giovedì 16 febbraio 2012

Su Alcune parole per Alice di Michele Toniolo

Galaad Edizioni, 2011

nota di lettura di AR

Questo racconto in memoria del padre di Michele Toniolo è di una bellezza rara e preziosa. Più che una prosa diaristica (il casus scribendi viene infatti attribuito ai diari di Alice durante la malattia perniciosa del figlio) è una elegante eppure sconvolgente prosa poetica. Il mistero della malattia, della morte, del peccato (l'esergo di Romano Guardini è infatti una chiave importante per accedere alla profondità di queste pagine) ci viene esposto con una leggerezza che è in realtà una lama chirurgica: «… un ictus mai nominato– e un senso di condanna che Alice, impropriamente, chiama delitto: ecco di cosa è fatta questa storia» (p. 15). L'Autore, essendo anche un editore di qualità, dissemina lo scritto di numerosi riferimenti biblici, teologici, filosofici e letterari, ma con estrema discrezione e sobrietà – direi che l'understatement trova in queste pagine una esemplare applicazione. Consideriamo questo brano: «Qualcosa che assomiglia alla proprietà transitiva tradurrebbe respiro – ma anche morte – con amore. Prima ho usato tre parole in successione: sottomissione, caduta, melanconia. Le intendo come stadi progressivi di un unico sentimento: l'impossibililità» (p. 17). O anche questa immagine: «Suo figlio ha un cervello pieno di buchi, dice, un cervello che cola» (p. 19). Non è evidente la cristallina ed emozionante pregnanza di questa scrittura?
Ne capitolo 3. viene trattata la parola croce: «La tengo, ma la spoglio di tutta la forza teologica che, nelle mie mani, le toglierebbe equilibrio. (…) La domanda: in che modo una madre può piangere il figlio?, va corretta: come può, un figlio, essere pianto dalla madre?» (pp.22 e 23); «La croce capovolge il nostro concetto di prossimo. Non è il figlio malato il prossimo suo, come Alice ha creduto quando si è legata a quel letto. Ma è lei il prossimo di suo figlio. Come le persone ai piedi del crocifisso sono il prossimo del crocifisso» (pp. 26-27).
Nel capitolo 4 si fa strada la morte: «… mio figlio è morto tra le mia braccia, perché potessi stringere Dio.» (p. 31); «La pioggia picchia sull'abat-jour e poi scende come su una foglia: l'ha sempre assomigliata, la pioggia, all'infittirsi dei chiodi nella croce» (p. 34). Nel capitolo successivo si dipana il delitto:  «Peccato, non colpa. La colpa è una scelta, infrange l'amore. Ma resta nello spazio dell'amore: ecco il perdono. Il delitto di Alice non è una scelta, è una caduta; scardina il passato, come il peccato. E ha la stessa necessità del peccato: la fede. Solo la fede ci fa sapere peccatori davanti a Dio» (pp. 37-38).
Nell'ultimo capito, il 6., il figlio si rivela padre:  «Ma una morte così piena non si può spiegare neppure alterandola in un delitto e in un figlio. (…) Non può essere raccontata. (…) In questo senso è sacra» (p. 44).
Che forza hanno queste parole che corticircuitano logica e amore come nel Logos!

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