martedì 27 dicembre 2011

Auguri dall'Accademia Vivarium novum



Accademia Vivarium novum
Via Corrado Barbagallo 20
00166 Roma
Tel. 06.6689034 - 06.66589833
Fax 06.61007266
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http://www.vivariumnovum.net

Convegno su Michele Ricciardelli, Solofra 14 gen


v. anche Mons. Michele Ricciardelli

Concorso Pubblica con noi 2012 sc. 6 gen 2012








comediaesilio

Qui sotto il libro dei vincitori dell'edizione 2011
creare mondi


Art. 1 Fara Editore bandisce la XI edizione del concorso Pubblica con noi. Due le sezioni a tema libero: sez. A. racconto o raccolta di brevi racconti inediti; sez B. silloge poetica inedita.
Art. 2 Le opere dovranno essere inviate entro il 6 gennaio 2012 direttamente al nostro indirizzo elettronico info@faraeditore.it in un unico file.
Art. 3 L'opera inviata (non più di una per autore) deve essere inedita (o comunque l'autore deve ancora detenerne i diritti; a tal fine l'autore deve dichiarare l'opera frutto della sua inventiva e di sua libera disponibilità) ed essere: per la sez A. tassativamente compresa fra un minimo di 10 cartelle (o 18.000 caratteri spazi inclusi) e un massimo di 25 cartelle (o 45.000 caratteri spazi inclusi); per la sez. B. comprendere un massimo di 30 poesie e non meno di 20 e non superare comunque il numero complessivo di 1200 versi (righe bianche incluse).
Art. 4 È richiesta una tassa di lettura di € 25,00 che dà diritto a ricevere (solo in Italia) il romanzo di Daniele Borghi Pinocchio non abita più qui e il Poema dell'esilio di Gëzim Hajdari: la tassa verrà pagata solo dopo aver ricevuto i libri (nel plico inseriamo bollettino di c/c postale già compilato).
Art. 5 Il partecipante dovrà allegare o inserire nel messaggio di posta elettronica un breve curriculum vitae (non più di 10 righe) con dati anagrafici, indirizzo tradizionale, e-mail e recapito telefonico.
Art. 6 Premi. I primi 3 classificati della sez A. e i primi 3 classificati della sez. B. verranno pubblicati congiuntamente in un libro a cura e a spese dell'editore, che si riserva gli interventi editoriali che riterrà opportuni. Gli autori pubblicati riceveranno 3 copie omaggio godendo dello sconto del 40% (+ spese di spedizione) sulle altre copie che volessero eventualmente acquistare.
Art. 7 Ogni autore selezionato per la pubblicazione riceverà un accordo di edizione che gli lascia la libera disponibilità della sua opera previa citazione dell'edizione Fara. Non verrà dunque corrisposto alcun diritto d'autore.
Art. 8 Il giudizio verrà operato insindacabilmente dall'editore ed da giurati di sua fiducia. I risultati verranno comunicati ai partecipanti via posta elettronica (v. Art. 10).
Art. 9 Qualora si ritenesse non soddisfacente la quantità e/o la qualità delle opere pervenute, la pubblicazione premio potrà non aver luogo.
Art. 10 I risultati verranno comunicati ai partecipanti e nel web presumibilmente entro il mese di marzo 2012 (saranno pubblicizzati nel nostro sito www.faraeditore.it e nei blog narrabilando e farapoesia). Non è prevista una cerimonia di premiazione.
Art. 11 La partecipazione al Concorso Pubblica con noi implica l'accettazione di tutte le norme indicate nel presente bando.
Art. 12 Ai sensi della legge 96/675 i partecipanti al concorso consentono a Fara Editore il trattamento dei dati personali e delle loro opere secondo quanto previsto dal presente bando. Resta inteso che potranno in ogni momento richiedere di essere cancellati dalla nostra banca dati.

Gli indirizzi ai quali mandiamo la comunicazione sono selezionati e verificati, ma può succedere che il messaggio pervenga anche a persone non interessate. In caso ci scusiamo e vi preghiamo di rispondere a questo stesso messaggio specificando l’indirizzo mail che volete venga cancellato dalla nostra mailing list. 

venerdì 23 dicembre 2011

Caccia Grossa




Handeni, 4 Febbraio

I pigmei non sanno come accendere il fuoco, così lo tengono costantemente acceso, trasportando durante gli spostamenti dei tizzoni di brace all’interno di certe pignatte di terracotta.
Almeno cosi dice Mister Wilson, ma io credo che sia solo un’altra boutade di questo smargiasso Inglese ignorante.
La sera, finita la cena stiamo seduti attorno al fuoco a conversare e a bere whisky, e Mister Wilson a volte ne spara di così grosse che faccio fatica a trattenermi e a tacere.
Ieri, per esempio, ha detto di avere colpito tre antilopi, ognuna centrata in pieno con un solo colpo del suo Mannlicher a canna corta.
Figurarsi, tre antilopi!
Io non sono nemmeno riuscito a vederne di antilopi, non una sola in quasi due settimane che siamo qui, e lui ne becca addirittura tre in un giorno.
Secondo me non ci ha creduto nemmeno Mister H.
Mentre Mister Wilson raccontava, mi ha lanciato uno sguardo strano, una smorfia beffarda della bocca sotto i suoi baffetti da attore del cinema, ed era come se sorridesse solo con gli occhi: chiaro che non ci credeva nemmeno lui, alla storia delle antilopi.
“E lei, Mister H?” gli si è rivolto Mister Wilson “Come è andata la sua giornata?”
“Sono sulle tracce di un leone” ha risposto lui, senza entusiasmo “Ho visto le sue peste sul lick, e sono rimasto in attesa per tutto il pomeriggio, sperando si facesse vedere, prima o poi. A un certo punto si era fatto troppo buio per sparare, e ho preferito tornarmene al campo.”
Mi piace questo Mister H.
E’ simpatico, per essere americano, e non è per niente un gradasso: quando parla, lo fa in un modo che lascia il segno.
Deve essere uno scrittore, penso, o un professore di Università o qualcosa del genere. Ha spesso uno sguardo assorto, e ho notato che prende appunti su un libricino dalla copertina nera, che tiene in una tasca della giubba.
Gli piace bere, e la sera ci dà dentro con il Whisky, ma non l’ho mai visto alterato.
Quando le cose vanno bene e tu ti senti giù” mi ha detto una notte, mentre davamo fondo a una bottiglia di buorbon “un drink può farti star meglio. Ma quando le cose vanno davvero male e tu sei lucido, un drink rende solo tutto più chiaro.”
Ha buttato giù il suo Whisky di un fiato ed è rimasto lì in silenzio, a fissare il fuoco.
Lontano, nella radura vicino al fiume, si sentiva echeggiare il grido della iena, la sua risata agghiacciante e oscena.

6 Febbraio

Ieri è piovuto a dirotto e siamo stati costretti a rimanere rintanati sotto le tende per tutto il giorno.
Oggi, in compenso, ho avvistato due nusbari.
Sono saltati fuori all’improvviso da un cespuglio, alle mie spalle, e non ho avuto nemmeno il tempo di girarmi e prendere la mira che si erano già volatilizzati, spariti in un lampo nel folto della macchia.
Poco male, in fondo: tanto non gli avrei sparato.
Mister Wilson si è accanito tutto il giorno a dare la caccia ai kudù.
Non so perché si ostini così a inseguire quelle bestiacce, con tutta la selvaggina che c’è quaggiù.
L’unico motivo, secondo me, è la possibilità che ha poi di vantarsi con gli altri cacciatori della entità numerica delle sue catture, ne ho beccati sei, ne ho beccati nove.
Non ho visto Mister H. per tutto il giorno, secondo me è sulle tracce di un leone. L’ho notato che si allontanava dall’accampamento stamattina prestissimo, che non faceva ancora del tutto chiaro, e i due portatori che lo accompagnavano parlavano fra loro a voce alta, non saprei dire se eccitati o spaventati.
“Simba!” continuavano a ripetere “Bwana piga! Piga simba!” e si sono allontanati verso la strada, mentre io stavo davanti alla mia tenda, ad annusare il vento.
Ieri pomeriggio, mentre ce ne stavamo rintanati sotto la mia tenda a fumare e a bere whisky, Mister H. mi ha detto della iena.
A dire il vero, ero stato io ad andare sull’argomento.
“Strano animale, eh?” lo avevo apostrofato cercando di strapparlo via dal suo abituale silenzio. “Di notte la si sente ridere in un modo che gela il sangue.”
“Ha mai sparato a una iena?” mi ha chiesto chiudendo di scatto la copertina nera del suo taccuino.
“No, mai.”
“A cosa ha sparato, fino a oggi?”
“A dire il vero, a niente. Non ho ancora lasciato partire un colpo.”
“E perché?”
“Non ne ho avuto l’occasione.”
“In tutti questi giorni, con tutta la selvaggina che c’è?”
“Mai una volta.”
“Un bufalo, una giraffa? Una antilope?”
“No, niente. Ho avvistato tre nusbari, il secondo giorno, ma sono fuggiti prima che avessi il tempo di prendere la mira.”
“Capisco.”
“Ma, mi dica della iena.”
Fisi, la iena. E’ una bestiaccia. Ermafrodita, autofaga, divoratrice di morti, inseguitrice di vacche partorienti, è capacissima di staccarti un pezzo di faccia quando dormi. Triste cagna al seguito degli accampamenti, fetida, sporca, fornita di mascelle buone a spezzare le ossa che il leone ha lasciato.”
“Autofaga?”
“Mangia di tutto, anche il suo stesso sterco. Una volta ne ho colpita una a una decina di metri con due colpi di carabina Springfield. Ha cominciato a agitare la coda e a girare su se stessa, in cerchi concentrici, mordendosi e dilaniandosi, finché si è tirata fuori le budella. Allora, dopo essere riuscita a strapparsele, stava lì ferma a divorarle con gusto.”
“Che cosa orribile! Come ha potuto farlo?”
“Cosa, dice? Di sparare alla iena?”
“No, di rimanere li a guardarla mentre…”
“Mentre moriva? Amico, ogni animale muore a modo suo. Che sia un bufalo, un cobo o un leopardo, quando l’hai colpito con una pallottola 220 corazzata, quando gli hai messo dentro la sua morte nichelata, è lui che sceglie in che modo farla finita. Un leone muore da leone, una iena muore da iena, e questo è tutto.” Poi, prima che avessi avuto il tempo di dire qualcosa “Ora vado a dormire” ha tagliato corto. “Io amo dormire. La mia vita ha l’abitudine di cadere a pezzi quando sono sveglio, lo sa?” e mi ha lasciato li con i miei pensieri.


7 Febbraio

Strano animale davvero, la iena. Si nutre di carogne, è capace di mangiare il suo sterco e persino le sue budella, e questa notte mi sono svegliato di soprassalto udendo il suo urlo sghignazzante: ecco, forse a una bestiaccia così immonda sparerei volentieri anch’io, come ha fatto quella volta Mister H.
Ci rimangono solo tre giorni per cacciare, perché le piogge muovono sempre più a nord dalla Rhodesia e a meno di essere disposti a rimanere qui fino alla fine delle piogge, bisogna portarsi perlomeno a sino a Babati o a Kondoi, prima di trovarci in mezzo.
Dice mister Wilson che il 9 Febbraio è l’ultimo giorno buono per partire.
Mister Wilson non mi va a genio, invece mi piace un sacco questo Mister H: ha qualcosa di magnetico nello sguardo e sono convinto che mi farebbe bene frequentarlo.
Mentre ci incamminavamo verso i camion, accompagnati dai portatori, gli ho parlato apertamente
“Io non so se sarei capace di sparare a un nusbari così, a sangue freddo, e poi di rimanere lì a guardarlo morire.”
“Deve solo provarci, amico. Deve farlo, almeno una volta, e solo dopo potrà dire che cosa è stato veramente, cosa ha cambiato, in lei, il fatto di avere messo a segno un colpo.”
“Lei dice?”
“Guardi Mister Wilson: ha accumulato tanti trofei da non riuscire a contarli e ancora non è stanco di sparare a qualsiasi cosa si muova.”
“Sì, in effetti è vero. Mister Wilson è un grande cacciatore, e deve essere anche una persona di grande valore: mi diceva che ha frequentazioni importanti nell’alta società di Londra…”
“Io, se fossi in lei, non mi lascerei impressionare da questo.”
“Lei dice, Mister H?”
“Dico che è sbagliato giudicare un uomo dalle persone che frequenta. Giuda, per esempio, aveva degli amici irreprensibili.”
Sono convinto che Mister H. sia uno scrittore. Ama più ascoltare gli altri che parlare, osserva tutto con estrema attenzione e quando guarda qualcosa, il paesaggio, gli altri cacciatori, gli animali, lo fa con una luce strana negli occhi, come se l’impressione che ne riceve fosse in grado di cambiarlo, di modificare il suo essere.
A parte il fatto che lo vedo sempre più di frequente prendere appunti sul suo taccuino dalla copertina nera legata con un elastico sottile, ho l’impressione che riviva più volte, con gli occhi della mente, gli avvenimenti della sua giornata, come se tutto ciò che gli accade avesse una importanza enorme, per lui.
Oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno” mi ha detto mentre abbandonavamo la strada per addentrarci nella macchia “ma ciò che lei farà in tutti i giorni che verranno dipende da quello che farà oggi.”
Penso che si riferisse alla caccia, in particolare ai dubbi che gli avevo espresso sulla mia capacità di sparare a un essere vivente così, a sangue freddo.
Comunque sia, è una frase che fa riflettere, e io ci sto rimuginando su da un bel po’ di tempo, ormai, mentre cammino nella foresta tenendo la canna del mio fucile appoggiata sull’avambraccio.
Ho deciso: la prossima volta che mi accadrà di avvistare un nusbari non starò tanto li a pensarci su:
non dovrò fare altro che inquadrarlo nel mirino e premere dolcemente il grilletto.
Il resto del lavoro lo porterà a termine il mio Remington.


8 Febbraio

Domani leviamo l’accampamento e partiamo.
Le piogge si stanno avvicinando molto più rapidamente di quanto fosse nelle previsioni.
Dice Mister H. che se annusi l’aria ne senti l’odore, che le puoi vedere venire avanti come disegnate su una carta geografica.
Questo che brilla stasera davanti alle nostre tende è l’ultimo fuoco acceso sul nostro Safari.
I portatori si sono radunati poco lontano dalla radura che ospita le tende, danzano e cantano in un modo che non avrei mai immaginato, seguendo quello che sembra un rituale gioioso e macabro allo stesso tempo.
Oggi Mister H. ha abbattuto un leone.
L’ha colpito vicino al fiume, in un tratto di savana dove l’erba era più bassa, trapassandogli la schiena da parte a parte con un colpo solo del suo 450 P2, e ora i portatori stanno dando vita a una specie di rito espiatorio sulla carcassa dell’animale, mentre noi conversiamo attorno al fuoco.
“Come è andata?”
La domanda di Wilson sembra quasi infastidire Mister H., che chiude il suo taccuino e comincia a raccontare, ma di malavoglia.
“Avevamo finito di attraversare un terreno piatto e boscoso, ed eravamo arrivati all’estremità della pianura, dove c’era solo qualche cespuglio e della sansevierie, quando abbiamo udito una tosse profonda, roca. Ho cercato con gli occhi il mio portatore: lui ha detto “Simba” e non sembrava per niente soddisfatto.
Wapi? gli ho sussurrato, dove? e lui ha fatto segno con la mano verso un isolotto di ispidi cespugli verdi. Mentre avanzavamo lentamente, cercando di vedere qualcosa attraverso la sansevieria, il portatore dava segni sempre più evidenti di nervosismo. “No” mi sussurrava impaurito “hapana, buana!” Era evidente che non gli andava affatto a genio che stessimo inseguendo un leone così da vicino.
Doveva essere il leone che avevamo sentito ruggire la mattina presto, uscendo dall’accampamento.
Noi avanzavamo e lui continuava ad allontanarsi lentamente; non riuscivamo a vederlo ma ne sentivamo la solita tosse roca e, più avanti, il brontolio sordo, profondo, impressionante.
Mentre noi lo inseguivamo il leone si allontanava, ma con lentezza. Evidentemente gli dispiaceva muoversi. Forse stava mangiando quando l’abbiamo sentito ruggire il mattino presto, e adesso stava riposando.
C’era una termitiera, davanti a noi; la scalammo, e dalla cima io mi guardai intorno.
Il leone era là, acquattato fra l’erba alta, un bellissimo esemplare di maschio con una folta criniera fulva. Sapevo di avere un colpo solo a disposizione, e che dovevo mirare al collo, per ucciderlo sicuramente. L’ho tenuto inquadrato per qualche secondo, fisso nel mirino e quando ha girato la testa da un lato, pigramente…”
“Ben fatto, Mister H.! Ben fatto!”
Non mi piace, questo Wilson, non mi piace per niente.
E’ vanitoso e strafottente, arrogante, pieno di sé fino alla boria, e per di più anche molto maleducato.
Non si interrompe in quel modo, proprio sul più bello, qualcuno che sta portando a termine un racconto così interessante.
“A me è andata anche meglio, sapesse!” ha continuato Wilson, impudente “Ho beccato sei kudu belli grossi, e una antilope che era una meraviglia! Una antilope, sei kudu e due kobo, e tutti centrati in pieno! Ah, lo Springfield: che arma!”
Mister H. sembra non reagire allo sgarbo; non si arrabbia, non si altera, non protesta nemmeno.
Mi guarda con quel suo sorriso triste, e un’aria di disapprovazione che, almeno questa, condivido con lui, e che entrambi sappiamo bene a chi è diretta.
“E il prossimo…” continua Wilson sempre più eccitato e tronfio “… il prossimo è un rinoceronte: giuro che non mi scappa, quanto è vero Iddio! Il rinoceronte mi manca! E’ un vero peccato che si debba levare il campo domani, e partire: se fossimo rimasti anche solo un altro giorno, sono sicuro che…”
Mister H. deve essersi stancato del blaterare vanaglorioso di Mister Wilson, perché non lo ascolta nemmeno più; scrive in fretta sul suo taccuino, smettendo di prendere appunti solo di tanto in tanto, giusto il tempo che gli serve per mandare giù una lunga sorsata di whisky.
E’ uno scrittore, ora ne sono sicuro. A cena l’ho sentito che parlava con Mrs. Garrick, la moglie di un cacciatore Inglese che si è aggregato al nostro gruppo all’ultimo minuto, e discutevano, appunto, di scrittori; li ho sentiti che nominavano Flaubert, Stendhal, Dostoievskij.
Dostoiewskij fu forgiato dalla Siberia” ha detto Mister H. alla bella signora “Gli scrittori si forgiano nell’ingiustizia come si forgiano le spade.”
Chissà cosa voleva dire.
Comunque sia, anch’io sono stanco di sorbirmi le fanfaronate di Wilson, e sto per andarmene nella mia tenda quando lui si rivolge proprio a me, con fare quasi irridente.
“E lei, Aldous: non ha niente di interessante da raccontarci?”
E’ la prima volta che si rivolge a me chiamandomi per nome: in dodici giorni non lo ha mai fatto, mai una volta, nemmeno per sbaglio.
“Possibile che in quasi due settimane di Safari lei non abbia avuto l’occasione, non dico di fare una cattura, ma nemmeno di sparare un colpo? Con tutto il ben di dio di selvaggina che scorrazza per il paese?”
Mi mette a disagio, questo stupido inglese borioso; non che io mi senta inferiore a lui, ma è il modo che ha di apostrofarmi, come se fosse sicuro che da ciò che gli rispondo avrà la conferma che io, rispetto a lui, non valgo niente.
“Non vorrà dirmi che si riduce a tornarsene a casa senza nemmeno un trofeo?”
Cerco lo sguardo di Mister H, quasi per averne una rassicurazione, ma lui continua a scribacchiare sul suo taccuino e a bere whisky, apparentemente disinteressato ai nostri discorsi.
“Ecco, io… in effetti proprio stamattina ho preso…”
“Un rinoceronte?” mi interrompe malamente Wilson “Non sarà che proprio lei che non ha mai sparato un colpo mi soffia la preda più ambita, e proprio l’ultimo giorno di Safari!” e sbotta a ridere in una risata fragorosa, smodata.
Una risata maligna.
Da iena.
“No, no. Ma che rinoceronte! Ecco, io volevo appunto dire… stamattina, vicino a una pozza d’acqua sul limitare della radura, ai piedi delle colline… ho preso due nusbari!”
Mister H sospende per un attimo di scrivere, e rimane lì ad ascoltarmi attento, con il suo taccuino aperto fra le mani; è proprio a lui che ho parlato diverse volte dei nusbari, in questi giorni, e dei dubbi che mi assalivano ogni volta che ne avvistavo uno.
“Due nusbari?” mi chiede Mister Wilson, come se cadesse dalle nuvole. “Mai sentiti nominare in vita mia! Si può sapere cosa sono, questi nusbari?”
Nell’attimo stesso in cui sto per rispondere capisco che non avrei dovuto farlo.
Voglio dire, di scaricare loro addosso la carabina, di centrarli mentre stavano cercando di fuggire nascondendosi nell’erba alta. D’altra parte, questo ultimo periodo della mia vita è stato tutto uno sbaglio: ho sbagliato a lasciare Jenny, a partecipare a questo Safari, a sparare addosso a quegli esseri spaventati che sono sbucati fuori dai cespugli all’improvviso, stamattina.
Guardo Mister H. che da parte sua mi scruta incuriosito, come se mi vedesse per la prima volta, e mi viene in mente quello che mi ha detto nel corso della prima cena che abbiamo consumato insieme durante il viaggio che ci ha condotti qui, in questo remoto meraviglioso fazzoletto di Africa: “Dobbiamo abituarci all’idea: ai più importanti bivi della vita, non c’è segnaletica.”
“Sì, Aldous, ce lo dica, sono curioso anch’io: che razza di animali sono questi nusbari?”
“Non lo so nemmeno io, o almeno non sono sicuro di saperlo. Sono fatti in modo strano, piccoli e neri; spuntano fuori all’improvviso dai cespugli, terrorizzati, agitano le braccia come degli ossessi e non fanno che gridare Nusbàri, nusbàri!!”

9 Febbraio

Leviamo l’accampamento, oggi si parte.
Un po’ mi dispiace, perché cominciava ad appassionarmi questa cosa della Caccia Grossa.
Ieri sera, quando ho finito di raccontare dei nusbari, Mister H. è rimasto per un attimo come paralizzato, poi ha chiuso di scatto il suo taccuino dalla copertina nera, lo ha assicurato con l’elastico e se lo è infilato nella tasca anteriore della giubba da cacciatore.
Si è alzato dalla sedia e se ne è andato senza dire una parola.
E’ stato un vero peccato perché mi avrebbe fatto piacere scambiare quattro chiacchiere con lui, prima di andare a dormire.
Mi sarebbe piaciuto, per esempio, chiedergli dei pigmei, se è vero che non sanno come accendere il fuoco, così lo tengono costantemente acceso, trasportando durante gli spostamenti dei tizzoni di brace all’interno di certe pignatte di terracotta.
E poi, volevo metterlo a parte di un dubbio, di una domanda che mi è venuta in mente pensando alle cose interessanti che mi aveva raccontato, lui che è scrittore, della iena.
La iena, appunto, questa bestia che, dicono, viva in solitudine e abbia l’abitudine di accoppiarsi una sola volta l’anno, che si nutre di carcasse e mangia il suo sterco, che è persino autofaga e capace di divorare le sue proprie budella; fetida, sporca, Fisi la iena che riempie il silenzio della notte con la sua oscena, agghiacciante risata, un animale che fa una vita così, io davvero me lo chiedo: cosa avrà mai da ridere?
Mah!

giovedì 22 dicembre 2011

Storie dell’Altrove, con ricordo di Ricciardelli a Solofra 14 gen 2012

Centro Studi “Pascal D’Angelo”, Edizioni Il Grappolo, 2011


dr. Vincenzo D’Alessio & G.C. “F.Guarini”

L’emigrazione appartiene all’essere umano dalla sua comparsa su questo azzurro pianeta. Dal Paleolitico fino al Neolitico le famiglie degli uomini seguivano le grandi mandrie nelle loro migrazioni estive. Poi nacque la stabilità e le civiltà accanto ai grandi corsi d’acqua. Infine la scrittura segnò il passaggio dalle civiltà degli oggetti in selce a quelli della parola, della memoria. Uno spartiacque giunto fino a noi nella sua totalità di energie.
Con il tempo l’emigrazione ha significato anche allontanamento,separazione dai luoghi e dai propri cari, maggiormente presso le popolazioni meno abbienti. Quasi sempre a seguito di carestie, malattie, mancanza di lavoro. In ogni continente è quasi sempre il Sud a pagare questo contributo in modo più alto. Lo testimoniano i grandi romanzi, le poesie, i musei dell’emigrazione che sorgono un poco dovunque.
Per non dimenticare, e conservare nomi e avvenimenti, sorgono anche Centri Studi che riportano fedelmente gli accadimenti legati alle emigrazioni e ai nuovi immigrati, provenienti dai flussi di popolazione vittime di guerre, carestie, persecuzioni. Si deve all’amore sincero del dottore Antonio Corbisiero il sorgere, nella città di Mercato San Severino, del Centro Studi “Pascal D’Angelo”, fondato nel 2001, presso la Casa Editrice “Il Salice”, esistente dal 1981.
L’agile volumetto Storie dell’Altrove, vede la luce in occasione del decennale del Centro, svoltosi nel Palazzo di Città di Mercato San Severino, il 2 dicembre di quest’anno, alla presenza di studiosi del fenomeno, studenti dei locali plessi scolastici, autorità civili e religiose; con  interventi del chiarissimo prof. Francesco D’Episcopo e del giornalista e scrittore Clodomorio Tarsia. L’evento  è stato patrocinato tra l’altro dalla stessa amministrazione cittadina.
Nel volumetto colpisce, tra i vari contributi sull’emigrazione, la testimonianza inedita sul chiarissimo professore monsignore Michele Ricciardelli (1923-2000), del professore  e poeta Luigi Fontanella, docente presso la Stony Brook University  of  New  York, dal titolo Per Michele Ricciardelli. Sia Luigi Fontanella che don Michele Ricciardelli hanno contribuito, come letterati, alla formazione dei giovani studenti presso quest’ultima università di Stato. Fontanella non ha mai incontrato di persona don Michele, così testimonia nel suo articolo, ma si sono sentiti spesso al telefono: “Ricciardelli fu molto gentile con me, benché il tono della sua voce fosse, come dire?, “basso” e poco incoraggiante. Vi avvertivo una certa severità e fra l’altro ignoravo del tutto che egli aveva abbracciato la carriera ecclesiastica.”
Questo episodio riportato da Fontanella nel suo scritto combacia perfettamente con un altro episodio di cui sono stato testimone: nei giorni 13 e 14 ottobre 1989, a Pescara, si svolse un convegno internazionale sul tema: “D’Annunzio e i poeti di oggi”, organizzato dal poeta Benito Sablone, in quella occasione viaggiavamo nella navetta che ci portava dall’Università di Pescara all’albergo, capitai accanto alla poetessa Maria Luisa Spaziani, mentre monsignore Ricciardelli sedeva accanto a Piero Bigongiari, più avanti. Lei con molta cortesia mi chiese se don Michele fosse un sacerdote cattolico, le risposi di sì. Infatti era incuriosita da don Michele che vestiva un abito grigio, camicia e colletto, e la croce dov’era l’occhiello della giacca.
Certamente la poetessa Spaziani conosceva di nome don Michele e la rivista «Forum Italicum» ma non era a conoscenza che fosse un sacerdote cattolico. Continua Fontanella nel suo scritto: “Essenzialmente schivo, Ricciardelli mi suggeriva l’immagine di un uomo d’altri tempi, con una sua dirittura morale che egli aveva saputo ben coniugare con l’attività di docente, di religioso e di solerte direttore editoriale.” 
Quanto ha sentito Fontanella allora in don Michele l’aveva intravisto anche il grande filologo Antonio Altamura, quando nel 1966 presentò il  volume L’Arcadia di Jacopo Sannazzaro e di Lope De Vega (Fausto Fiorentino Editore-Napoli), che avvicinò  la figura del Nostro a quella del “Giovane Sincero” personaggio principale dell’opera del Sannazzaro, “per virtù e desiderio di un’era d’amore”.
Don Michele ripeterà sovente questa invocazione  in tutti quei libri che hanno visto la luce durante la sua permanenza in Solofra dopo il terribile sisma del 1980, riconoscendo alla memoria collettiva il valore essenziale di “bene comune” fondato sul “fare” della famiglia e degli antenati. Lo si rileva nella dedica, apposta al volume Writings on twentieth century italian literature, Collana Fililibrary, n.3, 1992 che recita: “In memory of / my father, my mother, my nephew and of Antonio”.
Il prossimo 14 gennaio 2012 in Solofra, professori di chiara fama giungeranno dagli Stati Uniti e dall’Università degli Studi di Salerno, tra questi Fontanella, per commemorare la figura schiva e di grandissimo spessore morale di don Michele, che è stata in mezzo ai suoi compaesani, spesso incompresa. Un letterato di vasta cultura e un sacerdote amorevole e sincero con se stesso e con Gesù che l’aveva scelto quale suo pastore.
 

venerdì 16 dicembre 2011

Vi segnaliamo che lo studio Enea a cui il quotidiano La Stampa sta dando  risalto in queste ore si sofferma sulle fibrille di lino e cheun libro del 2008 co-firmato dalla sottoscritta e dall'esperto Marco Fasol (vedi sotto)

già affermava le evidenze ora certificate dallo studio Enea.

Siamo lieti, che pur con difficoltà, si aggiunga un nuovo tassello alle ricerche di questi

ultimi 30 anni, consapevoli che la Scienza non può spiegare "il" Mistero.
Corona Perer

direttore Giornale SENTIRE

**


Ora è uno studio dell'Enea durato 5 anni a dire che non può trattarsi di un falso il telo della Sindone



Sindone, le ultime novità

(Torino 15 dicembre 2011) - Alla notizia ha dato grande rilievo il quotidiano La Stampa: la Sindone "non è" un falso medievale. L'agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile, ha pubblicato infatti in questi giorni un rapporto sui cinque anni di esperimenti svolti nel centro Enea di Frascati sulla "colorazione simil-sindonica di tessuti di lino tramite radiazione nel lontano ultravioletto".
Risultato: cercando di capire come si è impressa sul telo di lino della Sindone di Torino per "individuare i processi fisici e chimici in grado di generare una colorazione simile a quella dell'immagine sindonica" si è arrivati ad una doppia conclusione tra mistero e certezze: la prima è appunto l'inspiegabilità scientifica, l'altra (la certezza) che la Sindone "non" è un falso.

Al lavoro è stata occupata una task-force composta dagli scienziati Di Lazzaro, Murra, Santoni, Nichelatti e Baldacchini, partiti dall'esame completo del lenzuolo, compiuto nel 1978 dagli scienziati americani dello STURP (Shroud of Turin Reasearch Project) i quali misero in luce le lacune del lavoro compiuto dai colleghi all'epoca impegnato nell'esame al radiocarbonio 14. Il rapporto dell'Enea analizza in particolare le fibrille di line e smentisce con chiarezza, l'ipotesi che la Sindone di Torino possa essere opera di un falsario medievale. L'ipotesi è stata avvalorata - contro molte argomentazioni di peso - dall'esito delle discusse, e probabilmente falsate - misurazioni al C14.
Di queste lacune riferiva ampiamente il libro L'uomo della Sindone, un'immagine tra scienza e mistero scritto da Marco Fasol e Corona Perer (Ed. La Grafica). Il libro uscì poco dopo la notizia la BBC che in un documentario del marzo 2008 riportava l'intervista degli scienziati di Oxford i quali ammettevano "forse ci sono stati degli errori".
In questi 20 anni la ricerca non si è mai fermata e sono passate nel silenzio le scoperte di archeologia botanica fisica e chimica, scienze che - ciascuna per il proprio ambito - hanno concorso a mettere in fila almeno dieci prove a favore dell'autenticità della Sindone. Tali ricerche fanno risalire il reperto al I° secolo d.C.

> La ricerca Enea (per chi vuol approfondire)
> Leggi l'introduzione di Marco Fasol
> Leggi la premessa di Corona Perer
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> LA SINDONE, viaggio verso il mistero
Il libro "L'uomo della Sindone, un'immagine tra scienza e mistero"  è edito da La Grafica (Mori) .
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Aut Trib. Rovereto 274/ ottobre 2007
direttore responsabile Corona Perer
direttore@giornalesentire.it
Edizioni EDISENT info@giornalesentire.it

lunedì 12 dicembre 2011

Stella splendens 18 dic





Domenica 18 dicembre 2011 alle ore 21,00 presso la Chiesa GESU’ Nostra RICONCILIAZIONE di Rimini (Via della Fiera n. 72), il CORO POLIFONICO JUBILATE DEO, presenta un concerto di musiche natalizie intitolato:
“STELLA SPLENDENS”.
La serata, ad ingresso libero, è inserita nel circuito RIMINI IL CAPODANNO PIU’ LUNGO DEL MONDO ed e’ organizzata dall’ASSOCIAZIONE CORALE POLIFONICA JUBILATE DEO con la collaborazione di sponsor privati e con il prestigioso patrocinio congiunto della REGIONE EMILIA ROMAGNA, del COMUNE DI RIMINI  e della PROVINCIA DI RIMINI.
L’ormai tradizionale appuntamento musicale, ispirato dall’evento del Natale, coglie gli aspetti piu’ suggestivi e poetici della venuta del Cristo attraverso la magia di stupende pagine musicali.
Dolci note che approfondiscono il messaggio religioso, melodie che ci accompagnano fin dall’infanzia, capaci di riscaldare il cuore in quello che è il periodo più magico dell’anno.
Musiche antiche, melodie remote, voci, strumenti, canzoni conosciute e nenie popolari per un cordiale augurio di pace e serenita’.
Il concerto STELLA SPLENDENS comprende pagine vocali di epoche e stili diversi, dal medioevo ad oggi, legate da un sorprendente filo rosso di commozione e di fascino.
Particolarmente gradevole la scelta di esecuzioni ispirate alla tradizione popolare italiana ed internazionale, dove l’utilizzo di melodie molto conosciute permette alla polifonia di toccare le corde piu’ intime anche di coloro che si accostano per la prima voltra ad un concerto corale.
Il Coro Jubilate Deo e’ stato fondato nel 1985 ed opera presso la Chiesa Gesù nostra Riconciliazione di Rimini. E’ formato da venticinque coristi, divisi nelle quattro voci principali e si occupa esclusivamente di musica sacra.
In questi anni ha realizzato una notevole quantita’ di concerti e liturgie sacre sia a Rimini che nelle principali citta’ italiane, collaborando con altre realta’ corali od orchestrali anche in rassegne internazionali.
In particolare si e’ esibito a Roma, Bologna, Vercelli, Pavia, Torino, Venezia, Urbino, nel Duomo di Milano, nelle Basiliche di Loreto, Cascia, Assisi, Tolentino, ecc, ha avuto inoltre l’alto onore di cantare in San Pietro, alla presenza del compianto Papa Giovanni Paolo II.
Dal 1988 e’ diretto dal M° Ilario Muro.
Per informazioni: 349/0640697.  Sito internet: www.jubilatedeorimini.it

Parola & Immagine 12

«Un anno di grazia del Signore»


Praga. Fotografia di Jan Jindra

In modo del tutto appartato, quasi impercettibile, in queste ultime
ore giunge al suo compimento l’anno liturgico. Per singolare
paradosso l’estremo confine delle stagioni in cui celebriamo giorno
dopo giorno gli eventi che stanno a fondamento della nostra salvezza
in Cristo è quasi del tutto ignorato. I più sono ormai costretti a misurare il
tempo e lo scorrere degli anni solo nella scansione fredda e lineare dei
calendari, album spesso raffinati di variopinte e seducenti immagini, ma di
fatto repertori di giorni identici e provvisori come lo è il nostro senso del
tempo. Il nostro, infatti, è ormai un tempo privo di qualità perché spesso
sazio e saturo di tutto fuorché di speranza e di apertura ad un compimento
ragionevole e definitivo. Una simile e certo sconsolante diagnosi non ci è
stata proposta da autorevoli organismi ecclesiali ma da un osservatore tutto
laico e civile quale il Censis che un anno fa nel suo 44° Rapporto sulla
situazione sociale del Paese poteva scrivere: «nel Paese sono evidenti
manifestazioni di fragilità sia personali sia di massa, comportamenti e
atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattivi,
prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza
profondità di memoria e di futuro». In sostanza «siamo una società
pericolosamente segnata dal vuoto, visto che ad un ciclo storico pieno di
interessi e di conflitti sociali si va sostituendo un ciclo segnato
dall’annullamento e dalla nirvanizzazione degli interessi e dei conflitti».
Gli italiani soffrono di un vero e proprio «calo di desiderio» che si
manifesta in ogni aspetto della loro vita: appagati i traguardi che ci si
prefiggeva in passato ci si confronta oggi con la frenetica rincorsa ad
oggetti «in realtà mai desiderati». «Tornare a desiderare – fa notare il
Censis – è la virtù civile necessaria per riattivare una società troppo
appagata ed appiattita».
Impressiona doverci riconoscere in un ritratto sociologico così estraneo
alla fisionomia proposta dall’antropologia cristiana e d’altro canto l’aridità
di un simile paesaggio sociale e culturale dovrebbe riattivare in noi
credenti in Cristo una più profonda e responsabile coscienza della
centralità della memoria, della speranza e del desiderio in ordine ad una
esperienza del tempo finalmente evangelica: dono affidabile di Dio dentro
al quale ci è data la possibilità di misurare la sua provvidente fedeltà alla
storia dei nostri giorni e al suo progetto per la vita di ciascuno di noi. In
quel silenzioso orologio architettonico del desiderio, della memoria e della
speranza che è la Certosa di Serra San Bruno, poche settimane fa Papa
Benedetto aveva spiegato a quei monaci solitari che «in questo consiste la
bellezza di ogni vocazione nella Chiesa: dare tempo a Dio di operare con il
suo Spirito e alla propria umanità di formarsi, di crescere secondo la
misura della maturità di Cristo, in quel particolare stato di vita. In Cristo
c’è il tutto, la pienezza; noi abbiamo bisogno di tempo per fare nostra una
delle dimensioni del suo mistero». In effetti, solo la riscoperta umile e
realistica che noi portiamo un deficit di pienezza ancora da colmare ci
potrebbe restituire il desiderio responsabile e creativo di guardare al
futuro come possibilità di crescita, di maturazione e magari di
compimento. Corrisponde a questa esperienza personale proprio l’inizio
dell’anno liturgico che ben diversamente dai congestionati capodanni del
mondo civile, ci invita a riscoprire e a patire un’assenza, un vuoto e una
mancanza che le nostre presuntuose e malferme sicurezze materiali e
ideologiche troppe volte censurano e che invece solo un cuore vigilante,
abitato dal desiderio e proteso al futuro di Dio sa finalmente riconoscere
come la ragione estrema di quel grido che da sempre è l’incessante
invocazione della Sposa, la Chiesa, al suo Signore: «Vieni, Signore Gesù»,
memore di quanto egli stesso, rassicurante, le ha risposto: «Sì, vengo
presto» (Ap 22,20). Nel frattempo si dà lo svolgimento dei nostri giorni:
finalmente fondati sulla memoria della prima venuta del Signore Gesù a
Bethlemme e orientati dalla speranza che germoglia nella promessa
affidabile del suo ritorno alla fine dei tempi, questi possono tornare ad
essere i giorni in cui torna percepibile nelle strade del mondo il «lieto
annunzio» di Gesù a Cafarnao, inviato dallo Spirito «a proclamare ai
prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli
oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19). Saprà
dunque testimoniare la nostra vita che con questo Avvento inizia davvero,
per noi e per tutti, un «anno di grazia del Signore»?

Bernardo, San Miniato al Monte
Dicembre 2011
lectio.divina@gmail.com

lunedì 5 dicembre 2011

Anima d'Autore su Icaro TV

Anima d'autore su Icaro TV: Caterina Camporesi – Alex Celli – Ardea Montebelli – Claudio Roncarati – Andrea Parato – Anna Maria Tamburini – Vincenzo Celli – Annalisa Teodorani – Narda Fattori – Fabio Cecchi – Enrica Musio – Guido Passini – Elvis Spadoni – Stefano Bianchi – Isabella Leardini – Davide Brullo – Alessandro Rivali – Stefano Maldini – Roberto Borghesi – Giovanni Fighera

visiona le puntate:
www.icaro.tv/anima-d-autore

Grazie di cuore a tutti gli Autori, ai dirigenti e ai tecnici di Icaro TV e Bottega Video (Mirco Tenti, Stefano Sammaritani e tutti gli altri collaboratori) e alla empatica e professionale conduzione di Simona Mulazzani!

Su AA.VV., Il valore del tempo nella scrittura

a cura di Alessandro Ramberti, Fara Editore, 2011
recensione di Vincenzo D'Alessio
Il nuovo percorso temporale ha avuto inizio undici anni fa: nuovo perché l’Umanità ha bisogno di un passato, del presente e del futuro, da vivere. Ha necessità di fissare i propri ricordi in formule scritte, foto, video. Uno dei modi più belli, e qualche volta vanitoso, di fissare le memorie sono i libri: fogli di carta assemblati in sequenza, con un inizio e una fine, di contenuto vario. Il libro è divenuto nel corso dei secoli il simbolo del Sapere, della conoscenza, della rivelazione, della Cultura di una popolo.
L’Antologia Il valore del tempo nella scrittura, curata dall’editore-poeta Alessandro Ramberti di Rimini, assurge a questo compito: tramandare le azioni, le voci, i pensieri, degli uomini e donne che si sono ritrovati in un luogo, Fonte Avellana, sacro perché consacra le memorie di chi l’ha fondato e abitato, rinnova lo Spirito creativo perché ispira, agli uomini chiamati, oggi, ad abitarlo (seppure momentaneamente) nel profondo senso osmotico tra energia “Naturale” ed “Energia di ogni  Essere Vivente”.
Questa operazione, di affidare  alle pagine di un libro le singole energie del pensiero, diviene una elaborazione spazio/temporale che si va a sommare alle energie assenti che hanno preceduto il pensiero umano nelle  aspirazioni verso l’IO cosciente.  Scrive in tal senso il Curatore dell’opera nella presentazione: “Il tempo è lo spazio della nostra libertà e la scrittura un modo di incapsularlo in messaggi il cui valore dipende da lettori partecipi che in tali messaggi riscontrino bellezza e verità.”

La metafora contenuta nella frase riportata propone alla mente l’oceano immenso e la bottiglia contenente il messaggio scritto, da uno sconosciuto, affidato al tempo e allo spazio immenso degli eventi naturali. Parallelamente l’oceano è l’Umanità e il pensiero/messaggio del singolo, proposto (attraverso la parola scritta) al lettore partecipe  rivela, e trasmette, l’identità dello sconosciuto scrittore del messaggio al resto dell’Umanità.
Questa Antologia è la trasmissione scritta del coro di voci che intendono affidare il loro pensiero ad una Umanità attenta allo scorrere del proprio tempo. Spicca, in questo coro, una voce solista: l’assolo! – che più di ogni altro rappresenta l’errare, in forma d’anima incapsulato in un corpo, dell’energia che conduce l’essere per la strada del vero attraverso la parola. Un eremita in seno ad un eremo, dove altri si sono soffermati alla fonte Avellana per dissetare lo spirito, egli ha incontrato altra arsura alla sua sete.

Scrivo di Massimo Sannelli  uomo di lettere, compreso in questa Antologia, che con il suo scritto ha donato al testo la sagacia del filosofo, l’elegia del poeta, la valenza spazio/temporale della parola. Interprete, umile, del contributo paradigmatico chiesto ai convenuti a Fonte Avellana: “Il valore del tempo nella scrittura”. Il Nostro affronta il tema portando il suo contributo sull’opera immortale di Dante Alighieri, la Comedìa. Lo fa titolando il suo intervento “Le rane”. Torna alla mente la satira del Re Travicello, di Giuseppe Giusti: “piovuto ai ranocchi / io piego i ginocchi” e i Prolegomeni  della Batracomiomachia di Giacomo Leopardi. Scrive in tal senso Sannelli: “Ragazze e ragazzi. Fratelli. Amici, amiche. Siamo stati a Fonte Avellana, e qui ho trovato i miei – cioè i Suoi – spazi di silenzio” (pag. 257). Il vocativo, utilizzato dal Nostro, è una esortazione cronotipa di ciò che è stato nello spazio vissuto; del presente scaturito dagli eventi; della ricerca, incompiuta, di quel “Santo” che un giorno sarà “UNO”, Dio certo e uguale, per la Natura e per  gli esseri pensanti. Per i convitati al banchetto culturale di Fonte Avellana, Dante è lo spirito guida, il pensiero perturbante del silenzio circostante; degli spazi da far vivere con l’uso della Parola: unico strumento immortale di fronte al Tempo.
Scrive ancora Sannelli nell’intervento incluso nel testo: “Non sempre chi viene prima è più grande di chi viene dopo” (pag. 260). Il prima e il dopo del tempo non sono misure reali, sono sfere sensoriali immesse nel Kronos per evitare il Caos che circonda l’ultraterreno. Continua il Nostro nella stessa pagina: “Il precursore è fondamentale, ma non si eterna: se vive ancora, è perché il successore emerge e prevale.”
Ne consegue che questa Antologia è un anello della catena. L’esecuzione di un coro dove prevalgono delle voci, oggi antesignane, se domani ci saranno prosecutori del pensiero e della parola contenute: “Una difficile singolarità, che poi si fonde con il mondo largo:così Dante” (pag. 261).
È
questo un nuovo contributo letterario verso la conoscenza del percorso difficile verso la conoscenza del Vero. Una inesausta sete che Fonte Avellana ha cercato di dissetare, in chi legge, in chi crede, in chi ricerca, alle radici della Parola. Proprio come ha scritto Sannelli alla fine del suo intervento citando il filosofo genovese Raffaele Perrotta: “e so che senza le parole nelle parole la mia vita avrebbe da vivere una vita assai poco vigorosa” (pag. 262).