mercoledì 30 giugno 2010

Il silenzio signficativo

Scritto dal Professor Felice Casucci, docente di Diritto Privato Comparato e di Diritto e Letteratura, in occasione del dibattito sul tema "Il silenzio significativo" tra Diritto e Letteratura. Evento organizzato, il 18 giugno nella Sala del Consiglio del dipartimento Pemeis, in Piazza Arechi II - Palazzo De Simone a Benevento,  dalla Fondazione Gerardino Romano, in collaborazione con L'Università degli studi del Sannio e il Dipartimento di Studi Giuridici, Politici e Sociali, Persona Mercato e Istituzioni. (ringrazio Antonietta Gnerre per avermi girato questa interessante rilfessione)


Porsi è disporsi. Così mi pongo verso me stesso nel campo aperto in cui il mondo è disposto ad ascoltarmi. E scrivo, e leggo, e parlo in pubblico e in privato. E cerco soluzioni ai problemi. Seguo gli imprevedibili sviluppi di una nuvola nel cielo o di mio figlio che corre in bicicletta. La mia posizione, l’angolo d’osservazione costituisce la trincea da cui miro il bersaglio della conoscenza. Io sono nella parsimoniosa abitudine a compiacermi, in un contesto dato, con le coordinate mentali delle tabulazioni facoltose. Fuggo dall’imprescindibile e lo limito al mio spazio. Nessun uomo riesce a sostenere la propria immagine allo specchio. Se riesce a farlo cade nell’eternità di Narciso. E la vita fa lo stesso, perché la vita prescinde dall’uomo. La vita è perfetta senza che l’uomo vi metta mano. L’ossessione della centralità umana è anche l’ossessione dell’innocenza dell’uomo. E proprio da questa sindrome della pretesa innocenza che bisogna partire per comprendere appieno il significato del silenzio umano. Si deve partire da qui, perché da qui partono le esplorazioni feconde, e perché da qui partono coloro i quali convincono gli uomini della propria colpevolezza, utilizzandola come uno strumento di tortura dell’uomo sull’uomo. Non credo vi sia mai stato né vi sia un uomo che abbia impiegato la grandezza della sua anima per conformarla alla legge, ma è vero il contrario. Eppure la legge, nata dall’idea dei migliori, ha assunto aspetti ideologici, ha costretto l’uomo alla prigione o allo specchio. La legge, si badi bene, non solo come norma scritta, ma anche e soprattutto come prassi (amministrativa, giudiziaria, comportamentale, ecc.) che ha allargato le maglie rigide della legge in una direzione controversa, per fare dell’uomo il simbolo di una qualche vittoria dell’uomo sull’uomo, attraverso la morte. Infatti, per raggiungere il risultato della sua potenza, per dilatare i confini del suo campo aperto, l’uomo ha dovuto inventare un nemico, ha dovuto massacrare e mascherare la sua vera identità. La grandezza è stata mortificata, l’anima, segnata dalle sue sconfitte, è stata utilizzata come prova del fatto che non è possibile portare avanti alcun discorso sulla grandezza dell’uomo senza la sua potenza, senza una guerra che ne affermasse la vittoria per l’uno e la sconfitta per l’altro. La grandezza dell’uomo è diventata il suo incubo. La legge, come norma e prassi, si è disposta, con i suoi miti, su un orizzonte non osservato ma subito. E l’uomo è diventato schiavo degli strumenti ideati per elaborare pace e consenso. Il silenzio, progressivamente, ha preso il sopravvento, impedendo all’uomo la libertà delle scelte e facendone un automa, imprigionato nella necessità del giudizio, dove innocenza e colpevolezza giocano lo stesso ruolo, a parti invertite, a seconda delle circostanze. Da qui il ribellismo, la voglia di evadere da questa trappola mortale, in cui la morte fisica è attesa come l’unica vera liberazione dal tormento della richiamata alternativa simbolica tra la prigione e lo specchio. Una mutazione genetica avviene ogni volta che l’uomo pronuncia la parola diritto. L’uomo stesso si compiace che la parola non significhi nulla di costituito prima che venga pronunciato il giudizio del caso concreto. Giudizio al quale partecipano, com’è facilmente comprensibile, non solo coloro che lo pronunciano, ma anche tutti coloro che in qualche modo e in qualche misura lo predicono. Così non resta molto da spendere sul piano dell’abbraccio mortale se non la colla che fissa il silenzio, spazio omissivo a vantaggio del sistema, che sposta la coesione del patto sociale su un piano non verificabile, quello della dilazione dei tempi, dove la giustizia si esercita negando se stessa. Il mondo è pieno di mutanti, di innocenti colpevolizzati, di principianti (portatori di principi) sacrificati, di infami costituiti parti civili, di furbi disinnescanti e tutti costoro, insieme a molte altre specie, assai tristi e pericolose, convivono nella sarabanda del diritto vissuto. Il silenzio tiene insieme il sistema affittivo del diritto vissuto, il silenzio può far saltare le cupole di cui si ricopre. Come ci riesce? Con la processione silenziosa delle fiaccole dei senza nome nella notte della vita, alla quale bisogna fare ritorno, quasi fosse un ritorno alle origini. Una processione non facile da organizzare per renderla visibile ai più che fingono di ignorarla. Solo la letteratura può compiere il miracolo dell’apparizione: rimettere in fila indiana non coloro che hanno realmente vissuto ma coloro che sono morti apparentemente per niente, le vittime di nessuna storia, per orientare l’attenzione del lettore sulla dimensione irreale della realtà, accompagnando la processione funebre dei nomi generati dalla suggestione del poeta con il silenzioso e definitivo scorrere di una pagina bianca, una pagina bianca dietro l’altra, fino alla fine della storia.

martedì 29 giugno 2010

È uscito il bando del concorso Insanamente! scad 28-2-11

Insanamente 2011

1. Fara Editore in collaborazione con il Dipartimento Salute Mentale Ausl Rimini indice la I edizione del concorso Insanamente per opere a tema libero in qualche modo legate al tema della scrittura come terapia, come elaborazione del disagio, come espressione dialogante, ludica ed anche ironica di affrontare le difficoltà. Sono previste due sezioni:

sez. A massimo 10 poesie per un numero massimo di 300 versi (non c’è limite minimo, quindi si può partecipare anche con una sola poesia);

sez. B racconto breve di massimo 9000 battute (calcolando anche gli spazi) pari a 5 cartelle (non c’è limite minimo, quindi si può partecipare anche con un racconto brevissimo).
2. Si può partecipare solo a una delle sezioni. Gli autori dovranno indicare nella mail a che sezione intendono partecipare con la loro opera, dichiarando al contempo che la loro opera è inedita e di libera disponibilità, frutto della propria personale inventiva e mai premiata in altri concorsi. L'opera dovrà essere in lingua italiana. L'autore dovrà allegare una brevissima biografia (massimo 10 righe) e i dati anagrafici, indirizzo postale, recapiti telefonici e mail.
3. L'opera dovrà essere inviata a Fara Editore esclusivamente per posta elettronica a info@faraeditore.it entro il 28-2-11. Con l’invio se ne consente l'eventuale pubblicazione a cura di Fara Editore nella antologia dei vincitori (v. punto 5.) senza alcun obbligo di remunerazione dei diritti d'autore (restando i diritti ai singoli autori).
4. È richiesta una tassa di 15 euro che dà diritto a ricevere (solo in Italia) i libri Transatlantici di carta (di Daniele Bottura) e  Alice nel paese delle meraviglie di L. Carroll (o, in caso di esaurimento scorte, altri due libri a scelta dell’Editore). La tassa verrà pagata solo dopo aver ricevuto i libri a cui allegheremo bollettino di c/c postale.
5. Sono previsti fino a un massimo di dieci vincitori (5 per la sez. A e 5 per la sez. B) che riceveranno una targa e tre copie omaggio della pubblicazione contenente le opere vincenti, curata ed edita da Fara con il contributo del Lions Club di Cattolica. Gli autori pubblicati potranno godere dello sconto speciale del 40% sulle ulteriori copie che volessero acquistare (previa disponibilità nei magazzini) dall'Editore. La cerimonia di premiazione si terrà nel Riminese nella primavera 2011 (i vincitori saranno avvertiti per tempo via mail).
6. I risultati del concorso verranno comunicati ai partecipanti entro il 30-4-11 esclusivamente via posta elettronica e verranno pubblicati nel web. Il giudizio verrà operato insindacabilmente da Fara Editore e da giurati di sua fiducia.
7. Qualora si ritenesse non soddisfacente la qualità o la quantità delle opere pervenute la pubblicazione su carta potrà non aver luogo o essere limitata alle sole opere che i giurati riterranno degne di pubblicazione.
8. I partecipanti acconsentono al trattamento dei dati personali ai fini della gestione del presente concorso e potranno in ogni momento richiedere di essere cancellati dalla nostra banca dati.
9. La partecipazione al concorso insanamente 2011 comporta l'automatica e completa accettazione di tutte le norme indicate nel presente bando.


FaraEditore
www.faraeditore.it
tel. 0541.22596
fax 0541.709327
Via Dario Campana, 62

47922 Rimini (RN) - Italia


Gli indirizzi ai quali mandiamo la comunicazione sono selezionati e verificati, ma può succedere che il messaggio pervenga anche a persone non interessate. In caso ci scusiamo e vi preghiamo di rispondere a questo stesso messaggio specificando l’indirizzo mail che volete venga cancellato dalla nostra mailing list.

lunedì 28 giugno 2010

SIGNORE DI ROMAGNA a Bertinoro 1 lug

Giovedì 1 luglio 2010 ore 21.00
Incontri con l'autore a Bertinoro
Piazza Della Libertà
PRESENTAZIONE DEL LIBRO

SIGNORE DI ROMAGNA. Le altre leonesse

Dame, amanti e guerriere nelle corti romagnole

di MARCO VIROLI

Società Editrice “Il Ponte Vecchio”

13 donne che hanno fatto la storia della Romagna:
Francesca da Polenta
Orabile di Giaggiolo
Cia degli Ordelaffi
Parisina Malatesta
Violante Malatesta
Isotta degli Atti
Vannetta de' Toschi
Caterina Rangoni
Barbara Manfredi
Lucrezia Pico della Mirandola
Marsibilia Pio Manfredi
Cassandra Pavoni e...
... CATERINA SFORZA

Già autore di Caterina Sforza, leonessa di Romagna, accolto con grande favore, Marco Viroli propone qui le vicende straordinarie delle figure di donna che, presso le corti romagnole, si fecero protagoniste di una storia insieme splendida e sanguinaria. Passano così nel libro:
– gli amori tragici di figure immortali come Francesca da Rimini e Parisina Malatesta;
– i tradimenti finiti nel sangue, nei quali le donne furono ora vittime (come la dolente figura di Barbara Manfredi alla corte degli Ordelaffi), ora implacabili congiurate (come Francesca Bentivoglio alla corte dei Manfredi);
– gli eroismi di Signore entrate nel mito, capaci di ergersi al modo di impavide guerriere, come nel caso di Cia degli Ordelaffi, eroina sopra le mura della rocca di Cesena, o di Diamante Torelli, eroica guerriera in difesa delle mura faentine strette d’assedio dal duca Valentino;
– le raffinate figure di Isotta degli Atti e di Violante Malatesta, virtuosa e fin sfuggente nella sua pietas cristiana, testimoni e forse ispiratrici dei due capolavori del Rinascimento romagnolo: il Tempio Malatestiano di Rimini e l’aurea Biblioteca Malatestiana di Cesena, “memoria del mondo”.
E poi, ancora, Orabile di Giaggiolo, Vannetta de’ Toschi, Caterina Rangoni, Lucrezia Pico della Mirandola, Marsibilia Pio, Cassandra Pavoni: una galleria di figure affascinanti e insieme le complesse vicende delle signorie romagnole: insomma, la celebre terzina di Dante fatta storia e figura, in un libro denso di fatti e di sorprese: “Le donne e’ cavalier, li affanni e li agi / che ne ’nvogliava amore e cortesia / là dove i cuor son fatti sì malvagi» [Dante, Purgatorio, XIV, 109-111].

Con l’autore Marco Viroli interverranno:

Marzio Casalini, editore e i membri della Compagnia del Leone.

I cittadini sono invitati

Marco Viroli
(Forlì, 1961) laureato a Bologna in Economia, appassionato di storia antica e rinascimentale, è co-fondatore dell’associazione culturale Poliedrica.
Per tre anni direttore di MEGAforlì, per cui ha curato incontri con l’autore e tre cicli di “Autori sotto la torre”, a Forlì, e “Autori sotto le stelle”, a Cesena, attualmente si occupa di comunicazione ed eventi per aziende e consorzi.
Per i tipi de
«Il Ponte Vecchio» ha pubblicato la raccolta poetica Il mio amore è un’isola (2004) e il poema Nessun motivo per essere felice (2006) (Gran Premio Speciale della Giuria “Città di La Spezia”, 2007). Suoi versi sono apparsi su numerose antologie, tra cui Sguardi dall’India (Almanacco, 2005) e Senza Fiato (Fara, 2008).
Sempre per la casa editrice «Il Ponte Vecchio» ha pubblicato nel 2008 Caterina Sforza. Leonessa di Romagna (2008) e la seconda edizione della raccolta di versi Se incontrassi oggi l’amore (2009). Il suo sito internet è http://www.marcoviroli.com

venerdì 25 giugno 2010

Ti seguirò dovunque tu vada

Omelia del giorno 27 Giugno 2010
XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)


Sono giorni, questi, che per me sono 'memoria' della storia della mia vita al seguito di Gesù che, da ragazzo mi ha rivolto, come è nel Vangelo di oggi, la parola, per me allora misteriosa, poi divenuta vita donata: 'Tu sèguimi'.

Era il 28 giugno 1951 e venni ordinato sacerdote nella cattedrale di Novara con altri 30 giovani. Tanti! Era così serio il passo che facevo, da non riuscire neppure ad averne forse piena consapevolezza. Sapevo che la mia vita avrebbe assunto un significato di cui era difficile anche solo prevedere dove mi avrebbe portato o come si sarebbe svolta.

Ero impressionato da quanto stava accadendo in me con l'imposizione delle mani del vescovo sulla mia testa, mentre invocava lo Spirito Santo; dall'unzione delle mani, che allora venivano visibilmente legate da papà - che per la commozione non ebbe il coraggio di farlo e invitò mio fratello a sostituirlo - e dall'abbraccio del vescovo che mi aveva ordinato sacerdote. Momenti in cui risuonarono nella mia mente le parole che Gesù, da ragazzo, mi aveva rivolto: ' Tu, sèguimi'.

Lo avevo seguito presso i Padri Rosminiani, che avevano curato con discernimento spirituale la vocazione e, soprattutto, ci avevano dato una forma ione e preparazione seria... ma non potevo “sapere” che cosa avrebbe voluto dire, nella concretezza dell'esistenza, per me, 'essere prete secondo Dio'. Una sola cosa era richiesta: l'abbandono e la fiducia in Chi mi aveva scelto.

Ci pensò l'obbedienza a indicarmi il dove e il quando avrei dovuto seguire Gesù nella guida del Suo gregge: nel Belice, per 20 anni.

Ancora di più rimasi confuso quando il Santo Padre, Paolo VI, che mi aveva seguito con amore nel mio apostolato nel Belice terremotato, mi chiamò a essere vescovo della Chiesa e, ancora una volta, mi affidò una porzione del popolo di Dio, che è in Acerra.

Ambedue le chiamate non apparivano facili, ma quando si è chiamati da Dio e Lo si segue, contano poco le capacità: conta la piena disponibilità al servizio integrale di chi ci è affidato, senza mai risparmiarsi, mettendo in conto anche la possibilità di perdere la vita, come nel terremoto del 1968 o nell'impegno di lottare contro il male della criminalità organizzata, come accadde da vescovo.

Mi confortava - e posso confermarlo oggi con commozione - che non ero io a decidere di andare da qualche parte o a voler assumere incarichi, ma semplicemente 'seguivo' Chi mi precedeva, mi sosteneva ed operava di fatto, ossia Gesù.

Perché questo è il vero segreto di chi accetta di seguire Gesù, in qualunque circostanza o ministero: sa che non è solo e ha solo un impegno, cioè la fedeltà verso Chi l'ha chiamato e il desiderio e la volontà di offrire tutto l'amore di cui è capace a Dio e alle persone che gli sono affidate... il resto lo fa Lui!

Quando ripenso ai giorni della mia vita, a cominciare da quel 28 giugno 1951, non posso che ammirare quanto Gesù ha compiuto e dichiarare la mia povertà, grande povertà, con un'immensa gratitudine nel cuore.

Davvero Gesù quando chiama non ci lascia mai soli con il compito che ci ha affidato e solo Lui può di fatto realizzare; come ha detto Madre Teresa di Calcutta: 'sono una matita tra le mani di Dio con cui scrive la Sua storia'.

La strada è Lui ha tracciarla, a noi tocca solo seguire i Suoi passi: è quello che continuo a fare anche mediante internet, cercando di essere al vostro servizio.

Più che la mia fede o intelligenza so che è Lui a scrivere parole di vita in voi.

Io a Gesù ho solo da chiedere perdono se non sempre L'ho lasciato compiere tutto il bene, dando spazio alle mie debolezze, chiedendoGli la grazia di essere sempre più totalmente Suo.

Chiedo a voi tutti, carissimi, una preghiera di ringraziamento per questi miei anni di servizio al seguito di Gesù e che mi perdoni ciò che avrei potuto fare e non ho fatto o non faccio... anche se oggi mi è più difficile rispondere alle tante domande di essere tra voi, perché gli anni fanno sentire la fatica. Grazie di cuore e pregate per me, che sia fino alla fine uomo di Dio, dono che Lui fa all'umanità.

Il Vangelo di oggi racconta la storia di inviti fatti da Gesù a seguirLo, a cui vengono anteposte prima questioni private da risolvere e poi il rifiuto a 'lasciare tutto'.

Un 'tutto' che può capitare anche a chi non è chiamato a vocazioni speciali, come la mia, ma la cui vita è comunque già una risposta a quel disegno o vocazione personale - come può essere il matrimonio - che tutti riceviamo.

Cosi scrive Luca:

«Mentre stavano completandosi i giorni in cui Gesù sarebbe stato tolto dal mondo, egli si diresse decisamente verso Gerusalemme e mandò avanti i suoi messaggeri. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per Lui. Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto a Gerusalemme. Quando videro ciò i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: 'Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?: Ma Gesù si voltò e li rimproverò. E si avviarono verso un altro villaggio.
Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: 'Signore, ti seguirò dovunque vada. Gesù gli rispose: 'Le volpi hanno le loro tane egli uccelli del cielo il loro nido, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo'.»

Evidentemente il Maestro aveva colto nella domanda - e visto nel cuore - una quasi certezza di fare fortuna, ma chissà quale, seguendo Gesù. Ed è lo stesso per chi, anche oggi, vuole essere ministro nella Chiesa, e quindi chiamato, ma a volte mette in primo piano 'un tornaconto' personale, che non ha proprio senso in chi dona la vita a Gesù per servire i fratelli.

L'unico 'tornaconto' di un sacerdote è di saper 'farsi servo' come il Suo Maestro.

Inconcepibile anche solo pensare che essere prete possa essere un modo per 'fare fortuna' nel servizio. La grande lode che la gente riserva ai sacerdoti è proprio di donare sempre, senza pensare a se stessi. Diceva il beato Rosmini: 'La povertà è il muro di sostegno della Chiesa'. Del resto se essere ministro ha la sua bellezza è quella di farsi sempre dono ai fratelli ignorando se stesso. La gente si lascia affascinare da un sacerdote o vescovo che sappia donare tutto senza chiedere nulla. Diceva il Santo Curato d'Ars, patrono di tutti i sacerdoti:

“I vostri beni altro non sono che un deposito che il buon Dio ha messo nelle vostre mani; dopo il vostro necessario, il resto è dovuto ai poveri.”

Continua il Vangelo di Luca, evidenziando quello che è un poco l'atteggiamento di tanti alla Sua chiamata:

«Ad un altro disse: 'Sèguimi'. E costui rispose: 'Signore concedimi prima di andare a seppellire mio padre. Gesù replicò: 'Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Tu va' e annunzia il Regno di Dio!'
Un altro disse: 'Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congeda da quelli di casa'.
Ma Gesù gli rispose: 'Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il Regno di Dio'.» (Lc. 9, 51-62)

Può sembrare duro il linguaggio di Gesù davanti a chi chiede 'piccole proroghe' prima di seguirLo. Ma quando si è davvero stati scelti e chiamati occorre la prontezza nel seguirLo... tentennare è cercare scuse per dire di no. E la vocazione non ammette mai dei 'ne esige un sì, meditato, ma pronto. Se ci pensiamo bene è proprio la natura dell'amore che chiede un sì incondizionato e non accetta dubbi o altro, che sono dei nì inaccettabili. E la vocazione è una risposta d'amore all'Amore. Scriveva Paolo VI:

«Vocazione: è un problema di giovani che sappiano affrancarsi dal mondo, dal conformismo, per offrirsi a Cristo con l'ineguagliabile forza della loro intatta freschezza spirituale e diventare ministri e dispensatori dei misteri di Cristo, veri pastori di anime, sull'esempio di nostro Signore Gesù Cristo, Maestro, Sacerdote e Pastore.
Vocazione è una chiamata. È una libertà messa alla prova, forse alla più difficile, ma certo la più bella. È una voce che ha un duplice linguaggio: uno interiore, silenzioso, nel profondo del cuore, ma distinto, e, se autentico, inconfondibile, quello del Signore che parla per via dello Spirito Santo; l'altro esteriore, rassicurante, sempre buono e materno, quello del Pastore.
È una voce che dice: vieni! e che passa, come un vento profetico, sopra le teste degli uomini, anche in questa generazione, la quale piena del frastuono della vita moderna, si direbbe sorda, ma non è così. La voce, oggi, dalle labbri di Cristo, si fa Nostra: è la voce della Chiesa che chiama. Grida nel deserto? Oh, no.
Fu il Signore stesso ad insegnarci a sperare anche in ordine a questo misterioso problema: 'Pregate il Padrone della messe perché mandi operai nel Suo campo' Mt. 9,28"» (aprile 1969)

Con Madre Teresa di Calcutta preghiamo:

Ti ringraziamo, Dio, per il dono di Cristo tuo Figlio e nostro Redentore.

Lo Spirito Santo discenda sul Tuo popolo

e faccia sentire il Tuo dolce invito.

Signore del raccolto, concedi alla Tua famiglia,

in ogni parte del mondo, il dono di molte vocazioni, affinché ai bisognosi

sia dato di conoscere la Buona Novella della Redenzione.

E così possa il Tuo Amore crescere tra noi e diffondersi in tutto il creato.


Antonio Riboldi – Vescovo –
Internet: www.vescovoriboldi.it
email: riboldi@tin.it

martedì 22 giugno 2010

Avrò i tuoi occhi di Patrizia Rigoni a Onde Mediterranee 8 lug a Monfalcone

scheda del libro qui


Festival Internazionale Onde Mediterranee
ufficio comunicazione
Marina Tuni +39 347 0112085
Clara Giangaspero +39 349 2716041
press@ondemediterranee.it
www.ondemediterranee.it
direzione artistica Giancarlo Velliscig
Onde Mediterranee Associazione Culturale
sede legale: Via Marconi, 7 Gorizia
uffici: Via Caterina Percoto 2 - 33100 Udine
Tel: +39 0432 1744261 - Fax: +39 0432 1744262


lunedì 21 giugno 2010

Poesia sacro e subime a Pero 26 giu

scehda del libro qui 



Percorsi per arrivare al Parco di via Figino-via Giovanni XXIII di Pero dove si terrà, alle 15.30 , nell’ambito della giornata “ Tramando Arte” , la presentazione di “Poesia, sacro e sublime”.

Per chi arriva a Milano in treno, dalla stazione Centrale si prende la linea verde della Metropolitana fino a Cadorna e la linea rossa fino a Pero; il biglietto per Pero non costa €, 1,00 (tariffa urbana) ma, ahimè, €. 1,55 (tafiffa extraurbana) ; scesi a Pero si prende via Olona (verso i numeri civici più bassi) , si attraversa la sua perpendicolare (via Curiel), si percorrono cinquanta metri circa in un giardinetto, si attraversa un’altra via ( via Figino) e si entra nel Parco; di fronte si vede la bianca tensostruttura del Tendone .
Stesso percorso, ovviamente, per chi abita in Milano ed arriva in Metro.

Per chi arriva in auto da Milano, statale del Sempione (direttrice via Gallarate), si attraversa la via Sempione in Pero, al secondo semaforo a sinistra, cento metri più avanti alla rotonda a destra, parcheggiare, dopo cinquanta metri, nel grande piazzale a sinistra (piazza S.Giuseppe), attraversando a piedi la strada (via Giovanni XXIII) si vede di fronte il Tendone bianco.

Per chi arriva in auto da est (A4) uscita Pero , seguire le indicazioni Pero. Una volta nel centro abitato arrivare al secondo semaforo , girare a destra e poi seguire le stesse indicazioni del capoverso precedente.

Per chi arriva in auto da nord (A8-A9 – non è una scacchiera ne’ una battaglia navale) prendere la tangenziale ovest ed uscire a Pero; poi seguire le indicazioni del capoverso precedente (e di quello precedente ancora) .

Per chi arriva in auto da sud (A1-tangenziale ovest) uscire dalla tangenziale ovest a Pero sud-zona industriale, percorrere tutta la superstrada su cui ci si immette, alla cui fine
si arriva ad una rotonda (semaforata), prendere a sinistra e ci si trova sulla via Sempione ; di qui seguire le stesse indicazioni di chi arriva in auto da Milano.

Per chi arriva in auto da ovest (A4 dal Piemonte o dal Magentino) prima del casello prendere la tangenziale ovest ed uscire a Figino -Termovalorizzatore AMSA e prendere la medesima superstada di cui al capoverso precedente ( e del capoverso di chi arriva in auto da Milano).
 

venerdì 18 giugno 2010

GINO MONTESANTO RITORNA A CESENATICO


Dal 19 giugno al 19 settembre 2010

Servizio di Davide Argnani

Grazie alla donazione voluta dall’erede Giuseppe Pisciotta, tutto l'archivio e la collezione di Gino Montesanto, il famoso scrittore romagnolo amico di Tito Balestra, scomparso a Roma il 6 luglio dell’anno scorso, è stato donato a Casa Moretti e al Comune di Cesenatico.
Per illustrare la sua importante e vasta attività di scrittore e di intellettuale, e il rapporto intenso con il mondo dell'arte del Novecento, la città di Cesenatico gli dedica una mostra dal 19 giugno al 19 settembre 2010 curata da Manuela Ricci e Orlando Piraccini, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Librari della Regione Emilia-Romagna e sarà inaugurata sabato 19 giugno, ore 18, a  Casa Moretti e al Museo della Marineria.
Cesenatico è la città alla quale Gino Montesanto è stato legato da un profondissimo sentimento di affetto e da sabato prossimo diventa della memoria dello scrittore. A Casa Moretti e alla Biblioteca Comunale si conservano infatti l’archivio e i libri donati dall’erede di Montesanto, Giuseppe Pisciotta: documenti, lettere, fotografie, volumi che rimandano alla vita di Gino, alle sue molteplici esperienze in campo editoriale, alle amicizie e frequentazioni con scrittori e artisti del suo tempo.
Si tratta di una eredità importante, un bene comune convenientemente ordinato e conservato presso le istituzioni culturali cesenaticensi, e che con questa mostra s’inizia a far conoscere alla collettività. Come dichiarano gli organizzatori: di Gino Montesanto la mostra ripercorre il lungo tratto di vita che inizia dalla sua presenza a Cesenatico, prima e dopo il secondo conflitto mondiale, e copre l’intero arco di tempo trascorso a Roma. Filo conduttore della mostra è l’interesse dello scrittore verso le arti visive e il suo coinvolgimento nella vicenda figurativa del suo tempo. Accanto a documenti, immagini, scritti, volumi, che attestano uno stretto collegamento di Montesanto con l’ambiente artistico della capitale ed anche con singoli pittori, scultori e disegnatori, la mostra propone un’ampia selezione di opere provenienti dalla collezione privata dello scrittore. Opere di grandi artisti del ‘900 come Pietro Guida, Enrico Accatino, Amelio Roccamonte, Tano Citeroni, Mino Maccari. Luigi Bartolini, Gentilini, De Chirico, e opere che sono state tra le più care a Montesanto, con la firma di Martin Bradley, Lucio Fontana, Umberto Mastroianni, Antonio Corpora, Achille Perilli, Piero Dorazio e poi le «C/arte nel cassetto» che comprende un’ampia selezione di fogli, disegni, schizzi, incisioni, litografie, ma anche manifesti e locandine con dediche, gelosamente conservati da Montesanto al riparo della luce e d’ogni possibile manomissione: una piccola galleria di preziosità, come nel caso degli schizzi e bozzetti di Cappelli, Saetti, Peverelli, Carrino, Frascà, Guidi, Notari, Romiti, che rimandano all’attività editoriale svolta da Montesanto nei primi anni ’60, per non dire delle cartelle di Maccari e Roccamonte, della serie di acquaforti di Vespignani e dei bozzetti di Strazza per una Via Crucis del 1981.

Gino Montesanto è nato a Venezia nel 1922. Trasferito ancora bambino a Cesenatico, vi rimase sino allo scoppio della seconda guerra mondiale. La Romagna, con il magistero di Marino Moretti, e l’incontro, sotto le armi, con un gruppo di intellettuali ed artisti (Michele Prisco, Mario Pomilio, Enrico Accatino, Silvio Loffredo, Pietro Guida), saranno determinanti per il precoce esordio letterario.
Laureato a Genova, cominciò ad insegnare nella scuola media aperta dall’amico Dante Arfelli, ma pochi anni dopo si trasferì a Roma, dove ottenne collaborazioni con le redazioni di alcuni periodici pubblicando presto il suo primo romanzo, che si distinse per la sua autonomia rispetto alle correnti letterarie allora dominanti. Con uno stile narrativo di espressione realista e di matrice cattolica che lo avvicina, ma lo discosta insieme, dal percorso parallelo di Pier Paolo Pasolini, pubblica: Sta in noi la giustizia (Rizzoli, 1952); La cupola (Mondadori, 1966, premio selezione Campiello); Cielo chiuso (Mondadori, 1967); Il figlio (Rusconi, 1975, premio selezione Campiello); Fino a Jùrmala, (D’Elia, 1976), Cosi non sia (Rusconi, 1985, premio selezione Campiello); Re di sabbia (Rusconi, 1991); Sottovento (Aragno, 2002). Oltre al lavoro di scrittore, Montesanto ha fondato e diretto la rivista «Leggere», ed è stato capo redattore della rivista «La Fiera Letteraria» (1963-1965), lavorando anche come autore e sceneggiatore per la RAI curando numerosi programmi culturali come la rubrica radiofonica «I giorni». È morto a Roma nel luglio 2009.
info: casamoretti@cesenatico.it  - 0547-79279



Ricordando Mario Luzi a S. Miniato 23 giugno

Carissime e carissimi amici di San Miniato al Monte,

ho appena finito di assistere, sul sagrato della nostra basilica, alle suggestive ed emozionanti prove generali di un bellissimo spettacolo fortemente voluto dalla nostra comunità monastica e organizzato di concerto col Comune di Firenze in occasione del V anniversario della morte di Mario Luzi (1914-2005). Il 23 giugno 2010 alle ore 18.30, vigilia della festa del Battista, patrono di Firenze, qui a San Miniato al Monte, davanti alla città intera e alla presenza del Sindaco Matteo Renzi, con la compagnia teatrale Venti Lucenti e Stazione Teatro Urbano, formate da ottimi attori, tutti giovanissimi non professionisti, metteremo in scena, per la regia di Manuela Lalli, una mirabile lirica di Mario Luzi scritta proprio per San Miniato. Ad un’immaginaria porzione di cittadini, radunati sugli «spalti di pace» della nostra abbazia, il poeta nel 1997 indirizzò infatti alcuni memorabili versi occasionati dalla riconferma al ministero abbaziale di Dom. Agostino Aldinucci, il 28 novembre di quell'anno. Mostrando di condividere in questa lirica la stessa diagnosi che fu di Giorgio La Pira secondo il quale «la crisi del tempo nostro può essere definita come sradicamento della persona dal contesto organico della città», anche nella soluzione Luzi pare non discostarsi dalle idee dell’amico sindaco siciliano, che suggeriva come una rinascita della nostra vita civile potesse darsi solo «mediante un radicamento nuovo, più profondo, più organico, della persona nella città in cui essa è nata e nella cui storia e nella cui tradizione essa è organicamente inserita». Questa è forse la chiave di lettura più efficace per cogliere l’importanza e il permanente valore di una lirica, «Siamo qui per questo», capace di connettere con profondo e ispirato afflato le «radici mistiche» di Firenze e il «fuoco dei suoi antichi santi», alla vocazione, certificata e quasi inscritta nella sua «bellezza teologale», di essere ancora per il mondo intero la «città posta sul monte», profezia di «pace e di amicizia», in vista di una rinnovata e coesa testimonianza di amore contro un indomito «presente di infamia, di sangue, di indifferenza». Varie azioni simboliche, la lettura ripetuta della lirica e di pagine lapiriane, il coinvolgimento degli stessi spettatori nella stessa azione teatrale, vorrebbero, nel tardo pomeriggio del 23 giugno, rinnovare il nostro senso di appartenenza alla città e rinvigorire in tutti i presenti la coscienza che è nelle nostre mani e nel nostro cuore la possibilità che Firenze torni ad essere in pienezza l'alto messaggio evangelico che in tanti secoli di arte, di storia e di cultura, il Signore ha lasciato che fosse narrato dalla sua incomparabile bellezza. Posta di fronte ad essa, San Miniato al Monte vuole continuare ad essere silenziosa «porta di speranza» (Osea 2,17) aperta nel cielo della nostra città:



Ricordate? Levò alto i pensieri,
stellò forte la notte,
inastò le sue bandiere
di pace e d’amicizia
la città dagli ardenti desideri
che fu Firenze allora ...
Essere stata
nel sogno di La Pira
“la città posta sul monte”
forse ancora
la illumina, l’accende
del fuoco dei suoi antichi santi
e l’affligge, la rode,
nella sua dura carità il presente
di infamia, di sangue, di indifferenza.

Non può essersi spento
o languire troppo a lungo
sotto le ceneri l’incendio.
Siamo qui per ravvivarne
col nostro alito le braci,
chè duri e si propaghi,
controfuoco alla vampa
devastatrice del mondo.
Siamo qui per questo. Stringiamoci la mano,
sugli spalti di pace, nel segno di San Miniato.


Con sentimenti di amicizia e di pace,
Bernardo e tutti i monaci di San Miniato al Monte

lectio.divina@libero.it

giovedì 17 giugno 2010

Chi sono io secondo la gente?

Omelia del giorno 20 Giugno 2010

XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)


Se c'è una ragione, anzi un dovere meraviglioso, nello scrivere ai miei carissimi lettori (e siete davvero tanti, suscitando in me stupore, gioia e ringraziamento) è quello di fare conoscere davvero in profondità il Figlio di Dio, ossia Gesù.
Il più delle volte noi ci conosciamo superficialmente, la nostra conoscenza viene dal nome, dal volto, ma raramente scende in profondità.
Conoscere in profondità una persona è davvero entrare nel santuario della vita, che tante volte sfugge a noi stessi, quando vogliamo sapere chi siamo.
E quante volte, di fronte a scelte o atteggiamenti incomprensibili anche a noi stessi diciamo: `Non mi capisco', che è quanto dire non mi conosco.
Ma una vera amicizia si fonda sulla conoscenza dell'altro: ed è il dono proprio dell'amicizia, che porta poi a confidarsi e così sciogliere reciprocamente i dubbi e, soprattutto, se abbiamo chiara la natura della nostra vita, condividere le scelte del bene e di ciò che è giusto.
Le persone che si amano davvero sanno cosa significa 'conoscersi'. Non hanno bisogno di tante parole... basta uno sguardo e l'occhio diventa specchio dell'anima.
Ma come è difficile 'conoscersi'.
E come è facile e dannoso dare giudizi su persone senza cogliere in profondità il loro vero “volto”. Da una cattiva conoscenza nascono solo giudizi e comportamenti che fanno male. Se succede così tra noi, cosa possiamo dire oggi della nostra conoscenza profonda di Chi davvero chiede di entrare nella nostra vita come amico, conoscendoLo?
E questo è ciò che chiede, oggi come ieri, Gesù.
Ci sono anime innamorate di Lui e dalle loro parole si coglie la profonda comunione e passione che li unisce: ci si vuole bene.
E vi può essere una conoscenza di Gesù che non sia guida alla santità e alla gioia? Così un giorno S. Ambrogio si esprimeva:

«Tutto abbiamo in Cristo. Tutto è Cristo per noi. Se tu vuoi curare le tue ferite, Egli è Medico. Se sei ardente di febbre, Egli è la Fontana. Se sei oppresso dall'iniquità, Egli è Giustizia. Se hai bisogno di aiuto, Egli è Vigore. Se temi la morte, Egli è la Vita. Se desideri il cielo, Egli è la Via. Se rifuggi dalle tenebre, Egli è la Luce. Se cerchi cibo, Egli è Alimento.» (De verginitate)

Dovere di ogni credente, per essere tale, deve essere una continua ricerca della conoscenza di Gesù... diversamente come Lo si può amare e seguire?
È davvero urgente e necessario chiederci: “Ma Chi è Gesù per me? Cosa conta nella mia vita? O meglio, è la guida e il senso della mia vita?”

È il Vangelo di oggi che ci provoca ed a cui siamo chiamati a dare una risposta:

«Un giorno Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i suoi discepoli erano con lui e pose loro questa domanda: “Chi sono io secondo la gente?”
Ed essi risposero: “Per alcuni Giovanni Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto.”
Allora domandò: “Ma voi chi dite che io sia?” Pietro, prendendo la parola rispose: “Cristo di Dio”. Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno.
“Il Figlio dell'uomo - disse - deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, essere messo a morte e risorgere il terzo giorno.”
Poi a tutti diceva: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita la perderà e chi perderà la propria vita per me, la salverà.”» (Lc. 9, 18-24)

Quella di Pietro è una vera professione di fede, di uno che, vivendo accanto al Maestro, ha imparato a conoscerLo e, ispirato dallo Spirito Santo, ne annuncia l'identità.
Una confessione che viene certo dalla esperienza di stare insieme a Gesù, dell'essere stato scelto da Lui e di averne gustato l'amicizia.

«Sì - afferma Paolo VI - tutto è Cristo per noi. Ed è dovere della nostra fede, bisogno della nostra umana coscienza ciò riconoscere, confessare e celebrare... A Lui è legato il nostro destino, a Lui la nostra salvezza.»

Ma Gesù non si accontenta di essere riconosciuto per quello che è: se davvero è la via, la verità e la vita, non resta che seguirLo.
Non basta fermarci alla conoscenza. Questa è sempre legata, per sua natura, all'amore, se per conoscenza intendiamo “entrare nel profondo” della vita di chi si ama o si vuole amare, Direi che conoscere e seguire sono due verbi inseparabili.
Certamente è per questa mancanza di conoscenza profonda di Gesù, che non si trova la gioia, il desiderio di stare con Lui, di interpretare la vita, qualunque sia, nel desiderio di seguire Cristo. Chi questo lo fa non può non conoscere speranza, verità e gioia.
Non a caso il Vangelo collega la “confessione” dell'identità di Gesù con l'invito a seguirlo. Deve essere la scelta di chi davvero è cristiano.

«Quale scelta? - si chiede Paolo VI - Quella di Cristo. State a sentire. Voi avete già scelto. Voi siete cristiani. Ma quali cristiani siete voi? Essere cristiani non è cosa da poco: vuol dire essere già inseriti nel dramma della salvezza; vuol dire avere già una concezione del mondo e della propria esistenza, della storia passata; vuol dire avere un programma impegnativo di vita, cioè credere, operare, sperare, amare. Ebbene, quali cristiani siete voi? Non conta guardare a come si comportano tanti cristiani. Bisogna che ciascuno badi al proprio comportamento.
Vi è una categoria di cristiani che spesso senza nemmeno pensarci sceglie un comportamento “zero”. Chiamiamo “zero” quel comportamento che non dà alcun peso, alcuna importanza al fatto di essere cristiani. Cioè: è un comportamento nel quale il carattere cristiano non significa nulla. Nei Paesi di missione questo non avviene: un cristiano è cristiano e sa di dover vivere in una certa maniera, con un certo stile che lo distingue, che lo qualifica.
Da noi avviene e spesso che l'essere cristiano non significa nulla, zero. Anzi spesso un cristiano è una contraddizione vivente, perché egli contraddice con la propria maniera di pensare e di vivere come figli di Dio, fratelli di Gesù Cristo, essere come lampada accesa in cui arde lo Spirito Santo, ossia un uomo che sa come vivere e dove va...
Ci sono poi anche uomini disponibili alle idee altrui, pronti a chinarsi al dominio dell'opinione pubblica, uomini dal rispetto umano, uomini, direi, “pecora”. Purtroppo è un fenomeno diffuso nella gioventù e si spiega: vuole mostrarsi forte e indipendente, vera, all'ambiente che conosce, la famiglia, la società. ne vede i difetti e cerca di affrancarsi. Si intruppa con chi conduce il gioco e fa la moda, e diventa un “numero mediocre” senza un proprio valore.
Ma viene il momento in cui bisogna essere 'persone', cioè uomini, donne, che vivono secondo dati principi. Secondo idee-luce.
Uomini, donne che hanno fatto la loro scelta e secondo questa scelta camminano. E questa è la categoria degna delle persone intelligenti e cristiane.” (aprile 1971)

Parole dure, ma molto chiare per chi vuole essere coerente con la fede che professa.
E tutti sappiamo, o dovremmo sapere, che vivere una vita cristiana, che è un meraviglioso e necessario seguire Cristo, è fare oggi una scelta controcorrente.
Era la scelta che chiedeva con forza il Santo Padre ai giovani, nella Giornata Mondiale della Gioventù a Loreto. Essere gente che non ha paura di apparire diversa, ben lontana dal conformismo che toglie ogni bellezza alla persona; capaci di distinguersi per la coerenza e il comportamento da cristiani che viene sì, a volte, deriso, ma in fondo si stima e si finisce per desiderare di imitarli.
Ci sono in ogni città o paese luoghi dove i giovani si radunano in tantissimi.
Spesso regna sovrana la stessa mentalità... di non avere mentalità propria! Si ritrovano per non sentirsi soli, come quei ragazzi che mi dissero: “Noi ci incontriamo senza conoscerci. Stiamo insieme senza amarci. Ci lasciamo senza rimpiangerci.”
La descrizione di che cosa significhi, spesso, essere nella società di oggi, senza una fede che ci renda persone vive e riconoscibili.

Bella questa preghiera di Newmann, adatta oggi:

Mio Signore e mio Salvatore, mi sento sicuro tra le tue braccia. Se tu mi custodisci non ho nulla da temere,


ma se mi abbandoni non ho più nulla da sperare.


Non so cosa mi capiterà fino a quando morirò, ma mi affido a Te. Ti prego di darmi ciò che è bene per me


e ti prego di togliermi quanto può porre in pericolo la mía salvezza. Non ti prego di farmi ricco, non ti prego di farmi molto povero, ma mi rimetto a Te interamente


perché Tu sai ciò di cui ho bisogno e che io stesso ignoro. Concedimi di conoscerTi, di credere in Te,


di amarTi, di semini e di vivere per Te e con Te


e di dare buon esempio a quelli che mi stanno intorno.


Antonio Riboldi – Vescovo –

Internet: www.vescovoriboldi.it

email: riboldi@tin.it


Zeta Filosofia – Territori delle idee n. 6

E’ appena uscito il N. 6 della rivista Zeta Filosofia – Territori delle idee -, edita da Campanotto Editore (Udine).
E’ una rivista in formato tabloid, diretta da Giusi Maria Reale.
Il Comitato scientifico è composto da intellettuali di chiara fama nel mondo scientifico e culturale italiano e straniero: Paul Braffort, Denis Duclos, Gianfranco Draghi, Adriano Marchetti, Margherita Pieracci-Harwell.
La Redazione è formata da: Rita Fulco, Lorenzo Gianfelici, Costantin Pricop, Giusi Maria Reale.

Il tema del nuovo numero è:
Media, multimedia, globalizzazione: democrazia insostenibile?

Collaboratori del numero 6:

Philippe Breton,  professore al CNRS di sociologia al Laboratoire de sociologie de la culture européenne a Straburgo. E’ inoltre storico dell’informatica e osservatore critico delle tecnologie della comunicazione. I suoi studi vertono principalmente sull’antropologia della parola, delle tecniche di comunicazione e delle pratiche dell’argomentazione.

Yves Charles Zarka, professore di filosofia politica all'Université de Paris Descartes (Sorbonne) e direttore della rivista  Cités (PUF). E’ ricercatore al Centre National de la Recherche Scientifique e al Centro di Storia della Filosofia Moderna. Nel 1999 ha ricevuto la medaglia di bronzo del CNRS per il suo trattato su Hobbes "La décision métaphysique de Hobbes", encomiato anche dall'Académie des Sciences Morales et Politiques dell'Istituto di Francia.

Danilo Zolo, professore di Filosofia del diritto e di Filosofia del diritto internazionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Firenze. E’ stato Visiting Fellow nelle università di Cambridge, Pittsburgh, Harvard e Princeton. Nel 1993 gli è stata assegnata la Jemolo Fellowship presso il Nuffield College di Oxford. Ha tenuto corsi di lezioni presso università dell'Argentina, del Brasile, della Colombia e del Messico. Coordina il sito web Jura Gentium, Center for Philosophy of International Law and Global Politics.

L’illustrazione è di Solveig Albeverio-Manzoni: Ishtar terra terra.


È uscita la Comedìa a cura di Massimo Sannelli


Recensioni e segnalazioni
La dimora del tempo sospeso (Francesco Marotta)

Dante Alighieri

Comedìa

cura del testo, note e commenti di Massimo Sannelli
illustrazioni e copertina di Francesco Ramberti
€ 24,00 pp. 732 (Nefesh 2)
ISBN 978 88 95139 84 5

a chi ordina via mail entro il 30-6-2010 verrà inviata al prezzo speciale di € 20,00 a copia incluse spese postali (solo per l'Italia), alleghiamo bollettino di c/c postale al plico

“Parlo in prima persona, come all’interno di un diario: come se parlassi di cose che mi riguardano. In realtà mi riguardano, e non solo nella veste – o nella condizione – di dantologo [a modo mio, sempre]. Parlo semplicemente, non ho nulla da difendere, e dico, per esempio: io non credo ad un Dante popolare [i versi sui lettori in piccioletta barca, che devono tornare indietro, sono uno scoglio, rispetto ai doveri democratici]; quindi non credo ad un Dante preoccupato della salvezza dei contemporanei. O meglio: se Dante si pone il problema della salvezza dei contemporanei, il problema è posto perché quel mondo, quella umile Italia e quella Fiorenza lo interessano; e lo interessano perché la grandezza ha bisogno di humus, come il buon seme gettato in buona terra. Oppure si devia dall’obbligo: iniziano la selva oscura, il delirio religioso e politico dell’Europa (per cui il buon fedele e il buon servo di partito si sviano), la degenerazione filosofica del poeta eletto; il peccato sessuale (perché SELVA è sempre l’anagramma del VASEL erotico: la nave della gita poetica e il sesso delle donne).
Lo smarrito non ama essere smarrito. Lo smarrito è un privilegiato dalla nascita, e la sua vita nova, in nome della Beatrice, è iniziata prestissimo. Se di salvezza si tratta, è una salvezza personale, in primo luogo; ma tutto è in tutto, e Dante è e ha un corpo, come tutti: in questo senso Dante conosce una salvezza che può essere anche mia e tua. Ma solo in questo senso: perché nulla rende Dante un mio e un tuo fratello. Ora il nostro non-fratello è anche un autore giudicante, soprattutto per e contro le anime famose, da Ulisse a Federico II: per Dante ogni nome è il nome di un uomo celebre, e anche questo è un segno di spettacolo o di enfasi.
Il fatto è che la Comedìa è anche un’invenzione, evidentemente. Eppure su questa invenzione Dante può permettersi di giurare, come nel canto di Gerione: lettore, io ti giuro sulle note di questa Comedìa, ecc. Com’è possibile? Dante ha bisogno di giurare sul suo testo – cioè su sé stesso? È quasi la domanda di Nietzsche in margine alla Nascita della tragedia: come? i Greci ebbero bisogno della tragedia? Proprio i Greci. E perché no? Ne ebbero bisogno, visto che la tragedia esiste e vegeta ancora. Così Dante ebbe bisogno della commedia; o meglio: ebbe bisogno di un supergenere chiamato con il nome di un genere già esistente e collaudato: la Comedìa, la grande supercommedia, la commedia di tutte le commedie. (…)
(Massimo Sannellli, da “Salvezza in Dante, salvezza di Dante”, in Salvezza e impegno, Fara, 2010)
 
Gli indirizzi ai quali mandiamo la comunicazione sono selezionati e verificati, ma può succedere che il messaggio pervenga anche a persone non interessate. In caso ci scusiamo e vi preghiamo di rispondere a questo stesso messaggio specificando l’indirizzo mail che volete venga cancellato dalla nostra mailing list.

Silenzio significativo a Benevento 18 giugno

Alfonsina Zanatta intervista su Radio City Anna Maria Tamburini

io lei e la romagnaBellissimo dialogo tra  Alfonsina Zanatta e Annna Maria Tamburini che ha appena pubblicato Colibrì

http://www.faraeditore.it/tamburinicolibr1.mp3

http://www.faraeditore.it/tamburinicolibr2.mp3

mercoledì 16 giugno 2010

Caterina Sforza di Cinzia Demi a Forlì 18 giu

scheda del libro qui

Un pensiero su Profili critici

di Carla De Angelis

Grazie alla raccolta Profili critici del prof. Vincenzo D’Alessio ho ritrovato il piacere di una lettura delicata, profonda, ho camminato lungo il sentiero di vite diverse, da una recensione all’altra è stato un susseguirsi di emozioni.
La letteratura è stata ed è il volano della coscienza, per il suo tramite si esprime la storia, la verità di accadimenti contemporanei e lo scrittore Vincenzo D’Alessio bene e forte lo scrive in tutti i suoi lavori denunciando il malcostume dei politici e l’amarezza per una Terra tanto bella quanto continuamente disattesa.
Di questo prezioso libro colpisce l’empatia e la generosità per come lo scrittore, senza fare sfoggio della sua cultura, è pronto ad entrare nel lavoro di altri scrittori e coglierne l’essenziale, a dare alle parole una identità specifica: i messaggi vanno incontro al lettore che si accorge di un lieve turbamento/cambiamento che esse producono.
Ho avuto la fortuna di conoscere lo scrittore/poeta Vincenzo D’Alessio e sentire nella sua voce l’amarezza, l’immenso dispiacere per la predazione costante che avviene nella sua Terra. I suoi Profili critici sono sguardi intimi da parte di una persona che sa osservare con occhi che conoscono le lacrime, i sentimenti, i dubbi e le aspirazioni degli esseri umani.
Non dimenticando mai il rispetto per la sofferenza e la risalita per il sacro diritto ad una vita dignitosa per tutti.

Roma 16 giugno 2010

Il poeta vede e immagina la realtà con occhi sempre diversi: Bruno Bartoletti

L’Intervista di Antonietta Gnerre


Bruno Bartoletti, narratore, saggista e critico letterario, è nato a Montetiffi, una piccola frazione del comune di Sogliano al Rubicane (FC), dove tuttora risiede. Laureato in Materie Letterarie presso l’Università degli Studi di Genova, si dedica all’insegnamento, svolgendo poi la funzione di Preside negli Istituti Tecnici. Nel 1997 pubblica il suo primo volume di liriche, Trasparenze – Frammenti di memorie, nel 2000 Le Radici, nel 2001 Parole di Ombre, nel 2005 Il Tempo dell’Attese. È membro di numerose accademie nazionali ed è tra i fondatori del Premio Nazionale di Poesia “Agostino Vincenzo Reali”. In questa intervista Bruno Bartoletti riassume il percorso di una vita, con riflessioni acute sul ripiegamento che caratterizza la società attuale.

Quando e perché ha iniziato a scrivere?

I primi ricordi, quelli sufficientemente limpidi, risalgono alla scuola media. Scrivevo allora dei sonetti e versi seguendo una metrica classica, con rime ed endecasillabi. Ho ancora quel quaderno, con la copertina rossa su cui avevo scritto “un giorno sarà meglio”. Credo che il fatto che maggiormente mi ha spinto verso la poesia (e verso la scrittura in generale) sia stata la morte di mio padre in miniera in Francia. Avevo allora 8 anni. Passavo l’estate a scrivere racconti e poesie. Ma credo ci fosse anche in me una certa predisposizione verso la poesia. All’esame di terza elementare recitai a memoria le due strofe del X Agosto, quelle in cui si descrive la rondine uccisa e caduta tra spini.

Quali sono le sue regole preferite?

Credo che la poesia debba sempre sottostare a un suo ritmo, a una sua musicalità e a un lavoro sulle parole. C’è chi si è definito un operaio delle parole quando scrive dei versi, e Fernando Pessoa / Alvaro de Campos, in una paginetta datata 9 aprile 1939, definisce la poesia come “una forma di prosa con un ritmo artificiale” . In questo senso credo che si debba lavorare molto sulle parole, sui versi e sulla loro musicalità, sul ritmo. Non concepisco la poesia se non nella sua musica, nelle sue assonanze e nelle sue metafore. Il poeta vede e immagina la realtà con occhi sempre diversi.

Cosa sognano i poeti?

Giovanni Pascoli, parlando di Alessandro Magno, scrive che “il sogno è l’infinita ombra del Vero”. Ecco, credo che i poeti non si stanchino mai di sognare, di descrivere questa realtà e di immaginare un mondo migliore. La poesia nasce sempre dal dolore e da una sua rappresentazione e il poeta scava dentro, per usare un’espressione di Giorgio Caproni, il poeta è “un minatore”. Efficace è questo enunciato di Carlo Betocchi: “Tu hai nel petto un garbuglio di cose che ronzano come un’arnia di api al lavoro. S’apre uno spiraglio nell’arnia; il capo del verso, come un’ape d’oro, appare, sull’orlo, fremente, sta per spiccare il volo, e sdipanare il garbuglio dello sciame”. Mi scrive Beatrice Niccolai: “Purtroppo il compito dei poeti è stato quello di stare nell’ombra delle cose per ricordare di come si vede filtrare la luce. È lì che cerco nel mio qui attraverso i libri dove la parola è eterna”. Ecco, il sogno è soprattutto quello di reperire il senso vero delle parole, la loro eternità, ricordando che, come affermava il poeta inglese Wystan Hugh Austen, quando le parole perdono il loro significato prevale la forza.

Quali sono i suoi libri preferiti?

Non amo i libri che raccontano semplicemente delle storie e faccio fatica a terminare libri che si soffermino in prevalenza sul racconto, sulla trama. Preferisco i saggi. Nella poesia ricerco una trasmissione di emozioni, la rappresentazione di un modo di sentire, di rappresentare e di pensare e la prospettiva che è il rapporto tra il poeta e la sua parola. Nel romanzo ricerco un tema, soprattutto l’analisi di sentimenti, l’introspezione: il Morselli di Dissipatio H.G., o Buzzati, Svevo, Poe, Kafka; o libri che affrontino temi fondamentali del vivere, come Fahrenheit 451., La storia infinita, Il Piccolo Principe, Il Gabbiano Jonathan. Nella poesia Agostino Venanzio Reali, Margherita Guidacci, Antonia Pozzi, Mario Luzi, Cristina Campo, Antonella Anedda, Alba Donati, Patrizia Cavalli, Fernanda Romagnoli, Silvia Bre, e potrei continuare.

Il libro di poesia più bello che ha letto?

In questi ultimi anni, in questi ultimi mesi, uno dei libri di poesia più belli è l’ultimo di Narda Fattori: Il verso del moto. Ma, senza fare una classifica, compito estremamente difficile e fuori luogo, ci sono diversi libri che in questi ultimi mesi hanno occupato la mia scrivania: Tutte le poesie di Margherita Guidacci, di Antonia Pozzi e di Cristina Campo, Lasciami non trattenermi di Mario Luzi, Le barricate misteriose e Marmo di Silvia Bre, Il tredicesimo invitato e Mar Rosso di Fernanda Romagnoli, Non in mio nome di Alba Donati, Residenze invernali di Antonella Anedda e l’ultimo recentissimo, La fonte ardente, gradito dono di Maura del Serra, oltre a Lo scriba delle stagioni, altro gradito dono di Barberi Squarotti.

La sua carriera professionale ha influenzato il suo modo di scrivere?

Non saprei, ma credo di no, non c’è un rapporto diretto tra quello che fu il mio lavoro e la scrittura, anche se nel mio lavoro ho scritto molto, specialmente ai ragazzi e ai docenti, le mie lettere di Natale, i miei principi e l’importanza dello studio e della lettura, con ricche citazioni di autori. Ho sempre considerato che nella scuola il sapere, la cultura debbano occupare un ruolo essenziale. Ho sempre pensato che il docente o il preside debbano essere i principali interpreti e artefici di questo ruolo. Il mio modo di scrivere è stato invece soprattutto influenzato dagli autori che ho incontrato e che prediligo.

Il suo ultimo lavoro di che parla?

Ho scritto un libro sulla scuola e sto scrivendo un lungo saggio sulla poesia, ma probabilmente non troveranno mai una pubblicazione. Ho da qualche anno smesso di partecipare a concorsi di poesia e ho smesso di pubblicare, anzi credo che non pubblicherò più, ma questo non vuol dire che io smetta di scrivere. Il mio ultimo libro pubblicato è del 2005, è un libro di versi, Il tempo dell’attesa, edito da Ponte Vecchio di Cesena. È il libro in cui meglio che in altri parlo dell’assenza, delle cose che si perdono, del tempo. È un ripiegamento su se stessi e sul mondo per cercare di interpretarlo.

Che rapporto ha con la sua terra?

Di discreto osservatore, come mi hanno definito su un quotidiano locale, un rapporto di amore ma anche di discreta critica. “Io, la mia patria or è dove si vive”, scrive Giovanni Pascoli in Romagna. Io posso dire di essere sempre stato in fuga e senza patria, dall’età di 8 anni, dalla morte di mio padre: quarta e quinta elementare dalla zia, poi anni di collegio, poi ancora dagli zii, laurea a Genova, sempre da una zia. Era il pegno che si doveva pagare per poter studiare, ma poi sono tornato a casa. Ho rinunciato perfino all’Università di Torino, pur di tornare a casa, alle radici, alla mia terra. In Il tempo dell’attesa c’è una sezione che va sotto il nome di Le Radici, stesso titolo del mio penultimo libro di versi.

Secondo lei l’Italia è smarrita?

Credo proprio di sì. Il suo popolo è fantasioso, ha estro, è animato da principi sani, ma sta anche attraversando un periodo confuso in cui sono cadute le ideologie e si sono persi i punti di riferimento e di identità. Sì, l’Italia sta attraversando un periodo critico in ogni campo e ciascuno si sente un poco più solo. Soprattutto gli adulti, mentre i giovani ancora rappresentano la parte più sana.


Perché?

In tempi che stanno rapidamente cambiando, l’Italia non riesce a stare al passo, non riesce a comprenderli. Direi che tutto questo è mancanza di cultura, di preparazione, di competenze; prevale l’interesse individuale, il proprio particolare su quello generale, che era uno dei principi dettati da Rousseau. La politica non riesce più a dialogare. E la mancanza di regole o di rispetto delle regole produce confusione, ma quello che è ancor più grave è che questa mancanza di rispetto deriva proprio da chi dovrebbe le regole farle rispettare. Non c’è molto spazio per la critica e per l’osservazione. Credo che si debba recuperare il senso dello Stato, dell’Etica; dovremmo far nostra la massima che Kant fece scrivere sulla sua tomba: “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me”

Questa crisi è servita a qualcosa?

Dovrei rispondere, come fece Pasolini, che “non la poesia è in crisi, ma la crisi è in poesia”. In altre parole la poesia, la letteratura, descrivono questa crisi, ma non la risolvono. Le crisi si risolvono con la politica e con l’impegno di tutti, con la partecipazione, con un elevato senso del dovere e di morale, con una elevata preparazione culturale, con il saper leggere i linguaggi. Ma oggi la parola si è trasformata in urlo, in volgarità, in spot, e lo spot, disse Moravia, è esattamente il contrario della comunicazione, è “la morte della parola”. Don Milani rispondeva, a proposito di politica, sottolineando il principio della partecipazione: “sapere che il problema degli altri è uguale al mio, uscirne tutti insieme è la politica”.

martedì 15 giugno 2010

“Come comunicare il Terzo Settore” 22 giugno



Mostra evento sull’infanzia negata


9-30 GIUGNO 2010 – SALA SANTA RITA – ROMA

Presentazione del libro “Come comunicare il Terzo Settore”



22 giugno 2010 - ore 18.00


Nella cornice della mostra-evento “UNCHILDREN” sull'infanzia negata verrà presentato il volume “Come comunicare il Terzo Settore” (P. Citarella, S. Martello, G. Vecchiato, S. Zicari, ed. Franco Angeli, 2010) con interventi di Stefano Martello e Paolo Ferrara, Responsabile Comunicazione e Raccolta Fondi di Terre des Hommes.

La mostra UNCHILDREN – Infanzia Negata promossa da Terre des Hommes in occasione del cinquantennale della sua fondazione, vuole sensibilizzare sulle violazioni dei diritti dei bambini attraverso le toccanti opere di Stefania Spanò”, dichiara Paolo Ferrara. “Questa forma di comunicazione visiva ha un immediato impatto sui fruitori e riesce a scuotere l'indifferenza imperante nella nostra società. L'abbiamo voluta accostare alle immagini degli interventi di Terre des Hommes per la protezione dei bambini dagli abusi e violenza per sottolineare che è possibile, con il contributo di tutti, cambiare il loro destino”.

In questo contesto ben si inserisce la presentazione di Stefano Martello, che parlerà degli approcci sinergici nella comunicazione del Terzo Settore per un piano d'azione in evoluzione. "è importante superare l'ansia di voler comunicare tutto, dunque niente, privilegiando un modello di comunicazione consapevole rispetto a ciò che si vuole comunicare e razionale nella scelta degli strumenti idonei". Non dimenticando - conclude Martello "nessun pubblico della nostra organizzazione".

La mostra UNCHILDREN rimarrà aperta fino al 30 giugno alla Sala Santa Rita, grazie al sostegno e all’ospitalità del Dipartimento Cultura del Comune di Roma e al contributo di Telecom Italia e Banca Etruria.

Terre des Hommes collabora con autorevoli istituzioni delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea e fa parte della coalizione di 785 ONG che dal 2000 portano avanti la Giornata Mondiale per la prevenzione dell’abuso sull’infanzia, che, ogni 19 novembre, ha l’obiettivo di ricordare, con un fiocco giallo, quanto sia fondamentale, per il futuro della società, fare in modo che l’infanzia sia il centro delle strategie di sviluppo. Terre des Hommes, portando nella città eterna le drammatiche suggestioni di Stefania Spanò, anticipa il suo coinvolgimento, anche quest’anno in prima linea, nella campagna internazionale per la prevenzione dell’abuso sull’infanzia.



Rossella Panuzzo - Ufficio stampa Terre des Hommes - tel. 02 28970418 – 340 3104927

ufficiostampa@tdhitaly.org   - www.terredeshommes.it




lunedì 14 giugno 2010

IL BAR ITALIA DI SOLOFRA

Vincenzo D’Alessio & G.C.F.Guarini

La storia della nostra cittadina è ricca di presenze commerciali che hanno reso celebre il gusto dei dolci e dei gelati. “Luciano ‘o cafittiero” è ancora presente e vivo nella memoria di tanti di noi. Poi è subentrato il figlio Francesco, che ancora lavora alacremente accanto alla nuova leva, il figlio Leonardo, erede oggi del patrimonio di anni di buona attività commerciale.
Il grande giornalista e scrittore Goffredo RAIMO, che spesso è stato giudice dei concorsi indetti dalla Camera di Commercio di Avellino, era entusiasta del “buon cioccolato” che il Bar Italia offriva ai suoi clienti. Ne è testimonianza l’attestato che, con cura, i discendenti di Luciano ‘o Cafittiero, conservano nei locali che oggi si sono arricchiti di un’altra presenza storica.
Fino a poco tempo fa, in una delle stanzette del bar, c’erano le bellissime foto che la famiglia DE CRISTOFARO aveva donato dalla sua collezione, che proponevano luoghi caratteristici di Solofra e momenti storici salienti. Oggi, la famiglia D’URSO (questo è il cognome che parte da Luciano e giunge a Francesco e Leonardo) ha voluto onorare la memoria del musicista e poeta Antonio D’Alessio, intitolando e dedicando questa saletta alla sua memoria.
La cerimonia inaugurale si è svolta domenica 13 giugno, festività onomastica del Santo di Padova, alle ore 20,00, alla presenza dei maggiori poeti irpini: Antonietta GNERRE, Domenico CIPRIANO e Raffaele BARBIERI. L’inizio della manifestazione è stato dato dalla benedizione solenne del frate francescano Gianluca, del Convento dei Frati Minori di Solofra. I tre illustri rappresentanti della Poesia nazionale hanno parlato, poi, della figura di Antonio D’Alessio e recitato le sue poesie, comprese nella raccolta postuma “La sede dell’estro”. Accanto alle poesie la musica ispirata dei fratelli Giuseppe e Nicolino D’Alessio, piena dell’amore per il fratello scomparso.
C’erano tanti giovani. Moltissimi amici di Antonio, tra i quali i musicisti del gruppo al quale apparteneva Notturno Concertante di Grottaminarda. C’erano i famigliari. C’era anche la presidente del circolo Legambiente di Solofra, la dr.a Maria DE CHIARA, la quale è stata insignita, in questa occasione,del titolo di “ Socio Onorario” del Gruppo Culturale Francesco GUARINI, sostenitore delle iniziative culturali in favore del territorio irpino.
Nel promuovere questa iniziativa, il BAR ITALIA, è stato l’unico ente commerciale di Solofra a collegarsi con la grande storia dei caffè letterari, di cui l’Italia va fiera, e che hanno caratterizzato i momenti più belli ed esaltanti delle voci civili per la Libertà della nostra penisola.

Neil White & Lullabye Quartet pro ISAL

Cari amici

nuovo appuntamenteo musicale giovedì sera 17 giugno organizzato dall'Associazione ISAL al Teatro degli Atti di Rimini. Lo scopo è raccogliere fondi per l'acquisto di un apparecchio MTS (Stimolazione Magnetica Transcranica) che verrà usato nel Reparto di Terapia Antalgica dell'Ospedale di Rimini.
Si esibirà il gruppo musicale Neil White & Lullabye Quartet in un progetto musicale che ci trasporterà nelle emozioni di una musica senza tempo e ci condurrà attraverso armosfere modern soul e note jazz funk ripercorrendo i classici indimenticabili di Barry White, Randy Crawford, Ray Charles, Harold Melvim, Simply Red, James Brown, Chuck Mangione, ecc.
Neil White - voce; Manuel Cilio - tromba e flicorno; Marco Versari - tastiere; Milho Merloni - basso; Marco Frattini - batteria.
Per impreziosire ulteriormente la serata saranno presenti la bravisima cantante Raffaelli Cavalli e il celebre batterista Chicco Capiozzo.
L'ingresso è a offerta libera ... anche se per una serata del genere 10 euro sono ben spesi!
Ti aspettiamo per una serata all'insegna della solidarietà.

Antonella
Associazione ISAL

Massimo Sannelli interpreta Lorenzo Calogero


CITTA' FANTASTICA. IL LUNGO CANTO DI LORENZO CALOGERO
Appunti per una messa in scena

TEATRO BELLI, Roma
domenica 27 giugno, ore 21:00
ingresso libero

Gruppo Sperimentale Villanuccia e Teatro Belli

un progetto di Nino Cannatà
adattamento dei testi e messa in scena
in collaborazione con Carlo Emilio Lerici

il poeta : Massimo Sannelli
la figura femminile : Emmanuelle D’Alterio
voce off : Carlo Emilio Lerici

coreografia : Roberto Sartori
danzatori : Katiuscia Bozza e Gianmarco Norse

musica originale : Girolamo Deraco
eseguita dal vivo da
Matteo Ballini (pianoforte)
Elisa Santacroce (flauto)
Federica Santoro (lira calabrese)

scene, video e regia : Nino Cannatà

assistenti regia : Valentina Dugo e Andrea Civinini
animazione lettering : Pietro Fantoni
sviluppo grafico : Vitoria Muzi
editing video : Simone Carrai
multimedia : Progetti Digitali

La voce off legge brani dalle testimonianze di Giuseppe Tedeschi.
I manoscritti inediti di Lorenzo Calogero del 1936 e del 1957
sono trascritti rispettivamente da Arianna Lamanna e Lucia Calogero.

produzione Villanuccia 2002-2010
co-produzione Teatro Belli, Roma
con il sostegno di:
Banca di Credito Cooperativo di Cittanova
con il patrocinio di:
Regione Calabria, Ass.to alla Cultura
Provincia di Reggio Calabria, Ass.to alla Cultura
Comune di Melicuccà

Si ringraziano gli eredi Calogero

***

Interpretare e restituire al pubblico Lorenzo Calogero e la sua poesia
risulta certamente complesso, per l’immensità dell’opera in gran parte
inedita e per il silenzio che ancora l’avvolge. Ma il fiume dei suoi
versi custodisce un sogno, che il poeta medita nell’intero arco della
sua vita.

« (…) Resteranno ancora parecchie cose che io non conosco e forse non
conoscerò mai? E pure quello che ho appreso è veramente tanto, per cui
il titolo che avevo pensato per un mio libro di poesie e che, dentro i
miei limiti e le mie capacità poetiche, avrebbe dovuto essere quello
di Città fantastica intendendo con tale titolo di designare la
possibilità di una capacità espressiva che avesse quasi del
fantastico, essendo intercomunicante in tutti i punti di essa, (…)
pensavo anche quasi ad una città del tutto notturna, dove ogni punto
di essa fosse in relazione e comunicante con tutti gli altri. (…) »

Lorenzo Calogero non ha vissuto che nell’atto poetico, nella ricerca
inesausta di un’espressione fantastica e immaginifica, che questo
spettacolo vuole evocare attraverso le suggestioni del teatro. Nella
“Città fantastica” la parola poetica dischiude il proprio incanto
svelando i suoi elementi essenziali: immagine, suono, movimento
diventano così, nella messa in scena, “sillabe arcane” di un alfabeto
onirico, che ricompone innumerevoli orizzonti, paesaggi sognati. La
voce off accompagna lo spettatore in un fitto arabesco di versi,
riflessioni, segni, lettere, contenuti nelle centinaia di quaderni
manoscritti, scandendo il racconto biografico, mentre i gesti
dell’attore-poeta ne narrano i movimenti con i pochi simbolici oggetti
di una scena essenziale. Ma le traiettorie di una danza dello
sdoppiamento tracciano le forze racchiuse nei versi, manifestando
l’altra vita di Lorenzo Calogero, spesa in quell’oltre in cui la
parola dimora. Da un abbozzo di note, sorprendente traccia scoperta in
uno dei quaderni, nasce la partitura originale, e il canto lirico di
una figura femminile è l’eco di un “soliloquio altissimo”.

“Città fantastica – il lungo canto di Lorenzo Calogero” è un’opera
video-teatrale per attore, soprano, due danzatori e piccola orchestra,
frutto della lunga ricerca artistica che il Gruppo Villanuccia ha
dedicato alla meravigliosa arte poetica di Lorenzo Calogero,
sperimentando le “intercomunicazioni” tra i diversi linguaggi
espressivi. In questa prima forma di Appunti per una messa in scena è
l’inizio di un viaggio nel sogno calogeriano, perché possa svelarsi
nel “qui e ora” del teatro.

A partire da qui ora si danza,
ora si sogna.

www.lorenzocalogero.it
www.villanuccia.com
www.teatrobelli.it