata da Brigitte Cordes e Antonio Trimarco, dal titolo Scritto e… mangiato racconti di vita e sapori, edito dall’editore Perrone di Roma, previa organizzazione del concorso da parte della Biblioteca Corviale, aperta nel 2002, che conta un flusso notevole di frequentatori e un circolo di lettura, chiamato in questo caso a fare da Giuria al Premio Letterario ,del quale questa Antologia è il resoconto.

Il tema di quest’anno era “il racconto Bonsai”: racconti brevi ma pregni di vitalità e di memoria. Fondati sull’uso del cibo quale elemento di metafora, storia, ricorso agli affetti e alle tradizioni. La partecipazione è stata vasta e sentita. Lo dichiara nella postfazione lo scrittore Stefano Martello : “ho apprezzato il grande senso della misura delle parole adottate, funzionale alla riuscita della storia. A quel sorriso in cui si mischia la sorpresa per un finale particolarmente riuscito e un po’ di invidia, soprattutto se sei uno che campa di e con parole” (pag. 248).

Devo ammetterlo, l’ironia che si scorge in gran parte dei racconti è meravigliosa, costruttiva, generosa, sia che parli di “matriciana”, di “tortellini”, o di “frittata”, sia che affronti la grandezza di un giorno come il Natale, con l’incomparabile “capitone fritto” della tradizione meridionale,meravigliosamente descritto nel racconto “Via del Sole” di Renato Fiorito. Molti degli scrittori, premiati o no, sono meritevoli del premio raggiunto: aver solleticato il gusto, verso un cibo /altro, irraggiungibile, perché collocato nella parte migliore dell’esistenza: l’infanzia. Tutti i profumi che promanano da questa Antologia meritano il “cucchiaio d’oro” della memoria. Sono veramente scritti con il cuore, oltre che con gli ingredienti giusti.

Ad un certo punto della lettura si resta confusi, presi dal panico di assaporare il latte con i biscotti, oppure il conflitto delle uova fritte. Passare tra pasta e polenta, inabissarsi su peperoni e calamari. Pesce o carne, non c’è che l’imbarazzo della scelta. E le ricette, disposte nella quarta sezione dell’Antologia, stuzzicano la fantasia e confermano quanto già conosciamo, per chi come me pratica fornelli e padelle. In verità in ogni uomo, bellissima e inconsapevole, dorme una femminilità perdutasi nel tempo. Quando sono in cucina, come una consapevole casalinga, non intendo essere disturbato mentre preparo pietanze e manicaretti per la mia famiglia o per gli ospiti: dono di mia madre, che mi volle crescere come una donna, avendo perso mia sorella un anno prima che io nascessi.

Il racconto premiato, “In nome del popolo italiano”, di Marco Giovannini, rende proprio l’idea di quanto ho scritto in precedenza. La sottile ironia, la rapidità dei gesti e delle parole, l’incontinenza dell’impasto, tra sacro della cucina e profano della legalità applicata a questa, formano la ricetta giusta per sottolineare quanto scrive ancora Stefano Martello nella postfazione: “Ricominciare dal Bonsai regala a chi scrive un senso di responsabilità nuovo che traspare non tanto dalla storia quanto dalle parole scelte per raccontarla, la storia” (pag. 248).

Concludo questa rapida incursione nel mondo della cucina, grato alla poetessa Carla De Angelis, per l’incontro con la sua “casa” colma di profumi e di calore, citando un artista che della cucina ne aveva fatto un merito alle dimensioni del proprio corpo e all’amore che vi trasfondeva poeticamente. Parlo di Aldo Fabrizzi , e della sora Lella, restando proprio in ambito romano. Il sonetto è Er medico m’ha detto:

(…) Di fame, creda, non si muore mica,

piuttosto accade tutto l’incontrario,

e chi vol diventare centenario

deve evità perfino la mollica.

(…)

Embè quanno che ar medico ce credi,

bisogna daje retta: mò, presempio,

l’urtimo piatto me lo magno in piedi!




mercoledì 7 marzo 2012

Secretum professionale, 1

intervento di Massimo Sannelli alla kermesse


Testi crossover
persone che scavalcano gli eventi


dalle ore 9.00 alle ore 18.30
presso il teatrino Sala S. Francesco
dei Frati Minori Conventuali
Piazza S. Francesco, 14
Faenza ~ 3 marzo 2012
letture, testimonianze, dibattito

In Italia il problema della lingua è sempre stato pragmatico. O dal punto di vista normativo (quale lingua parlare/scrivere? Come parlare? «Risciacquare in Arno», ecc.) o dal punto di vista stilistico-contenutistico (comico-realistici, ermetismo, «Linea Lombarda», ecc.).  

E poi l’intenzione generale. Cesare Gàrboli attribuiva alla lirica italiana – tutta la lirica italiana – un sentimento depressivo, soprattutto negli ultimi tempi. La depressione crea contemplazione, ed è sterile. Ma vi è implicato anche il dato di fatto: il predominio maschile sulla tradizione del parlar materno, cioè dello scrivere materno. Le madri non hanno mai scritto, in questa tradizione. I padri erano depressi, spiriti contemplativi, ma aggressivi [Dante, sempre. E poi Dante si indonnò, a suo modo, aggressivamente: quando ruppe il guscio degli usi amicali e di Fiorenza. E allora l’idea dilagò nella forma «mai pensata in alcun tempo». La novità faceva luce nella forma).

Chi legge una certa rosa mystica (Cixous, Muraro, Rich, Irigaray, Djebar) vede che la mascolinità della lingua-strumento convive con la sua incarnazione individuale. Vede grandi lingue in grandi esperienze. Chi scrive conoscendo la diversità (è donna) e l’esilio (è maghrebina e francese), o l’esilio e il plurilinguismo, sa che lingua, corpo, voce sono coessenziali e che l’insieme è una forma di resistenza simbolica e politica: per questo motivo la scrittura riguarda «questo fuoco» ed è una «strada da aprire».

L’utero oggettivo non conta. Attenzione. La femmina è anche la Scrittura. La disperata ha voci che assediano. Non importa che sia davvero una donna a scrivere: può essere Djebar come Derrida, Cixous come Novarina, Zallio come Bene; e non sopporta limiti di genere, proprio perché rifiuta la depressione della lingua. L’assedio è bellicoso e non malato. Così la lingua gloriosa può flectere quod est rigidum, come il Sanctus Spiritus che si invoca, al quale si dice: Veni! Anche il vero amante lo dice, nel Cantico più cantico che ci sia: Veni, sponsa, de Libano! [ho promesso di dire le stesse parole nell’ultimo giorno, nell’ultima ora, quando sarà: allora chiamerò una sposa definitiva, non una disgrazia]. Il Nuovo Testamento finisce con lo stesso ordine: Vieni, Signore Gesù. L’imperativo dell’amore – tutto l’amore, tra cielo e terra – è vieni.

La sponsa inizia Fra corpo e voce e chiude con «scrivere da diseredata». Il rapporto tra inizio e fine è intuitivo, ma è la salute: soprattutto per il lettore maschio e italofono, un precario che non si può paragonare all’esule e all’esule-donna. Delirando, ex-maschio o più-maschio, o più-che-maschio, Joë Bousquet studia in quaderni il but de l’oeuvre littéraire: «Mais dis cela avec ta voix de femme, rends-le mortel, article de Paris» (Mystique, Gallimard, Paris 1973, p. 36).

lunedì 5 marzo 2012

Il primato della pietà di Nino Di Paolo pemiato al Pontremoli

Il Premio Città di Pontremoli 2012 ha assegnato al Primato della pietà di Nino Di Paolo il premio della Giuria sez. Narrativa edita. Complimenti all'Autore!


CITTÀ DI PONTREMOLI
Concorso di Letteratura a carattere internazionale
Prima Edizione 2012



Il Centro Culturale Il Porticciolo e la Giuria del Concorso di Letteratura “Città di Pontremoli” sono lieti di comunicare che è stato deciso all’unanimità di assegnare il

Premio della Giuria Narrativa Edita

per il romanzo “Il primato della pietà” a

NINO DI PAOLO

Il premio consiste in una targa artistica personalizzata.

La cerimonia di Premiazione si terrà in Pontremoli (MS), nella prestigiosa cornice del settecentesco Teatro della Rosa, domenica 1 aprile c.a., alle ore 15,30, alla presenza di autorità, di esponenti della Cultura, e della Giuria.

La invitiamo pertanto a ritirare personalmente il premio conseguito, di fronte al vasto pubblico che parteciperà alla Cerimonia. Qualora non potesse ritirare personalmente il premio, può fare richiesta scritta di spedizione presso il Centro Culturale Il Porticciolo allegando € 10 per le spese relative alla spedizione a mezzo corriere.

Sarebbe gradito cenno di conferma della presenza.

Nel congratularci vivamente per il successo conseguito, porgiamo i più cordiali saluti



Il Presidente del Centro Culturale Il Porticciolo

organizzatore del Concorso

Prof.ssa Rina Gambini

La Spezia 29 febbraio 2012




CITTÀ DI PONTREMOLI
Concorso di Letteratura a carattere internazionale
Prima Edizione 2012


PONTREMOLI (MS)


Sabato 31 marzo 2012


Ore 16 - Stanze del Teatro della Rosa
Convegno Culturale

Saluto del Sindaco di Pontremoli, Dr.ssa Lucia Baracchini

Germano Cavalli: “Tradizioni di Lunigiana”

Riccardo Boggi: “Le statue stele lunigianesi”
Alfredo Bassioni: “Antiche istituzioni giuridiche lunigianesi”

Rina Gambini presenterà il volume antologico e gli autori che vi sono inseriti

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Domenica 1 aprile 2012

Ore 10 – Appuntamento in P.za della Repubblica per una visita guidata (gratuita) al Museo delle Statue Stele presso il Castello del Piagnaro.

Ore 12,30 – Pranzo conviviale presso la Locanda Caveau del Teatro (su prenotazione, posti limitati) proposta a € 35 con pagamento anticipato al Centro Culturale Il Porticciolo. Per prenotare telefonare al n° 0187 512288, o via mail a rinagambini@alice.it entro il 25 marzo.

Ore 15,30 – Cerimonia di Premiazione nella splendida cornice settecentesca del Teatro della Rosa, alla presenza della autorità comunali, provinciali e regionali, della Giuria, e di un folto gruppo di artisti ed esponenti della Cultura, preceduta dal saluto di benvenuto del Sindaco di Pontremoli Dr.ssa Lucia Baracchini. Ore 17,30 – Nelle Stanze del Teatro della Rosa l’Amministrazione Comunale di Pontremoli offrirà ai convenuti un brindisi con assaggi di prodotti tipici locali, come omaggio di benvenuto nella città