giovedì 30 settembre 2010

La società arcobaleno di Antonio Sciortino

di Antonietta Gnerre


Antonio Sciortino
Anche voi foste stranieri
L'immigrazione, la Chiesa e la società italiana
Laterza, 2010, 175 p., collana I Robinson

Anche voi foste stranieri. L’immigrazione, la Chiesa e la società italiana è il nuovo libro che il direttore di Famiglia Cristiana, don Antonio Sciortino, ha dato alle stampe, per la collana I Robinson di Laterza. Sotto la pelle del libro riemerge un’immagine importantissima del Vangelo di Matteo: “Ero forestiero e mi avete accolto”. Nel libro c’è l’esigenza di informare senza maltrattare la comunicazione, comprendendo che bisogna chiarirla senza banalizzarla. In questo libro ci siamo anche noi, la terra da cui i migliori sono quasi costretti a scappare. La terra onesta e malvagia, geniale e ottusa…la terra degli uomini che partirono con le valige di cartone. Gli immigrati, rileva don Sciortino, ripongono casi difficili, ma non sono il dilemma del nostro Paese. La parola, in questo libro, è distinta non solo dalla melodia esteriore, ma anche dalla religione interiore. Il fenomeno migratorio va controllato con una politica intelligente, nel rispetto della legalità e della sicurezza, ma anche dell’accoglienza e dell’integrazione. Il libro è permeato da tante storie che vivono e popolano differenti settori produttivi. Ma anche da drammatiche storie di sfruttamento, allontanamento e discriminazione.  
Sottolinea, don Sciortino Due Italie si contrappongono. A torto o a ragione. C’è chi soffia sul fuoco, alimentando paure e tensioni. Chi affronta il problema con superficialità. Quasi non lo riguardasse. Chi, di fronte a un immigrato, sbuffa infastidito. Sempre, e a prescindere. E chi, infine, capisce che una soluzione va trovata. Nell’accoglienza e nella legalità. La politica dello struzzo non paga. Non serve nascondere la testa nella sabbia. O girarsi dall’altra parte. Ma è deprecabile la chiamata alle armi per sbarrare il passo allo straniero. Anzi. È un terribile boomerang. Un’illusione. Crea ancor più problemi. Così il Paese arranca. Non andrà davvero lontano. Né basta imprecare contro lo straniero che ci ruba il lavoro, violenta le donne, svaligia le case e terrorizza interi quartieri. Accade anche questo, ma quanta enfasi su Tv e giornali quando di mezzo c’è l’immigrato”.
In opposizione a chi “soffia sul fuoco per alimentarlo”, don Sciortino ha condotto negli ultimi anni una vibrante e argomentata campagna di confronto sul settimanale che dirige, con forza e senza reticenze, campagna che ha provocato accese discussioni e attacchi anche violenti, per il modo chiaro e netto dei temi affrontati. In questo libro, don Sciortino, affronta anche i più difficili dei temi, come i matrimoni misti tra cattolici e musulmani, il proliferare delle moschee, il riconoscimento della cittadinanza italiana ai figli degli stranieri che nascono in Italia. Affronta anche i molti preconcetti come quello della criminalità prettamente collegata agli stranieri. “Non corrisponde al vero ad esempio – sottolinea Sciortino -  che l’aumento della criminalità è direttamente proporzionale all’aumento della popolazione straniera. Le due cose non vanno di pari passo. Dal 2001 al 2005, infatti, le denunce contro gli immigrati sono aumentate del 46 per cento, mentre la popolazione straniera è cresciuta del 101 per cento”. Le problematiche che lo scrittore narra, di cui sottolinea nel ricordo e nell’attesa, nel rimpianto o nella forza, diventano la materia di cui è fatta la speranza. Infatti, Sciortino afferma: “ Che l’Italia non può fare a meno, da subito, di programmare il proprio futuro assieme agli stranieri. In un clima di maggiore fiducia e stabilendo nuove relazioni.  La ‘società arcobaleno’, prossima ventura, ci sorprenderà. In meglio naturalmente”.  Un libro importante per viaggiare nel futuro dei colori, un libro per reggere il funzionamento di una nuova realtà.


Fragile a Gessate 8 ott


Dalla Commissione Biblioteca

Avete un tesoro nei vostri cuori, non lo buttate.
Non importa dove si fermerà l’ago della bilancia,
non importa quale taglia di jeans calzerà i vostri fianchi;
il valore più importante lo portate dentro di voi.

                               Laura Bonalumi, Fragile



La Biblioteca Comunale di Gessate presenta Fragile 
di Laura Bonalumi
Venerdì 8 ottobre 2010 – ore 21.00 
Villa Daccò  “Sala Matrimoni
Partecipano:
Laura Bonalumi
Lorenza Crippa, pediatra
Laura Gemmellaro, pediatra
Sabrina Marelli, psicologa

“Parlare di anoressia non è semplice. Non lo è per la delicatezza dell’argomento, non lo è perché una storia di anoressia è prima di tutto una storia di sentimenti e di umane emozioni. E non c’è nulla di più difficoltoso che raccontare emozioni.
Laura Bonalumi, ci è riuscita perfettamente in Fragile (Fara Editore), il racconto di Anna, sedici anni, anoressica, un’adolescenza segnata da un disagio inesprimibile e una fine quasi annunciata. Una ragazza comune che all’interno dell’Ospedale in cui è ricoverata, vive il suo calvario, più intimo che fisico, percorrendo le tortuose strade dell’esistenza. Ad accompagnarla è l’abbraccio di un angelo, “a metà strada tra certezza divina e dubbio umano.” Il risultato per il lettore è miracoloso. Forse perché non crediamo negli angeli. Forse perché avevamo bisogno di guardarci dentro più di quanto noi stessi pensassimo. Forse perché, come ricorda Stefano Martello nella Prefazione, “abbiamo un bisogno ancestrale di immaginare le nostre vite in mano a forze sconosciute che ne guidino il corso…”.
“Fragile” non è un racconto qualunque. Non è pagine e pagine di cronaca e di luoghi comuni, né di analisi, di ragioni, di colpe e di scuse. E’ un percorso nella propria anima attraverso l’anima di Anna. E’ il suono di un grido struggente e acuto che silenziosamente arriva dritto al cuore. E ci fa riflettere. Tutti. Sui nostri bisogni, sulle nostre paure, sulla nostra difficoltà ad esprimere i sentimenti, sulla “nostra” fragilità.
Chi si avventura nella lettura non può restare indifferente. Perché nessuno, ma proprio nessuno, può fuggire dai sentimenti e dalle emozioni. Ed è proprio di essi, prima ancora che della storia raccontata, che in questo libro ci sentiamo parte. Anna siamo noi. Le sue emozioni, i suoi pensieri, le sue paure le conosciamo così bene da afferrarle al volo, da prevederle persino.
Eppure le viviamo con l’intensità di chi le percepisce per la prima volta perché lei ci costringe a guardare oltre, a fissare lo sguardo proprio dove non vorremmo.
In quella direzione che avevamo cercato con tutte le nostre forze di sfuggire relegando la verità in un angolo del cuore, riducendo l’immenso spazio dell’anima in un angusto ripostiglio, trasformando l’amore in un valore così piccolo da essere sovrastato da un dolore negativo e distruttivo, che vince inesorabile su ogni buona volontà.
Ma qui a vincere è un bene esagerato che per una volta è più forte delle nostre resistenze.
E il miracolo si compie: vogliamo che Anna possa gridare finalmente il suo amore. Vogliamo sostenerla, entrare fisicamente nelle pagine del libro per invitarla a farcela. Vogliamo fortemente che Anna sia finalmente libera.
Perché è così che possiamo divenirlo anche noi: liberi di amare, liberi di chiedere aiuto, liberi di vedere oltre. Adesso sì che vorremo un angelo. E adesso, forse, qui c’è”.




[1] Ringraziamo di cuore Don Mariano Dotto, scrittore e sacerdote salesiano, per averci autorizzato a pubblicare la sua toccante recensione di “Fragile” apparsa ai primi di gennaio 2010 sul sito del progetto “Timshel”    (http://nuke.timshell.it/RecensioneFragile/tabid/128/language/en-US/Default.aspx).   Il progetto Timshel (dalla parola di origine ebraica che vuol dire “Tu puoi”) si inserisce in un protocollo di intesa tra il Ministero della Salute e il Ministero della Gioventù che ha come primario intento quello di promuovere iniziative di informazione e di comunicazione, volte a sensibilizzare la popolazione, e in particolare i giovani, sulla rilevanza di uno stile di vita attivo e volte favorire un rapporto equilibrato con l’immagine corporea, tenuto conto delle implicazioni che la comunità scientifica ascrive ai fattori socio-culturali nell’insorgenza e nella diffusione, in particolare tra i giovani, dei disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia, obesità psicogena e altri disordini alimentari).

Concerto a S. Agostino, Rimini 1 ott

mercoledì 29 settembre 2010

News da Marco Guzzi

Carissime amiche e carissimi amici,

in queste settimane particolarmente affumicate da discussioni politiche davvero deprimenti, che otturano come tappi di fogna i canali della comunicazione di massa, pensavo al nostro bisogno straziante di tornare a qualcosa che abbia consistenza, che tocchi la nostra vita reale, i nostri corpi di carne. E ho pensato che dovremmo ripartire da domande estremamente semplici e dirette, domande “infantili”, del tipo: ma che cosa mi rende felice? Di che cosa ho veramente bisogno per essere più felice? Perché a volte sono tanto infelice e stanco e demotivato?

Nella sua poesia El remordimiento J. L. Borges scrive: “Ho commesso il peggiore dei peccati/ Che possa commettere un uomo. Non sono stato/ Felice”.
Ed è infatti proprio un peccato, anzi forse è il primo effetto di ogni peccare, e cioè di ogni nostro separarci dalla vita e dalla sua sorgente,  questo nostro sentirci infelici.
Direi che da almeno dieci anni io mi sento veramente in colpa soltanto quando non sono felice, l’infelicità mi sembra uno stato patologico di cui mi debbo liberare, uno stato da curare insomma, una distorsione della mia più vera natura, e quindi una gravissima mancanza, appunto un peccato.

A leggere le più avanzate ricerche psicologiche e sociologiche contemporanee pare che le nostre società, ricche e ipertecnologiche, siano molto più infelici di altre ritenute mille volte più povere e primitive. Forse questo apparente paradosso potrebbe condurci ad una fase di profondo ripensamento, a riporci cioè quelle domande semplicissime e perciò difficilissime che la nostra cultura della distrazione tende a soffocare.

Appunto: ma io sono felice? O almeno mi sto muovendo nella direzione di una crescita della mia felicità? Oppure di anno in anno sto sprofondando nella tristezza, nell’amarezza, e nell’alienazione? E cioè sto sbagliando totalmente mira?
E che cosa sono disposto a fare per essere più felice? Sono disposto a rinunciare a tanti progetti e immagini di me che si rivelino illusori e compensatori? a certi guadagni, ad una certa fama d’artista o di letterato, alla stima di qualche ambientucolo accademico o culturale o familiare? Sono disposto ad anteporre la mia felicità ad ogni surrogato di pseudo successo, potere, denaro, visibilità etc.? Oppure preferisco la corruzione mondana e i suoi cioccolatini avvelenati alla libertà del cuore?

Il tempo delle mezze misure mi sembra del tutto esaurito.
Questo mondo ci offre ormai soltanto portate dietro portate di sofferenza pura.
Dobbiamo deciderci per la direzione opposta, puntare tutta la nostra vita sullo 0, come a roulette, o tutto o niente: o Dio o il Niente.

Seneca nel suo dialogo sulla Vita felice, scrive che “Tutti vogliono vivere felici, ma brancolano nel buio quando si tratta di scoprire che cosa sia ciò che rende felice la vita”. E’ proprio questo brancolare nell’ignoranza d’altronde che acuisce la nostra infelicità. Tutte le sapienze della terra concordano nel ritenere che la causa fondamentale dell’infelicità umana consista proprio nell’ignoranza, che ci rende stolti e quindi ci induce a precipitare sempre più nei gorghi della sofferenza che produciamo noi stessi. Tanto che Agostino, nel De beata vita, arriva a decretare: “come ogni stolto è infelice, così è pur vero che ogni infelice è stolto”.
Forse è per questo che quando mi sento infelice mi sento anche un po’ in colpa…

Ma se con la nostra ignoranza continuiamo a produrre infelicità nei circoli viziosi della nostra mente accecata, in che misura una mente modificata dalla luce della conoscenza sarà in grado di produrre felicità?
Quali sono cioè i limiti del potere creativo umano, nel bene come nel male?
Che rapporto intrinseco sussiste tra liberazione della mente dall’ignoranza, creazione di una vita felice, e realizzazione del nostro destino personale?
In che senso Gesù dice che per chi ha fede “niente sarà impossibile” (Matteo 17,20)?
La fede, come stato divinizzato della coscienza, ci dona forse un potere creativo illimitato?

Non sono questi i quesiti idonei ad aprire una nuova stagione della civiltà umana?
Non siamo forse tanto infelici nelle nostre città opulente e frenetiche proprio perché non riusciamo a pro-creare le forme di vita, di lavoro, di arte, di cultura, di comunicazione di massa, di convivenza politica, che OGGI urgono in noi? Non siamo forse tanto infelici perché restiamo come paralizzati da strati di ignoranza e di presunzione che ci rendono incapaci di ricevere la luce creativa che pure OGGI invade la terra come un’enorme Onda Pentecostale? Non siamo forse tanto infelici in quanto, bloccati in questa sterilità, non riusciamo ad essere noi stessi, a scoprire la nostra vocazione, la nostra missione, ciò per cui siamo nati, e a vivere questo nostro destino in pienezza?


Vorrei perciò proporvi come Nuovo Video nel mio sito www.marcoguzzi.it, una conferenza davvero ampia e articolata, che tenta di approfondire proprio questi interrogativi vitali:

Liberare l'azione a Occidente
ISMO di Milano - 19 giugno 2010
La tonalità emotiva dell'inizio: l'entusiasmo e il coraggio

Anche i Gruppi Darsi Pace 2010-2011 verranno presentati con una conferenza incentrata ancora su questi temi

Realizzarsi
Possiamo creare la nostra felicità?


L’incontro è previsto per sabato 9 ottobre, alle ore 17.30, presso il Complesso Storico dei Domenicani a Roma, Piazza della Minerva n. 42.
Ed è ovviamente aperto a tutti.

Quest’anno svolgeremo 5 Corsi Regolari a Roma, presso l’Università Salesiana: la 1a annualità, la 2a, la 3a, l’Approfondimento, e il Corso Formatori.
La prima annualità sarà fisico-telematica, ci si può iscrivere cioè anche per seguire il Corso via Internet.
Le iscrizioni “telematiche” sono previste entro il 15 ottobre: marcoguzzi@surf.it
Ogni informazione la trovate nel sito www.darsipace.it
Il primo incontro del Corso di 1a annualità è previsto per martedì 26 ottobre.
L’appuntamento è nell’atrio dell’Università Salesiana, alle ore 17.45.

Vi informo inoltre che Darsi Pace è ormai anche su Facebook.
E siete tutti invitati ad iscrivervi:
http://www.facebook.com/profile.php?id=100001565315361#!/profile.php?id=100001565315361&v=wall


Il 30 settembre e il 1 ottobre terrò due incontri, dalle ore 9 alle ore 12, all’interno del Trimestre Sabbatico organizzato dall’USMI (Unione Superiore maggiori d’Italia), sul tema:

Cammini di liberazione interiore e di relazionalità


Il 2 di ottobre svolgerò invece, a Santa Marinella, un incontro con le Superiore Italiane delle Serve di Maria Riparatrici su

Come relazionarci ai laici e ai giovani
Per vivere ed estendere il carisma


Il 27 ottobre svolgerò poi una giornata di lavoro, all’interno del Seminario internazionale per le formatrici, organizzato dalle Figlie di S. Paolo presso la loro Casa Generalizia di Roma, sul tema:

L’io umano in trans-figurazione
Mutamenti del concetto di persona
dal punto di vista antropologico, psicologico, e sociologico


Il 30 ottobre prenderà il via una serie di 7 incontri, di “Itinerari di pace”, organizzati dalla Comunità Mariana – Oasi della pace, a Passo Corese, col tema:

La svolta spirituale del nostro tempo

Io parteciperò al primo e ad altri tre di questi incontri: per ogni informazione si può tel. a p. Luca 0765.488993.


Il 2 novembre sarò a Chitignano (Arezzo) per tenere un incontro con le delegate capitolari delle CLARISSE FRANCESCANE MISSIONARIE DEL SS. SACRAMENTO, sul tema:

Educareducandoci
La sfida educativa
 


Vi segnalo infine che a novembre partirà il Primo Master  in "Amministrazione del Bene Comune", organizzato dalla Fondazione Grandi e dall’Università Europea di Roma, e al quale parteciperò come docente.
Potete trovare ogni informazione nel seguente indirizzo, e credo che approfondendo gli intenti del progetto vi renderete conto dell’importanza innovativa e della rilevanza culturale di questa iniziativa che tenta di ridare all’azione pubblica lo spessore e la dignità che meriterebbero:

http://www.fondazionebenecomune.it/news.interna.php?notizia=5

Grazie di cuore del vostro ascolto e tanti affettuosi auguri di vivere ogni giorno proseguendo nella direzione della felicità vera, e cioè nella giusta direzione.

Marco Guzzi

martedì 28 settembre 2010

«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito»



Carissime amiche e amici di San Miniato al Monte,
«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito»:  intorno a questa definitiva esclamazione del Figlio appeso alla croce si struttura tutta la narrazione del mistero pasquale per come ci è raccontato dall’evangelista Luca. Qui allegati troverete finalmente i testi degli ultimi due incontri di lectio divina dello scorso giugno e luglio con cui ci siamo congedati prima della pausa estiva. La morte del Signore crocifisso e la successiva, sconcertante scoperta del sepolcro vuoto sono dunque gli avvenimenti in cui è dato di verificare la misura e l’efficacia della consapevolezza con cui Gesù il Cristo, nella narrazione lucana, sceglie di consegnare tutto di sé al Padre in un orizzonte amoroso e totale di obbedienza e di fiducia. Silenziosamente in marcia lungo i sette miglia che da Gerusalemme portano ad Emmaus ci prepariamo a rimetterci in ascolto di quel Signore che in itinere narra se stesso come vetta estrema nel lungo crinale della storia di tutto il popolo d’Israele e di quel Signore che indica nella Parola e nell’Eucaristia i segni, gli strumenti e i gesti in cui rinvenire ancora oggi le vive tracce salvifiche del Suo esserci. Tale scoperta ci riporterà assieme agli apostoli a Gerusalemme per avviare logiche nuove di testimonianza e di missione, peraltro in un movimento non dissimile da quello che dalla nostra collina di San Miniato al Monte abbiamo sempre osato proporvi in questi termini, certo rozzi ed elementari: salire per ascoltare e ridiscendere per operare. Così finalmente concluderemo la nostra lunghissima lectio dedicata al Vangelo di Luca e che ci ha visto impegnati tutti assieme per almeno quattro anni. A Brunetto e ad Alba che di queste letture hanno fissato per iscritto i contenuti e le suggestioni essenziali va tutta la nostra duratura riconoscenza, estesa anche a Paolo cui si deve la trasmissione elettronica, sempre più impegnativa, delle varie sintesi e comunicazioni.
Tuttavia prima di incontrare il Signore lungo la strada che separa Emmaus da Gerusalemme, io e Stefano cercheremo di intuirne la volontà in un importantissimo momento di vita fraterna della nostra famiglia monastica di appartenenza, la Congregazione benedettina di Santa Maria di Monte Oliveto.  Il riavvio dei nostri incontri di lectio divina, che saranno sempre il giovedì alle ore 18.40, sarà durante le iniziali settimane di novembre: prima infatti saremo a Monte Oliveto Maggiore per celebrare, con i superiori e i rappresentanti delle nostre comunità sparse nel mondo, il capitolo generale. Da sempre i nostri padri monaci, ispirati dalla ben precedente prassi sinodale degli abati cisterciensi, hanno ritenuto fondamentale lo svolgimento periodico, piuttosto frequente negli anni, di un incontro fraterno finalizzato a custodire e ad incrementare il dono teologale della comunione, ad interrogarsi circa la volontà del Signore in ordine ad una nostra più autentica narrazione monastica della novità evangelica e, infine, ad eleggere il nuovo padre abate generale e i suoi consiglieri, tradizionalmente chiamati definitorî. Il padre generale sarà chiamato, fra l’altro, a confermare nella nostra vocazione tutti i monaci olivetani, le sorelle monache, le moniales-oblates e le altre suore legate a Monte Oliveto, per un abbraccio sempre più intenso fra le nostre vite e Cristo Signore, Sposo della Chiesa. Vi apparirà pertanto chiara l’importanza di questo evento che vorremmo fosse tutto nella luce della grazia e della volontà del Signore: perché questo accada vi chiediamo, con umile carità e insistenza, la vostra fraterna preghiera.
Oltre alla quotidiana liturgia vespertina che celebriamo in canto gregoriano ogni pomeriggio alle 17.30 e oltre alla principale celebrazione eucaristica domenicale che al mattino troverete alle ore 10, vogliamo proporVi anche una suggestiva occasione in cui potremmo salutarci prima di questa nostra assenza, che inizierà il giorno della festa di San Francesco per terminare il 23 ottobre.

Si tratta della simultanea messa in scena delle liriche di Spoon River. Antologia di Edgar Lee Masters per la regia di Riccardo Massai, prodotto da “Archètipo”, con il sostegno, fra gli altri, della Regione Toscana, la Provincia di Firenze e, naturalmente, il Comune di Firenze. Lo spettacolo, ad ingresso libero, prevede la partecipazione di alcune decine di attori ed eminenti personalità della cultura, fra cui Carla Fracci e Margherita Hack, Carlo Monni e Maria Cassi, che nel pomeriggio di Domenica 3 ottobre leggeranno continuativamente in diversi angoli del nostro Cimitero monumentale delle Porte Sante i mirabili epigrammi che compongono la celebre Antologia, uno dei capolavori della letteratura statunitense. Troverete qui allegate tutte le ulteriori informazioni necessarie.
Desidero altresì segnalarvi le suggestive foto che Michele Monasta ha realizzato l’indimenticabile pomeriggio del 23 giugno scorso, quando in tantissimi siete saliti a San Miniato per assistere, assieme al Sindaco Matteo Renzi, allo spettacolo Siamo qui per questo, un’azione teatrale liberamente tratta dalla omonima lirica di Mario Luzi dedicata a Firenze e a San Miniato. Nella memoria di tutti noi è impressa la grande emozione con cui abbiamo ammirato, nel Cimitero monumentale e sul piazzale antistante la Basilica, diverse decine di eccellenti, giovanissimi attori che hanno messo in scena, per la regia di Manuela Lalli, gli alti messaggi di spiritualità, di pace e di amicizia della lirica luziana. Potrete ammirare quelle foto visitando on-line una pagina del sito della Compagnia teatrale che ha realizzato quello spettacolo, “Venti Lucenti”: http://www.ventilucenti.it/azzonzo/index.htm
<http://www.ventilucenti.it/azzonzo/index.htm>
Infine vi do notizia che hanno ripreso i loro incontri altre due realtà essenziali della nostra Abbazia: la comunità degli oblati, caratterizzata da un fecondo vivaio di ben determinati novizî e l’Associazione “La stanza accanto”, un sodalizio nato nel nostro Cimitero per sostenere quei genitori accomunati dal dramma della perdita di un figlio. Queste nostre fantastiche mamme e babbi hanno tra l’altro creato un sito per condividere i primi, promettenti frutti del loro laboratorio di speranza. L’indirizzo è http://www.lastanzaaccanto.it <http://www.lastanzaaccanto.it/>
Alcune loro iniziative di beneficenza e di approfondimento culturale sono già in cantiere per questo nuovo anno pastorale: fra di esse il tradizionale calendario artistico ed alcuni concerti e seminari di spiritualità e di psicologia, aperti a quanti si trovano a vivere l’esperienza luttuosa più atroce. A partire dal mese di novembre gli oblati di San Miniato al Monte si incontreranno qui in Abbazia ogni secondo sabato del mese, alle ore 16, mentre i membri dell’associazione della “Stanza accanto” ogni terzo sabato del mese. È infine nostra intenzione riprendere, a partire da dicembre, il tradizionale incontro di spiritualità del primo sabato pomeriggio di ogni mese, un momento di approfondimento che lo scorso anno avete seguito e apprezzato con insperata attenzione.
Con la viva speranza di potervi presto rivedere qui a San Miniato al Monte nella gioia che il Signore ci dona, assieme a Stefano e alla intera Comunità monastica Vi abbracciamo con grande affetto, grati della vostra partecipe amicizia e augurandovi di cuore ogni beatitudine, nel fervido e reciproco ricordo della preghiera,
In Cristo,
Vostro fratello Bernardo
 

Firenze, 17 settembre 2010,
memoria di Santa Ildegarde di Bingen, monaca e profetessa



lectio.divina@libero.it

lunedì 27 settembre 2010

Foto kermesse riminese del 26 set

foto di Francesco Ramberti (che ringrazio)

Silvia Sanchini
Massimo Sannelli
Caterina Serpilli
Narda Fattori
Enrica Musio
Ardea Montebelli
Guido Passini
Elena Varriale
Vincenzo Celli
Franca Fabbri
Claudio Roncarati
Carla De Angelis
Sergio Pasquandrea
Cinzia Demi
Riccardo Farolfi
Rossella Renzi
Maria Di Lorenzo
Alex Celli
Anna Maria Tamburini
Gabriele Paganelli
Marina Sangiorgi
Barbara Magalotti
Teresa Cremonesi
Germana Duca Ruggeri
Elvis Spadoni
Alessandro Ramberti


foto di Ardea Montebelli  (che ringrazio)
Anna Maria Tamburini
Carlo Penati
Carlo Penati e Caterina Serpilli
Elvis Spadoni
Alessandro Ramberti e Paolo Mancuso
Massimo Sannelli

notizie sulla kermesse Una madre ci accompagna: la scrittura

foto di Silvia Sanchini qui

sabato 25 settembre 2010

Su La ianara di Licia Giaquinto

ADELPHI, 2010

recensione di Vincenzo D'Alessio

La giovane poetessa con gli occhi verdi come i gatti, mi diede l’opportunità di presentare, nella Biblioteca civica di Montoro Inferiore, il 21 settembre 1996 il suo primo racconto/ romanzo autobiografico: Fa così anche il lupo (Feltrinelli,1993). Gli studenti furono entusiasti dei brani letti dal volume e scrissero anche dell’incontro, porgendo domande all’Autrice. Fu una giornata memorabile. La scrittrice era tornata dopo molti anni, tanti studi, una diversa identità sociale, nei luoghi che l’avevano vista protagonista. Il romanzo prendeva spunto dall’evento appena trascorso: il sisma del 23 novembre 1980.
Oggi, l’Autrice, ripropone un altro romanzo/racconto: La ianara, ricco di risvolti storico-geografici; un vero decalogo antropologico di modi di dire dialettali, di formule magiche, scongiuri; un excursus nelle vicende che hanno formato la sua infanzia, costruendo un palazzo abitato dalle figure più strane, ambigue, familiari. Un vero momento epifanico, come nel primo romanzo, dove le figure della nonna e della madre si annodano in formula ancestrale e perfetta di continuità sociale. Le ianare ci sono ancora oggi nella nostra Irpinia. Come molti dei riti e dei frammenti di quella magia sono, in modo coriaceo, persistenti nelle aree interne a conduzione contadina.
La Giaquinto scrive sull’onda dei ricordi, come fanno gli emigranti: il passato è un mito perenne, indissolubile, come le parole utilizzate, nel dialetto irpino, all’interno del presente romanzo: andare ‘a maesta (imparare il mestiere del ricamo, del cucito, dei guanti); ‘o ntruglio, ‘o nguacchio (intrugli); ‘a mappatella (il sacco con la poca roba dentro). Oppure le formule in dialetto: “Terra ‘e punente addà murì chianu chianu chistu fetente” (Terra e vento di ponente deve morire pian pian questa persona ingrata); “Scarpa scarpone, scapezzate pe’ ‘stu vallone” (Scarpa, scarpone, che tu possa finire nel baratro). Tutte pratiche collegate alla civiltà contadina del meridione. A questo punto viene alla mente il trattato antropologico Sud e magia (1959) di Ernesto De Martino, oppure i tre atti teatrali del Macchiavelli dal titolo La Mandragola (1518).
Nel romanzo questa volta l’avvenimento richiamato, e reale, come nel primo romanzo, è la costruzione della superstrada che collega Salerno ad Avellino, portata a compimento negli anni sessanta, che attraversa tutta la valle di Montoro, luogo mitico della Nostra, a coinvolgere in qualche modo anche tutta l’area irpina attraversata in quegli anni dalla costruzione di autostrade. I luoghi richiamati sono visibili ancora oggi: il Toppolo, la Toppola, sono colline; la Chiesa di San Michele e Solofra sono ancora lì; i luoghi come il Pizzo San Michele (o dell’Angelo), la Starza, sovrastano Montoro; le cittadine di Avellino, Vietri Sul Mare (con le sue maioliche), Benevento (con le sue streghe), Taurasi, Mirabella Eclano, Ariano Irpino, Sant’Angelo dei Lombardi, Paternopoli, ecc. sono tutte collocate lungo la dorsale appenninica che unisce Campania, Puglia e Basilicata.
Il romanzo, imperniato sulle superstizioni secolari, sull’ignoranza della povera gente di campagna, si veste di metafore e analogie che la scrittrice trae dal proprio cassetto: cose vecchie e cose nuove. È il caso della tana dove si rifugia Adelina (la ianara per discendenza, impossibilitata a sfuggire al suo destino) che riporta al mito dell’utero materno, della Mater Matuta delle popolazioni sannitico-campane; il mito dell’uva, sangue della terra, al quale viene sacrificato il piccolo corpo di Lisetta, la mendicante anch’ella un po’ ianara; il mito della reincarnazione dopo la morte in forme diverse di energia, secondo la prima vita vissuta. Un corollario antico che viene proiettato nel mondo contemporaneo con la consapevolezza di stupire il lettore, ammaliarlo, fino al punto di fargli provare la medesima angoscia che si agita nei personaggi e muove il loro destino.
Il Destino, il fato, ineluttabile. La lettera, il messaggio e il messaggero (Mercurio). La provocazione nel lettore a seguire con attenzione, passo dopo passo, lo svolgersi delle vicende che affliggono i personaggi e la massa, incorporea, che li circonda. Aristocrazia e povertà, il micidiale antagonismo che ha mosso per millenni la nascita di leggende, di tesori nascosti, di violenze e omicidi.
Chi è veramente la ianara? Chi è stata, questa povera figura, nel corso dei secoli? Dove sono sepolte le ianare? In luoghi sconsacrati come, per i dannati, il luogo denominato “L’acqua Troisi”?
Le pratiche esoteriche sono parte integrante della medicina antica. Lo dimostrano tante ricerche scientifiche e l’infelice sorte toccata a chi li praticava, specialmente l’aborto clandestino che ha afflitto le genti contadine da sempre. Ne ha scritto un bel saggio, in questi anni, la ricercatrice Maria Giovanna Vitale, con il suo Montoro fede e magia (Ed. G.C.F. Guarini, 2005), ripotando l’uso di queste pratiche vive ai giorni nostri.
Licia Giaquinto in questa nuova prova di scrittura porge al lettore, senza nessuna remora, una lingua creola: italiano e dialetto convivono in armonia perfetta. La Nostra consegna il testamento autorevole, vista la posizione raggiunta in seno al mondo letterario nazionale, sulla fine della civiltà contadina, proprio come la vide Pier Paolo Pasolini, nei giorni del suo contatto con il Sud della nostra penisola: “Adelina girava per boschi e campi e vedeva che la rovina avanzava ovunque. Sterpi gramigne ortiche invadevano le aie. Violacciocche spuntavano dalle crepe dei muri delle case abbandonate dei contadini. Sentiva crollare solai sotto il peso della neve. Vedeva crescere arbusti sui tetti. Tane di animali selvatici spuntavano dappertutto, al posto dei vigneti erbe selvatiche ricoprivano i terreni, e sterminati campi di papaveri proliferavano d’estate al posto del grano” (pag. 81). Una bellissima descrizione prima dell’avvento dell’industrializzazione che ha cancellato sul finire degli anni sessanta anche quel che restava.
Ho voglia di ricordare un altro bellissimo romanzo, scritto da mani femminili, che ci consegna la storia delle nostre contrade. È il romanzo di Mariateresa Di Lascia Passaggio in ombra (Feltrinelli,1995) vincitore del Premio Strega nel medesimo anno. Mi sento di augurare, alla Nostra, di raggiungere traguardi sempre più vasti come bella ianara dagli occhi smeraldo.

Fariani in biblioteca a Santarcangelo con “Versi di vita" 16 ott

4 voci di Romagna presentano le loro nuove raccolte poetiche: 
stili diversi ma una coinvolgente intensità nell'offrire al lettore


Versi di vita

Anna Maria Tamburini, Colibrì
Franca Fabbri, Ho consumato l’ultima casa
Enrica Musio, Senza saperlo nemmeno
Stefano Bianchi, Sputami a mare

Modera l’incontro  Alessandro Ramberti
saranno presenti anche il poeta Guido Passini con Io, Lei e la Romagna
e il giornalista e critico lettario Marcello Tosi





venerdì 24 settembre 2010

Una madre ci accompagna: la scrittura (Rimini 26 set)

articolo di Marco Brezza pubblicato su «La Voce di Romagna» Terza Pagina del 22-9-2010

Ho squarciato Dante

recensione di Davide Brullo alla Comedìa curata da Massimo Sannelli
pubblicata su «La Voce di Romagna» Terza Pagina del 22 settembre 2010

L'uomo ricco e il povero Lazzaro

Omelia del giorno 26 Settembre 2010

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Quello di diventare ricchi non è più, oggi, un 'sogno' da bambini, che guardano alla 'favolosa' vita che conduce chi è arrivato alla ricchezza.

Da quanto possiamo capire attraverso i massmedia e l'opinione pubblica è diventato la 'favola' degli adulti, che ha i suoi giornali specializzati, con tanti servizi su 'cosa fanno', 'come e dove vivono i paperoni o i vip', coloro che sono classificati come gli 'idoli' del nostro tempo, con tanta gente che cerca di imitarli o di vivere almeno nella loro ombra, senza minimamente pensare che dietro queste facciate di lusso, spesso vi è una grande povertà di cuore ed un senso di solitudine e di vuoto che a volte li porta alla disperazione, magari con il rimorso (e questa sarebbe una grazia!) di avere depredato tanta gente che, a causa della loro sfrenata ricchezza, è costretta a vivere sul marciapiede delle città.

A costoro e a quanti vorrebbero essere come loro, così parla oggi il profeta Amos:

"Così dice il Signore onnipotente: 'Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Essi su letti di avorio e straiati sui loro divani, mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell'arpa, si pareggiano a Davide negli strumenti musicali, bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l'orgia dei buontemponi'. (Amos 6, 4-7)

Dura la descrizione del ricco: una ricchezza che nulla ha a che fare con la vera ricchezza del cuore, che appartiene a quelli che Gesù chiama beati, voi, poveri in spirito'!

Oggi, nel mondo, per la crisi che attanaglia le grandi potenze, troppi sono costretti a misurare le necessità della vita su quanto ricevono e certamente sono costretti a privazioni che prima non conoscevano. Ormai la povertà, fino alle necessità più semplici, è di tanti. Ed è duro per tanti dovere rinunciare ad una vita da benestanti - almeno così sembrava - ed accontentarsi del poco... se basta. Ma... è vera felicità quella del ricco? O la felicità è del povero Lazzaro di cui parla il Vangelo?

Per costruire una vera felicità, che poi è ricchezza di valori nella e per la famiglia e nella società, occorre la ricchezza materiale o la ricchezza del cuore?

A volte, osservando la voglia di benessere, che cerca di circondarsi di tutti i capricci che il commercio offre, un mercato senza anima, che si chiama moda, ci si rende conto che prende molti, li rende forse per un momento soddisfatti, ma non fa mai felici... è troppo poco!!

Ricordo la dignitosa povertà della mia famiglia, dove si viveva del necessario e non c'era posto per mode o capricci. Ma al loro posto c'era tanta pace, tanto amore, tanta moralità che era il dono della povertà, diremmo oggi della sobrietà. Si era felici del poco.

Altri tempi si dirà, ma anche altra felicità e giustizia e moralità. Davvero 'beati i poveri in spirito, vostro è il regno dei cieli'... ieri, oggi e sempre.

È peccato possedere poco o tanto?

Quando è esibizione sciocca del tanto che si possiede ha del grottesco, come se vivere fosse una `favola', ma è solo una tragica e dolorosa farsa.

Ma possedere più del necessario, ossia essere in qualche modo ricco, diventa un bene quando è frutto di giustizia e fatica e, soprattutto, la ricchezza non è un 'dio' del cuore, ma un mezzo di amore. Il pericolo non è possedere, ma 'farsi possedere', diventando schiavi delle cose che passano.

Possedere da 'distaccati', da 'poveri in spirito', con il cuore libero, diventa occasione di colmare i tanti vuoti dei miseri. Diventa un bene per chi non ha. Ricordiamocelo: la ricchezza, qualunque sia, non è il bene che si deve cercare a tutti i sosti, ma un mezzo per amare.

Nel Vangelo di oggi si ha la sensazione che Gesù si prenda gioco della stoltezza del ricco:

"Gesù disse ai farisei: 'C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e bisso, e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di saziarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli Angeli in seno ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno, fra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora guardando disse: 'Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro ad intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura.

Ma Abramo rispose: 'Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora lui invece è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare tra voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi.

E Gesù, quasi avvertendoci, continua:

Quegli replicò: 'Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: `Hanno Mosè e i Profeti, ascoltino loro. E lui: 'No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: 'Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi'. (Mc. 16, 19-31)

Una chiara e dura lezione di quanto sia difficile liberarsi dalla schiavitù dell'avere, del benessere a tutti i costi, per fare strada alla libertà e all'amore.

Affermava il grande Paolo VI, in un discorso alle conferenze dì S. Vincenzo:

"Voi sapete che oggi si parla molto della chiesa dei poveri: è questa una considerazione circa la società religiosa, fondata da Cristo, piena di significato; bene intesa essa ci riporta alle origini evangeliche della Chiesa stessa, al disegno stesso di Dio in ordine alla salute del mondo, all'esempio indimenticabile di Gesù, Lui stesso povero e annunciatore ai poveri della sua buona novella, quando attribuisce a Sé il vaticinio di Isaia: 'Lo Spirito del Signore è su di me e mi ha mandato ad annunciare ai poveri la buona novella', e ancora quando chiamerà per primi beati e destinati al regno dei cieli, 'i poveri in spirito'.

E di più questa apologia della povertà in seno alla Chiesa, questa rivendicazione della povertà come tesoro proprio, ci apre la vena di una spiritualità che sembra destinata a diffondersi nella coscienza cristiana del nostro tempo; essa ci ricorda come il regno di Dio, cioè il dono che Cristo porta al mondo per la sua salvezza, non è nella sfera delle cose appetibili di questa terra, e tantomeno non è una ricchezza temporale... Così il discepolo di Cristo, nella severa scuola, scorge sempre un rapporto meraviglioso tra povertà e carità'. (nov. 1964)

Leggendo la vita di Madre Teresa di Calcutta, l'apostola dei più poveri tra i poveri, si resta scossi da come amasse lasciarsi 'nutrire' da Dio, in totale povertà... anche se la missione scelta era quella di stare tra gli ultimi degli ultimi. E ciò che fa rimanere senza parole è che la Provvidenza non le facesse mai mancare nulla, poiché metteva tutto nella cura diretta di Dio.

Vestiva l'abito degli ultimi - così considerato in India - e viveva tra di loro.

Ma non le mancava mai il necessario per sostenere le tante opere nel mondo.

Davvero questa è povertà, cioè abbandono nelle mani di Dio, che costruisce pace e santità.

Nella mia lunga vita, nel Belice e qui, ho toccato con mano come vi siano davvero persone che hanno possibilità e sanno condividerle per alleggerire il peso delle tante povertà incontrate.

Donne e uomini di una generosità incredibile, che dimostra come a volte il possedere diventa motivo di carità, tanto da dover a volte frenare la generosità. Le ho sempre considerate 'la mano di Dio', che riempie le mie, perché io riempissi le mani vuote di tanti.

C'è ancora tanta generosità che non ha paura di farsi povera per dare speranza a chi non ha, ma la ritrova proprio nella loro carità.

Prego perché nessuno di noi si trovi nei panni del ricco epulone che dall'inferno invoca una goccia di acqua, quando qui ne aveva in abbondanza da dissetare tanti… ma nei panni del povero Lazzaro, che riposa nelle braccia di Dio, qui e dopo.

Così pregava don Tonino Bello:

"Cari cristiani questo digiuno lasciatelo fare a noi. Ci potrà servire come mezzo per ottenere qualcosa di immediato. Voi piuttosto fatene un altro: un digiuno che sia profezia. Astenetevi non tanto da un pasto, ma dall'ingordigia, dal sopruso, dalla smania di accaparrarsi, dalle collusioni disoneste con certe forme di potere. Più che privarvi di un piatto, privatevi del lusso, dello spreco, del superfluo: ci vuole più coraggio. Più che non toccare un pane, dividete il pane: il pane delle situazioni penose dei disoccupati, degli sfruttati, dei disperati che ci stanno attorno. L'altro digiuno lasciatelo fare a noi".

Antonio Riboldi – Vescovo –

Internet: www.vescovoriboldi.it

email: riboldi@tin.it

giovedì 23 settembre 2010

Intervista a Crescenzo Fabrizio

di Antonietta Gnerre

Crescenzo Fabrizio, giornalista pubblicista, è nato in Irpinia nel 1968: di formazione cattolica, ha collaborato con diverse testate giornalistiche locali e ha curato la riscrittura di un testo teatrale sulla Passione e morte di Cristo. È stato lungamente impegnato in ambito politico e sociale. Con la Book Sprint Edizioni ha pubblicato il suo primo romanzo Ombre, penombre, e luci nascoste (Aprile 2010). Nel tempo del racconto c’è una continua ricerca della luce. Lo sfondo nel quale si concretizza, è Castel Ombrosa. Un luogo sospeso come nel sogno, che alterna ricordi e memorie. L’intreccio viaggia con molti personaggi famosi sulle spalle del tempo. I tre protagonisti sono ben tracciati e pettinano con intrighi e retroscena, le pagine. Una penna – quella di Fabrizio – che di sicuro ci regalerà altre emozioni e magari altri enigmi da risolvere e mascherare. Uno scrittore che usa la fantasia accanto al presente, con la seduzione della storia accanto al futuro.              


Scrivere vuol dire spostarsi su quel confine affilato che separa la realtà dalla fantasia.

“Scrivere un romanzo dall'intreccio complesso mi ha convinto che non sempre è l'autore a prendere  per mano una storia e condurla secondo la propria fantasia e le proprie intenzioni, ma spesso è una storia complessa che attendeva soltanto di essere scritta a condurre per mano verso luoghi, tempi e personaggi inaspettati e sorprendenti  chi ha provato a mettere insieme i pezzi del mosaico.”

Scrive  Vladimir Nabokov in un piccolo libro dal titolo Cose trasparenti: “Quando noi ci concentriamo su un oggetto materiale, ovunque esso si trovi, il solo atto di prestare ad esso la nostra attenzione può farci sprofondare involontariamente nella storia”. Lei è d’accordo con questa affermazione?

“Nel mio romanzo sono spesso oggetti materiali a suggerire ipotesi e risposte, e quindi a guidare i protagonisti in una vicenda molto più  profonda di quanto essi stessi immaginassero. Mi piace pensare che possa essere così anche per i lettori.”

Lei ha pubblicato da poco il suo primo libro, come sono nati i personaggi della storia?

“Qualcuno sicuramente dal mio vissuto quotidiano: dalle esperienze maturate nel tempo a tratti caratteriali e suggestioni colti in persone reali che ho conosciuto.”

Qual è la più grande  soddisfazione per chi si accosta alla scrittura?

“Mentre  si scrive, poter abbattere le barriere del tempo e dello spazio. Successivamente, scoprire di aver avuto tre lettori.”

Quali sono i suoi scrittori preferiti?

“Umberto Eco su tutti, ma dopo aver letto un libro scritto bene resto affascinato dalla capacità dell'autore di coinvolgermi ed emozionarmi. E di libri scritti bene ne ho letti davvero tantissimi.”

Quali sono i suoi maestri di riferimento?

“Nel mio romanzo sono evidenti e talvolta espliciti i riferimenti a Robert Harris.”

Chi scrive che ruolo ha nella società?

“Mi rifaccio a  un'espressione molto bella ed efficace utilizzata da Erri De Luca in un recente incontro con gli studenti irpini: i libri sono stati la migliore forma di resistenza del Novecento.”

La scrittura è necessaria in questa società?

“Sono persuaso che l'affermazione di De Luca sia valida anche per il tempo che stiamo vivendo.”

Perché?

“Occorre trasmettere e far amare alle nuove generazioni questo importante strumento di resistenza etica e civile. I libri hanno avuto e devono ancora avere la capacità di attivare anche altre forme e strumenti di resistenza etica e civile.”