venerdì 28 maggio 2010

Nel Cuore della SS.ma Trinità

Omelia del giorno 30 Maggio 2010
Santissima Trinità (Anno C)

Il primo insegnamento che usciva dal cuore delle nostre mamme – un tempo e speriamo ancora oggi – era di educare la nostra mano ed il nostro cuore a farsi il segno della croce. Era il 'segno' che apriva e chiudeva la giornata, vissuta così nell'amore della SS.ma Trinità.

Eravamo ancora incapaci di camminare sicuri, ma la nostra manina si lasciava condurre da quella sicura di chi ci aveva donato la vita, e tracciava sulla nostra fronte, sul cuore e sulle spalle, fino a disegnarla con chiarezza, come segno di tutta l'esistenza, la croce, quella di Gesù, accompagnando il segno con le parole `Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo'.

Una brevissima professione di fede che avrebbe dovuto segnare ogni passo del nostro pellegrinare: ogni inizio di giornata, di lavoro, di sacrificio, dì riposo, vero distintivo e professione di ciò che siamo diventati con il Battesimo: figli di Dio.

Figli di un Padre, che si è donato gratuitamente e da cui siamo creati e a cui apparteniamo; un Fratello, il Figlio di Dio, Gesù, mandato dal Padre per salvarci e talmente vicino a noi da essere 'pane di vita'; 1' Amore stesso di Dio , lo Spirito Santo, effuso su di noi nella Cresima, che ci assiste e dà forza nella difficile nostra vita.

Tracciando il segno della croce, se siamo attenti, professiamo le principali verità di fede: Dio Uno e Trino, Padre, Figlio e Spirito Santo e la morte e resurrezione di Gesù, espressione concreta di quanto sia infinito l'Amore.

È tanto grande la verità contenuta nel Mistero della Santissima Trinità, da rimanere sbalorditi, non solo per ciò che è, ma per il Suo divino degnarsi di abbassarsi fino a farsi dono per noi!

Viene proprio da chiedersi quanto prega il Salmista:

"O Signore, nostro Dio, quanto è grande il Tuo Nome su tutta la terra.

Se guardo il cielo opera delle Tue dita, la luna e le stelle che Tu hai creato,

che cosa è mai l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli; di gloria e di onore l'hai coronato;

gli hai dato potere sulle opere delle Tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi". (Salmo 8)

C'è da confondersi, se pensiamo quanto l'uomo di oggi difficilmente sappia riferirsi a questa sua grandezza, che gli viene dalla Santissima Trinità. Difficilmente sappiamo volgere la nostra attenzione sul grande Amore, di cui siamo onorati e circondati.

Così Gesù ha annunciato ed continua ad annunciare questo grande Amore:

"In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: 'Molte cose ho da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito, e vi annuncerà le cose future Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede é mio, per questo vi ho detto che prenderà del mio e ve lo annunzierà". (Gv. 16, 12-15)

Cosi il nostro caro Paolo VI, descrive il grande Mistero della SS.ma Trinità:

"Il santo Natale non ci rivela soltanto Cristo, ma da Lui traspare la visione abbagliante e avvincente della Paternità di Dio e con quella il Mistero della stessa vita di Dio, il mistero della SS.ma Trinità. Dio è Padre eternamente generante, in se stesso, il Figlio, il suo proprio vivente Pensiero, il suo Verbo identico nella natura, cioè nell'essere al Dio unico principio assoluto e insieme, nell'identità di sostanza di Padre e del Figlio, spiranti l'Amore, lo Spirito Santo. Unico l'Essere divino, ma sussistente in Tre Persone uguali, distinte e coeterne, verità eccedente la nostra capacità di conoscenza; essa tratta della vita divina in se stessa e perciò ineffabile, ma non senza un minimo ma meraviglioso riflesso, che riscontreremo e che riscontriamo in S. Agostino: lo dico – scrive – queste tre cose, essere, conoscere, volere. Io sono, io conosco, io voglio... In queste tre cose quanto sia inseparabile la vita... quanto inseparabile la distinzione... veda chi può". (7 gennaio 1974)

Purtroppo sembra difficile vedere oggi gli uomini farsi il segno della croce, accompagnandolo con una vera professione di fede: o non lo sanno più fare o, ancora più triste, non ne conoscono il contenuto. E viene tanta nostalgia di quando le nostre famiglie, nella loro composta, a volte dura povertà, che non si vergognavano di manifestare, erano meravigliosamente illuminate da questo semplice segno di fede. Anzi era la 'croce', che papà e mamma piantavano, non solo al centro della famiglia, ma ancor più della nostra vita, come a ricordarci che 'il Padre ti ama, il Figlio ha dato la vita per questo amore, lo Spirito Santo è l'Amore, prezioso sale della vita'.

Quel 'segno della croce' raccoglieva le tante lacrime, che in Gesù acquistavano il sapore dell'amore. Le braccia aperte di Dio, costrette dai chiodi a non chiudersi mai, mettevano una gran voglia di abbandonarsi, come a voler affondare la testa su quelle spalle, che si offrivano per accogliere. E quel Cuore sempre aperto era come la porta di casa. Sentivi che ti introduceva in un infinito, desiderato Paradiso, la Casa di Dio, che Lui vuole, da sempre e per sempre, condividere con i Suoi figli.

Ma ora la gente pare che voglia camminare senza quella croce, con il senso di chi ha deciso, non se ne capisce la ragione, di sfrattare dalla propria vita il Mistero dell'Amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e così... finisce che ci si sente sfrattati dalla pace, dalla pietà, dalla compassione e dalla misericordia!

Così tanti si sentono come sul lastrico della vita a mendicare gioie che non ci sono, con nel cuore, al posto della Croce, voglia di ricchezza, dì gloria, svendita di vita, dignità e tentazione di violenza. Rimane l'amarezza di non percepire nella propria vita lo sguardo del Padre, che dal trono della croce del Figlio, pare ci dica: 'Sono qui a dirti che ti amo tanto, da darti come segno del mio amore questo stare sulla croce del mio Figlio; un amore che condividiamo pienamente, un amore che diventa Fuoco con lo Spirito."

Non è forse rassicurante e bello sapere di essere amati da Dio?

Nella nostra debolezza o ignoranza, amiamo a volte piccole cose che non hanno cuore e durano poco. Erano gli ultimi giorni della vita di mia mamma. Nella sua lunga vita, durata 99 anni, non si potevano contare i segni di croce che aveva fatto ed aveva aiutato i figli a fare. Tanti come i passi della sua vita, così come sono diventati l'alfabeto della mia vita su cui Dio ha composto la mia esperienza. Ed ogni segno di croce esprimeva tanta fede, che era come dire, anche in situazioni, che avrebbero fatto gridare di disperazione: 'Io ti amo, Signore, si faccia di me secondo il Tuo Cuore'. Anche quando vide morire –allora non vi erano le cure di oggi – un figlio piccolo, che si chiamava Francesco, e mi aveva preceduto nella nascita; o quando morì un'altra figlia, una bambina a cui aveva dato il nome di Maria Redenta, in onore dell'anno della Redenzione, il 1933; o quando seppe del terremoto nel Belice ed io ero là, senza poter comunicare con lei, per rassicurarla; o nominato vescovo ad Acerra, sotto scorta. Era sempre lo stesso abbandono all'amore del Padre, che la guidava, anche se spesso... faceva un gran male. Conoscevo molto bene quel suo muovere le mani come recitasse il 'Credo'. La contemplavo come si contempla il Mistero della Trinità. E conservo nel cuore l'ultima benedizione e la stessa solennità nel fare il segno di croce, l'ultimo giorno della vita, quando mi chiese di benedirla. Era la croce il suo incessante credo, che ornava e sosteneva la sua vita.

Quanto amore contiene la Trinità, quando la lasciamo 'incarnare' nel nostro vissuto!

Così scrive Paolo ai Romani:

"Fratelli, giustificati per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo: per suo mezzo abbiamo anche ottenuto, mediante la fede, di accedere a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio.

E non soltanto questo: ma ci vantiamo anche delle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza.

La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato". (Rom. 5, 1-5)

E con Madre Teresa di Calcutta offriamo la preghiera:

"O Dio del cuore, tu che hai creato e dato la vita a tutti noi,

facci crescere in amore per Te e l'uno per l'altro.

Hai mandato Tuo Figlio, Gesù Cristo, per rivelarci che Tu ti prendi cura di noi tutti e che Tu ci ami. Donaci il Tuo Santo Spirito, affinché susciti in noi una fede forte, abbastanza forte per capire con profonda comprensione la vita degli altri popoli, in modo da saper scorgere

in ogni bicchiere d'acqua, offerto all'assetato, un bicchiere d'acqua offerto all'amato tuo Figlio".



Antonio Riboldi – Vescovo –

Internet: www.vescovoriboldi.it

email: riboldi@tin.it


Indipendente/mente festeggia con Fante 12 giu

FANTE

 




E' con immenso piacere che vi invito all'evento forse più importante che ho organizzato nei miei ormai 3 anni di attività libraria. In collaborazione (preziosissima) con il TTV, festival internazionale di teatro di riccione, giunto quest'anno alla sua ventesima edizione. Dan Fante, scrittore come l'indimenticato e indimenticabile padre John. Dan è uno scrittore di razza, di sangue e di cuore. L'appuntamento è al teatro del turismo di Riccione (P.zzale Ceccarini, 11). Dalle ore 18.15 presentazione e proiezione del bellissimo documentario JOHN FANTE. PROFILO DI SCRITTORE con la presenza dell'autrice Giovanna Di Lello. Alle 21.15 incontro presentazione del nuovo libro di Dan Fante BUTTARSI (Marcos Y Marcos), che esce proprio in quei giorni. A impreziosire il tutto la presenza di Cristiano Godano dei Marlene Kuntz che presenterà il suo libro I VIVI (Rizzoli, 2008) e che suonerà anche alcuni brani in versione acustica. Doppia presentazione davvero imperdibile + film imperdibile. Il programma dei tre giorni di festival potetete scaricarlo dal sito http://www.riccioneteatro.it/ttv/index.php. Di seguito gli approfondimenti sulla serata del 12 giugno. La libreria Indipendentemente sarà presente durante tutti e 3 i giorni del festival davanti al Palazzo del turismo, insieme ad altre librerie, case discografiche, artigiani e associazioni. Grazie a tutti !!!!!
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Calendario di tutti gli eventi

Indipendente|mente Interno 4 - P.Iva: 03663130403 - P.by RG

Beatitudini a Vercelli

mercoledì 26 maggio 2010

Mastropirro e Franzin a Radio City Vercelli-Biella

Potete ascoltare i file audio delle interviste di Alfonsina Zanatta a Vincenzo Mastropirro e Fabio Franzin, fra i partecipanti al covegno avvellanita Poesia e salvezza, svoltosi l'8-9 maggio 2010

mastropirro 1.mp3
mastropirro 2.mp3

franzin 1.mp3
franzin 2.mp3

Patrizia Rigoni a Tolmezzo e non solo!

Avrò i tuoi occhi in tournée

L'aturice, Patrizia Rigoni, svelerà i segreti del suo ultimo romanzo nelle seguenti località

29 maggio Tolmezzo Libreria TempoLibro - ha vinto il premio come una delle migliori d'italia! - presenta il propietario Antonio Paradiso

9 giugno Venezia Biblioteca Marciana presenta la responsabile Annalisa Bruni, il pediatra Benni Assael e rappresentante del Lyons che si occupa
dei Libripalrati (per i non vedenti, sulla questione della cecità). L'incontro avverrà nella splenida Antisala della Libreria (v. foto qui sotto).

marciana

19 giugno Lissone Festival del Libro Notte del Libri - apertura per tutta la notte fino all'alba della Biblioteca) presenta Patrizia Bordogna, e
l'oculista Alessandro Sammartino

News da S. Miniato

Carissime e carissimi,

sono a ricordarVi il nostro prossimo incontro di Lectio divina, ancora Luca, ancora il Vangelo della Passione: giovedì prossimo, 27 maggio, alle ore 18.40 nella
 nostra consueta sala vicino alla Basilica.

Inoltre vi segnali Terra Futura, l'importante rassegna annuale che si tiene a Fortezza da Basso qui a Firenze (cfr. http://www.terrafutura.it/ ).
Vi segnalo infine questa iniziativa promossa dalla nostra Arcidiocesi:



In vista della Sessione negoziale sul clima delle Nazioni Unite, che si terrà a Bonn dal 31 maggio al 10 giugno, il Centro Missionario diocesano invita a
partecipare all'Azione Simbolica intitolata "Tra terra e cielo: lo sguardo sulla città e sul mondo", che avrà luogo venerdì 28 maggio, alle ore 21.00, nel
piazzale della chiesa di San Miniato al Monte.

L'evento è promosso da FOCSIV e Arcidiocesi di Firenze, nell'ambito della Campagna "Crea un clima di giustizia", per ricordare che la costruzione di un
mondo più giusto e la realizzazione di un tempo di pace passano anche dalla salvaguardia dell’ambiente in cui viviamo e si costruiscono, giorno dopo
giorno, a partire dalle scelte politiche delle istituzioni governative, dall’impegno delle comunità locali e dal nostro stile di vita.

Un carissimo abbraccio a Voi tutti da Bernardo

Passaparole

È stato pubblicato il libro PASSAPAROLE, edizioni Eks&Tra, con i racconti dei partecipanti del terzo laboratorio di scrittura creativa interculturale e le presentazioni del prof. Fulvio Pezzarossa, della scrittrice Christiana de Caldas Brito e del giornalista Daniele Barbieri. Il libro è stato realizzato grazie al contributo del Dipartimento di Italinistica dell\'Università di Bologna ed è in distribuzione gratuita.  Per maggiori informazioni e per ordinarlo andate su www.eksetra.net
Se potete, passate parola.... Grazie!
Associazione Eks&Tra

lunedì 24 maggio 2010

Il corpo




   Era cresciuto a dismisura: un corpo enorme, osceno, che invadeva i prati e la valle. Se ne parlava ovunque a bassa voce. Ma era impossibile ignorarne lo scandalo. Il corpo giaceva lì, straordinariamente gonfio, disteso sulla schiena.
   Gli occhi talvolta si muovevano – una palpebra tremolante, un battito di ciglia, il roteare del globo oculare all’indietro che mostrava il bianco. Uno spavento. La bocca faceva smorfie lente e s’increspava verso il naso, quasi incollandovi il labbro superiore. Le braccia e le gambe rimanevano inerti, come morte. Tuttavia il corpo respirava.
   Un giorno decisi di avventurarmi in quel luogo. Era autunno, le nuvole grigie e compatte sembravano sfiorare la terra e strozzare il fiato sui campi. Un umore malinconico mi spingeva fuori dal paese. Mi strinsi nel mio giaccone marrone.
   Man mano che mi avvicinavo i cinguettii degli uccelli si diradarono fino a cessare del tutto, e perfino il fruscio degli alberi sembrò tacere. Un silenzio denso avvolgeva il mio primo sguardo. Vidi i piedi del corpo, le sue grandi piante gialle che mi superavano in altezza. Gli alluci staccati dalle altre dita parevano sul punto di abbandonarsi, di cadere.  
   Camminai con cautela sull’erba pallida, mi spostai sul fianco della carne gonfia, quasi inciampai nelle dita tozze e curve della mano sinistra. Un fremito mosse l’indice e mi trovai l’unghia davanti a sbarrarmi il passo. Feci un balzo.
   Il corpo respirava e dal ventre squarciato fuoriuscivano volti dormienti. Ad ogni inspirazione i volti si rattrappivano, e nelle espirazioni erano espulsi come minuscoli nascituri mostruosi. Al loro posto, nel ventre aperto, sgorgavano nuovi visi muti.
   La luce si spargeva sulla valle provenendo dall’orizzonte ondulato. Poi anche quel chiarore svanì, e giunse la notte. Il corpo gorgogliava sonorità dalla bocca, come rumori d’acqua in una grotta.
   Cercai un po’ di calore tra le sue gambe, poggiai la testa su una coscia, mi addormentai.
   Per tutta la notte i volti mi osservarono in sogno. Al mattino essi non c’erano più, e l’orribile ferita che lacerava il ventre adesso si era chiusa. Guardai il cielo, un raggio di sole che risvegliava i campi, diedi un cenno di commiato al corpo. Sul sentiero del ritorno incrociai un viandante. Ci scambiammo un saluto. Poi, allontanandomi, ricordai quel viso, che avevo visto erompere dalla gigantesca pancia squarciata.
   In paese mi chiesero ansiosi del corpo. Sussurravano quasi, e si avvicinavano al mio orecchio. Parlai d’una creatura enorme e solitaria, innocua, giunta forse nella valle per morire in pace. Dissi dei volti e dell’incontro sulla via verso casa. Quegli uomini spauriti replicarono al mio racconto con esclamazioni appena udibili e un parlottare sommesso. In uno di essi riconobbi un viso apparso dalla carne aperta.
   Il giorno dopo scrutai nel viavai della mia piccola comunità, nel proliferare dei volti che s’insinuavano nella folla paesana divenendo, quelle sembianze ovali, identità di uomini e donne. Cercavo un indizio, una traccia.
   Confidai la mia inquietudine ad un amico, gli chiesi un aiuto nell’indagine. Mi disse di suoi disegni dove, nei precedenti mesi, aveva trasferito una incomunicabile angoscia. Sfogliai centinaia di immagini a matita frutto del suo estenuante lavorio segreto. Rappresentavano visi lunghi e inespressivi, con gli occhi chiusi.
   “Sarà meglio distruggere questi disegni,” suggerii affannato.
   Portammo i fogli in un campo non distante,  ricco d’erbacce e pietre. Guardammo in silenzio il fuoco divorare  sembianze e multiformi memorie del mio amico. Da ragazzo talvolta mi era stato affidato il compito di bruciare figurine cristiane e ramoscelli secchi di ulivo benedetto. Accompagnavo gli attimi della distruzione con preghiere recitate a fior di labbra.
   “Hai paura?” mi chiese l’amico, osservando la danza d’un’ultima fiammella tra i fogli divenuti fragilissime lamine nere.
   Non risposi.

   Trascorse l’autunno e l’inverno e buona parte della primavera. Le nostre indagini senza metodo non diedero alcun risultato. In un mattino ancora freddo di marzo andammo insieme nel luogo dove giaceva il corpo. Ma esso non era più lì. Forse sopravviveva in altre zone, ma nessuno aveva visto la creatura gigantesca, ed anche dai paesi dei dintorni non giunsero notizie di avvistamenti.
   Raccoglievo continuamente in quei giorni primaverili una gran quantità di foglie di gelso. Era il nutrimento che fornivo alle miriadi di voracissimi bachi da seta che s’ingrassavano sopra alcuni graticci, sul legno d’una vasta soffitta scura in un casolare di campagna. Quando mi chinavo in quel buio delimitato dalle travi basse mi avvolgeva il brusio delle bocche in incessante masticazione.
   Né io né il mio amico vedemmo più un solo viso tale da metterci in allarme o da me ricordato come spaventosa nascita dalla carne nella valle.
  D’estate, nell’ora che si avvicinava al tramonto, andavo a piedi al mare, percorrendo in discesa una scorciatoia serpeggiante composta da larghi gradini in pietra. Raccoglievo sulla spiaggia conchiglie e ciottoli. Talvolta mi bagnavo nell’acqua colorata, nel tepore salmastro d’una intera giornata di sole.
   Giunse un altro autunno e con esso un nuovo languore della fine. “Questi nostri corpi non sono immortali,” dissi a me stesso. “Prima o poi arriverà per tutti l’estrema stagione. Niente più autunni o primavere, nessuna ulteriore avventura nella sofferenza e nella gioia.”
   Conoscevo già il sentiero da seguire. Trovai il corpo enorme disteso sull’erba secca della valle. Mi raccolsi tra le sue gambe. Poi giacqui addormentato.
      
   
  
  

domenica 23 maggio 2010

Antonietta Gnerre intervista Gaetano Troisi

Gaetano Troisi è nato a Tufo (Avellino) il 14 agosto 1936. Avvocato, vive a Salerno. È stato bancario a Milano e cultore di politica economica presso l’Università degli Studi di Salerno. Ha scritto: Inchiesta sul sistema bancario (1970); Il sonno delle guardie (1985); Una realtà, una lotta, una carcerazione (1985); Colpevole ad ogni costo. Il caso Carrelli (1988); Due anni all’Inps (1990); Il gioco dei giusti (1991); L’oro di Tufo (2003); Lo scandalo della giustizia. Il Diario di un giudice di Dante Troisi  cinquant’anni dopo (2005). In questa intervista con Gaetano Troisi  parliamo del suo ultimo libro e del suo infinito amore per la scrittura:

Recentemente Lei ha pubblicato con Jaca Book il libro Sotto le stelle della Galizia, sottotitolato Diario di un laico a Santiago de Compostela. Come è nato questo libro?

“È proprio il caso di dire che il libro è nato sopra la mia testa e all’insaputa di me stesso. Mi spiego… Il protagonista, colto in un momento particolare della sua vita professionale, accetta di intrupparsi in una comitiva del Club Alpino. È abituato alle escursioni in montagna, e questa volta, pur di fare qualcosa che rompa la routine divenuta quasi insopportabile, accetta la proposta senza pensarci due volte: Santiago de Compostela ha un fascino che viene da lontano e l’attrazione culturale che emana lo conquista seduta stante. Ma non sa quel che lo aspetta lungo il Camino. Il libro che ne rievoca l’avventura nasce per caso, senza volerlo; anzi per scrivere il libro il protagonista deve superare un dilemma di tipo psicologico e culturale, sulla opportunità di raccontare il viaggio compiuto; successivamente, convinto della necessità di raccontare, decide la forma del racconto, se a voce o per iscritto. Vince la scelta della scrittura, che gli è forse più congeniale. Anche ai fini di una testimonianza di vita, da rendere duratura, non solo populo coram, ma anche verso se stesso, con una specie di resoconto o bilancio del proprio vissuto”.

In questo libro, da parte del protagonista,  spicca l'interesse per le tematiche spirituali e religiose.  È stato difficile per Lei dare voce a un personaggio così complesso?

“Il personaggio è complesso, è vero: all’apparenza è semplice e candido; conoscendolo meglio,  invece, riesce problematico. E a furia di scavare dentro sé stesso, camminando fra i milioni di passi che lo hanno preceduto nei secoli o lo seguono durante la marcia lungo il Camino, scopre all’origine della sua formazione, anche civica, lo zampino della chiesa e dell’oratorio. E questo era particolarmente vero un tempo, nei paesi sperduti dell’hinterland, quando non c’erano distrazioni straripanti come nell’età contemporanea; e, allora, nel periodo fecondo dell’adolescenza, un pellegrinaggio a San Michele del Gargano, per esempio, valeva anche come esperienza culturale per chi non si sarebbe potuto permettere il lusso di andarci da solo. E se a scuola fosse stato  bravino, trovava anche interessi diversi da quelli religiosi, scoprendo in quel luogo la presenza di un certo re longobardo che aveva emanato un editto famoso o le torri ottogonali care all’architettura di Federico II”.

La cosa che più salta all'occhio nel libro è il viaggio come scoperta dell'anima.

“L’ambiente attraversato, in buona parte ancora ben conservato, favorisce il raccoglimento in se stessi se si è predisposti alla riflessione sollecitata da ciò che si vede brillare intorno o viene suggerita dall’arte e dalle opere dell’uomo. È un magma interiore che si rimescola e risveglia i propri sentimenti e i sedimenti culturali. I quali non restano, a qualunque età, come fossili, stipati più o meno ordinatamente nelle teche della memoria. Non c’è da meravigliarsi, allora, se la domanda delle domande si fa strada in maniera inesorabile: chi sono, perché vivo, da dove è spuntata la mia vita? Forse è in tutto ciò quel che lei chiama anima”.

Il personaggio è un avvocato che ha tanta voglia di staccarsi dalla routine e vivere una parentesi nuova della sua vita. Quanto somiglia a Gaetano Troisi il personaggio della storia?

“Certo, si dà il caso che il protagonista sia un avvocato, ma potrebbe essere chiunque, anche un camionista stanco del suo mestiere e bisognevole di una pausa. La condizione per il pieno appagamento è la capacità di risvegliare i sentimenti attraverso la forza della cultura o della bellezza della Natura. Il protagonista può contare su queste due leve, a patto che la cultura immagazzinata nel tempo non si riduca a nozioni ammucchiate nella mente, ma siano fonti di guida e verifica nella condotta pratica. In questo modo la cultura diventa punto di partenza per un’ascensione continua verso livelli superiori di emancipazione. E per stare all’esempio del camionista, non è necessario conoscere Pitagora per inserirsi in questo processo ascensionale: basterà che la forza del sentimento si apra gradualmente al fascino della Natura o dell’Arte o di altri valori, siano pure religiosi. La parentesi nuova è una conquista per essere diversi da come si era. Il protagonista somiglia al suo autore, ma l’assimilazione non è totale né pacifica. Ed è naturale: ogni scrittore trasferisce nei suoi personaggi, in tutto o in parte, la sua esperienza di vita”.

Il viaggio comincia a diventare qualcosa d'altro. Cosa?

“Gualtiero, il protagonista, scopre di essere un allogeno in una terra caratterizzata in prevalenza dal sentimento religioso o dalle opere che ad esso si collegano. Allora, risvegliatasi in lui la coscienza laica, scruta nella sua “diversità” e ne soffre, perché non può amalgamarsi in tutto e per tutto ai camminanti. Sono i prodromi del resoconto con se stesso sul piano della formazione religiosa, e di là dalle differenze e credenze di ciascuno. È l’incontro semplice e schietto tra uomo e uomo, e l’esaltazione dei valori dell’Umanità nel suo arduo cammino di emancipazione. Senza conoscersi, basta uno sguardo per entrare in sintonia. È una specie di regresso alla mitica età dell’oro: così l’ho sentito dentro di me, quel viaggio, rivivendo certi momenti del Camino”.

Nel libro è presente il conflitto tra fede e ragione, vissuto come un continuo scavo interiore. Giovanni Paolo II al tal proposito, nella lettera enciclica FIDES ET RATIO del 24 settembre 1998 scriveva: "La fede e la ragione sono come le due ali con la quale lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità". È d’accordo con questa definizione?

“Non si tratta di essere d’accordo o in disaccordo. È un modo di sentire che  non appartiene a tutti; importante però è che tutti abbiano la possibilità di realizzarsi nella visione del mondo che li appaga. E, quindi, importante è rispettarsi nella diversità. Personalmente faccio fatica a mettere d’accordo «fede  e ragione» : non ci riesco”.


Come ha preso forma nei suoi pensieri questo libro?

“Ho attraversato fasi in piena contraddizione: volevo e non volevo scrivere; e in questo realmente Gualtiero può identificarsi nel travaglio dell’autore. Alla fine anche la struttura ha preso forma, dando vita al libro così com’è”.

 Quali autori sono stati importanti per la sua formazione?

“I classici latini e greci. Anche lo stile, penso, ne risenta. Ogni tanto, per mio diletto, vado a rileggermi qualche autore antico. Tra i miei preferiti, Lucrezio e Orazio, e Seneca; e devo aggiungere Lisia, per il mondo greco, e Senofonte. Venendo ai tempi nostri, ho letto moltissimo durante l’adolescenza. Ho amato in particolare Il Vecchio e il mare, e ve n’è traccia abbondante nel libro. E poi, i grandi della letteratura di ogni tempo, da Dostojewski a Camus”.

Ha qualche progetto da rilevarci in anteprima?

“Di progetti ne ho; e ho pure qualche inedito nel cassetto. Ma è difficile venir fuori nel mercato di oggi. I suoi gusti non collimano del tutto con i miei, mentre gran parte degli editori ne tiene conto per ragioni evidenti. Bisogna che il numero dei lettori cresca e sappia selezionare i libri destinati a durare. Io penso di avere scritto qualcosa che va in questa direzione. Recensioni importanti lo confermano e sono incoraggiato a proseguire secondo l’identità che mi appartiene. È tanto se una casa editrice del livello di Jaca Book  ha volto l’attenzione alla mia opera e l’ha premiata in tempi piuttosto celeri”.

 Ci parli del suo amore per la scrittura?

“Nel corso della sua evoluzione l’uomo ha penato a lungo per inventare uno strumento di comunicazione del pensiero, al di là della parola. La scrittura è il più antico e, forse, ancora il più usato. Assicura una certa durata nel tempo. Un poeta diceva che la poesia vince di mille secoli il silenzio: e a me piace estendere questo effetto alla letteratura in genere, anzi a una certa letteratura, come a un mondo sublime del quale non si può fare a meno. Un mondo di libertà assoluta, nel quale chiunque può cimentarsi e dar conto del proprio passaggio. E, naturalmente, con la propria visione del mondo, con tutto quel che ne consegue (anche nel senso di impegno per concorrere al miglioramento dei rapporti sociali o per scandagliare il mistero della condizione umana). Il piacere di comunicare e trovare riscontri, con assensi o dissensi, è grandissimo. Non tutti riescono a un certo livello: è questione di doti che non si possono comprare. Per quanto mi concerne, conosco i miei limiti e mi sforzo di superarli”.

Ci sono storie più difficili da raccontare?

“Il campo è immenso. E penso alle violenze nascoste, quelle sulle quali è difficile sollevare il velo per condizionamenti che vengono da varie direzioni, specie dalle «strutture del male» delle quali parlava, se non erro, proprio Giovanni Paolo Secondo”.

Qual è la forza della sua scrittura?

“Non lo so: giudichino i lettori. Potrei però azzardare un’ipotesi: la sincerità, la chiarezza e, forse, il bisogno di testimoniare”.


GAETANO TROISI, Sotto le stelle della Galizia. Diario di un laico a Santiago de Compostela, Milano, febbraio 2010, p. 153, € 16.00.

venerdì 21 maggio 2010

AperitivArt 2010


23 MAGGIO 2010 – ore 20,00
GIARDINI DI PALAZZO ORSINI (palazzo comunale)
SOLOFRA (AV)

2° appuntamento:
MUSICA  JAZZ – POESIA – PITTURA – SCULTURA – FOTOGRAFIA

AperitivArt è una manifestazione culturale giunta alla “terza edizione” e ideata dall’artista poliedrico Antonio D’Alessio, prematuramente scomparso. L’associazione “ La Sede dell’Estro” da lui fondata, mantiene vivo il suo ricordo e l’organizzazione delle attività.


Poeta ospite: Domenico Cipriano

Pittura: Fulvio Rosapane, Leonardo Cumbo
Fotografia: Michele Acampora
Musica: Jazz con il Conservatorio G. Martucci di Salerno
Marirosa Fedele presenterà il CD “Portami con te”
Perfect Funk Jazz Quartet
Scultura: Tina Aldisi

Aperitivi curati da Luigi Ventre


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DIALOGHI MUTI a Meldola dal 29 mag

Con il Patrocinio del Comune di Meldola
e con la collaborazione dell’associazione culturale Rumori in Cantina

Pro Loco Città di Meldola
In concomitanza con
"La Notte dei Fiori"

Presenta:

DIALOGHI MUTI

MOSTRA D’ARTE
CONTEMPORANEA
Terza edizione di
GARAGE 31

Opere di
Lorenzo Di Lucido e Luca Freschi

Sabato 29 Maggio 2010
Inaugurazione ore 18.00
presso GARAGE 31
via alla Rocca 31 - MELDOLA (FC)
La mostra rimarrà aperta per tutta la durata de La Notte dei Fiori


GARAGE 31 è un’antica cantina privata a ridosso delle mura della rocca
meldolese  in passato dedicata al gioco della palla corda. Oggi, su gentile
concessione della famiglia Pretolani, apre le sue porte come spazio culturale
dedicato ai giovani linguaggi d’arte contemporanea, sempre più attenti a
valorizzare aree urbane in disuso attribuendo loro nuove valenze.
 In concomitanza con La Notte dei Fiori, a cura della Pro Loco città di
Meldola, sabato 29 Maggio, la terza edizione dell’expò di GARAGE 31 presenta
gli artisti Lorenzo Di Lucido e Luca Freschi che, benché giovanissimi, vantano
già un ricco curriculum espositivo nazionale ed internazionale.

giovedì 20 maggio 2010

Pentecoste - grande ora della chiesa

Omelia del giorno 23 Maggio 2010

Pentecoste (Anno C)

“Grande ora della Chiesa”, così definisce Paolo VI la Solennità della Pentecoste, ossia il giorno in cui lo Spirito Santo, come a completare l'opera iniziata da Gesù, per riportare gli uomini alla nobiltà di figli di Dio, ci ha donato la forza ed energia, che solo Dio può dare e dà.

Così narrano quel giorno gli Atti degli Apostoli:

"Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso un rombo dal cielo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano gli Apostoli. Apparvero loro lingue di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno di loro ed essi furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito Santo dava loro di potere esprimersi.
Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore e dicevano: 'Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E come mai li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?
Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e della Libia, vicino a Curne, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio". (At. 2, 1-11)

Si ha come l'impressione che a Gerusalemme, quel giorno, si fosse radunato tutto il mondo, come a essere testimoni del grande evento, che era la 'nascita della Chiesa di Dio'. E sembra di assistere al racconto biblico della stessa creazione dell'uomo, quando Dio, dopo aver composto con il fango la sua creatura, la rese partecipe della sua stessa vita, infondendole il Suo Spirito.
Per questa sua natura spirituale, che viene direttamente da Dio, l'uomo non può stare solo. Ha profondamente bisogno di essere amato e di amare. Senza amore si sente paralizzato... menomato. Gli Apostoli, che conoscevano molto bene le debolezze e paure della natura umana, e ne avevano dato prova piena il giorno della passione di Gesù, quel giorno è come fossero rinati, riscoprendo e ritrovando in se stessi, per azione dello Spirito, la stessa energia di Dio, così da potersi esprimere ormai senza più paure, dando vita alla comunità cristiana.
Basta leggere gli Atti per toccare con mano il grande cambiamento interiore avvenuto in loro.
Lo Spirito Santo ormai li aveva trasformati, fino al punto da non temere più opposizioni, ma addirittura gioire, ogni volta venivano perseguitati, messi in carcere, flagellati, tornando sempre sulla piazza e nel tempio a 'lodare Dio' e continuare l'opera di evangelizzazione, che era stata loro affidata dal Maestro, la stessa a cui siamo chiamati tutti noi cristiani, oggi, sia pure in modi diversi.
C'è un giorno nella nostra vita in cui anche per noi accade l'Evento della Pentecoste, ossia il giorno in cui riceviamo il grande sacramento della Cresima: lo Spirito Santo diviene l'anima del nostro coraggio nel vivere e diffondere il Vangelo.
Ma è così?
Quante volte questa domanda mi viene sulle labbra, quando amministro agli adolescenti il sacramento. Esternamente è grande festa, ma pare si fermi lì, quando invece la vita cristiana dovrebbe da quel momento avere un inizio più incisivo e consapevole.

La mia vocazione alla vita religiosa è nata proprio il giorno della mia Cresima, quando il Cardinal Schuster mi 'lesse negli occhi' (ero chierichetto) forse il segno di una particolare vocazione. La forza dello Spirito mi aiutò a dire 'sì' e così ho potuto conoscere una discesa ancora più potente dello Spirito Santo, il giorno in cui il Vescovo stese le mani sopra di me, invocando lo Spirito Santo, nel ricevere il sacramento dell'Ordine. Ma fui come sconvolto quando, circondato da circa 30 vescovi, in piazza a Santa Ninfa, rispondendo alla chiamata di Paolo VI, che mi aveva voluto vescovo, sentii le mani del Cardinal Pappalardo stese sul mio capo, poi unto dall'olio crismatico. Compresi che qualcosa di nuovo, tutto interiore, sorprendente avveniva in me, come vescovo, pastore delle anime, affidatemi dal Maestro.
A distanza di anni, ogni volta do uno sguardo al mio servizio di parroco nel Belice e ancora dì più agli anni da vescovo nella non facile diocesi in cui vivo, mi è chiara 'la presenza dello Spirito Santo' al punto da chiedermi: chi ha agito? Chi ha dato energia e discernimento?
La risposta è sempre la stessa: lo Spirito ha operato ed io sono stato uno strumento.
Anche se in modi diversi, ogni cristiano nel giorno della Cresima, riceve lo stesso Spirito.
A volte lo si costringe a restare ininfluente, per impreparazione, - poiché lo Spirito opera sempre attraverso la nostra libera volontà – a volte rende davvero la nostra azione profetica. Penso ai grandi Pontefici che ci hanno accompagnato nel secolo scorso.

Chi non ricorda Giovanni XXIII? Non è forse stata ispirazione dello Spirito l'aver indetto il Concilio Vaticano II, da parte di questo Papa buono, considerato da molti, all'inizio, 'solo un Papa di transizione'? La sua stessa presenza sorridente e affabile, come se nulla fosse impossibile, non ha forse suscitato meraviglia, infuso ottimismo e coraggio?
Ricordate la sera dell'inizio del Concilio, quando con semplicità salutò i pellegrini in piazza S. Pietro, invitando tutti a dare una carezza ai bambini?
E che dire di Paolo VI, vero apostolo delle genti, che soffrendo seppe guidare il Concilio e la Chiesa in tempi tanto difficili? E del coraggio di Giovanni Paolo II, che fino alla fine ha testimoniato 'il vento gagliardo' dello Spirito?
Così come possiamo ricordare tanti vescovi che hanno lasciato la loro impronta di uomini dello Spirito, o sacerdoti che abbiamo ammirato per la loro profonda spiritualità e zelo apostolico.
Ma il pensiero corre anche ai tanti martiri, che non temono di andare incontro alla morte, a volte dopo tanti tormenti... anche oggi, in tante parti del mondo.
E viene da chiedersi: 'Ma chi dà la forza del martirio?'. Vi è una sola risposta: lo Spirito Santo.
Così come il pensiero va ai tanti fratelli e sorelle laici, che, in tante parti del nostro pianeta, devono ogni giorno mostrare grande forza d'animo per essere fedeli a Cristo, a cominciare dalla Cina, dove è facile essere arrestati e si deve ricorrere alla clandestinità per esercitare la fede, o nell'India dove si può avere la casa distrutta e perdere la vita per la fede in Cristo.
Sono davvero tanti i testimoni, oggi, dell'opera dello Spirito Santo. Anche tra la nostra gente.
Ne incontro in ogni parte d'Italia: giovani, uomini e donne, che sono stupendi testimoni che lo Spirito opera in modo incredibile e non ha certamente paura delle tante mode o contrasti. Qualcuno ha detto che è difficile essere cristiani coerenti, ossia testimoni veri dello Spirito, oggi. Credo invece che siano ancora tanti e ovunque ed in ogni categoria.

Come a dare ragione a quanto, scrisse S. Paolo ai Corinzi:

"Fratelli, nessuno può dire 'Gesù è il Signore' se non sotto l'azione dello Spirito Santo. Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito. Vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore Vi sono diversità di operazione, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune  E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei e Greci, schiavi o liberi, e tutti ci siamo abbeverai a un solo Spirito". (Cor. 12, 12)

Davvero grande il Dono dello Spirito Santo. Sapere che Lui è forza e luce dona coraggio nelle vicende della vita.
Per questo la Pentecoste è la 'grande ora' della Chiesa, che deve mostrare il suo vero volto. Paolo VI così commentava questa grande Solennità, il Dono per eccellenza:

"Grande ora è questa che offre la sorte di concepire la vita cattolica come una dignità e una fortuna, come una nobiltà e una vocazione.

Grande ora è questa che sveglia la coscienza dall'assopimento indolente in cui per moltissimi era caduta e la illumina a nuovi diritti e doveri.
Grande ora è questa che non ammette che uno possa dirsi cristiano e conduca una vita moralmente mediocre, isolata ed egoista, caratterizzata solo dalla osservanza stentata di qualche precetto religioso, e non piuttosto trasfigurata dal vivere la propria fede con pienezza dí convinzioni. Grande ora è questa che bandisce dal popolo cristiano il senso della timidezza e della paura, il demone della discordia e dell'individualismo.
Grande ora è questa in cui la Pentecoste invade di Spirito Santo il Corpo mistico di Cristo e gli dà un rinato senso profetico, come affermava Pietro nella prima predica cristiana che l'umanità ascoltava: Profeteranno i vostri figli e le vostre figlie, e i giovani vedranno visioni e i vostri vecchi sogneranno sogni. E sui miei servì e le mie ancelle in quei giorni effonderò il mio Spirito e profileranno'. (At. 2, 17-18): cioè godranno di interiore pienezza spirituale ed avranno capacità di darne stupenda testimonianza". (giugno 1957)

Tocca ora a noi lasciarci invadere dallo Spirito Santo.

Lo preghiamo con la sequenza della S. Messa del giorno di Pentecoste:

"Vieni, Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce. Vieni, Padre dei poveri, vieni Datore dei doni, vieni luce dei cuori. Consolatore perfetto, dolce Ospite dell'anima, dolcissimo Sollievo. Nella fatica Riposo, nella calura Riparo, nel pianto Conforto. O Luce beatissima, invadi nell'intimo, il cuore dei tuoi fedeli. Senza la tua Forza, nulla è nell'uomo, nulla senza colpa.
Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato, Dona ai tuoi fedeli, che soli in Te confidano, i tuoi santi doni. Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna. Amen".

E a tutti, carissimi, BUONA PENTECOSTE!



Antonio Riboldi – Vescovo –

Internet:  http://www.vescovoriboldi.it/

email: riboldi@tin.it

mercoledì 19 maggio 2010

Maria Pia Quintavalla presenta China a Milano 21 mag

Carissimi/e,

vi trasmetto l'invito a nome della Biblioteca Vigentina, di anteprima e lettura dal mio libro CHINA, di cui parleremo con Paolo Giovannetti.
Scritto nell'ultimo decennio, e romanzo in versi, rappresenta una tappa che mi è molto cara, centrale anzi, della mia crescita.
                                                    Vi aspetto numerosi e spero, lieti lettori. Grazie,
                                                                         Maria Pia Quintavalla

Avrò i tuoi occhi a Venezia e non solo


L'aturice, Patrizia Rigoni, svelerà i segreti del suo ultimo romanzo nelle seguenti località

29 maggio Tolmezzo Libreria TempoLibro - ha vinto il premio come una delle migliori d'italia! - presenta il propietario Antonio Paradiso

9 giugno Venezia Biblioteca Marciana presenta la responsabile Annalisa Bruni, il pediatra Benni Assael e rappresentante del Lyons che si occupa
dei Libripalrati (per i non vedenti, sulla questione della cecità). L'incontro avverrà nella splenida Antisala della Libreria (v. foto qui sotto).

marciana

19 giugno Lissone Festival del Libro Notte del Libri - apertura per tutta la notte fino all'alba della Biblioteca) presenta Patrizia Bordogna, e
l'oculista Alessandro Sammartino
occhi

martedì 18 maggio 2010

Le pillole di Enrica 9

note di lettura di Enrica Musio, precedenti qui


Il libro di poesie di Roberta Borsani  Il rosaio d’inverno ci porta a conoscere delle liriche mistiche e religiose, pazienti e calme. Un buon libro.

Il paradiso degli esuli di Gabriella Bianchi ha un modo particolare di presentare i suoi versi: o parla di liriche scritte da un motivo ispiratore o liriche scritte in momenti molto distanziati, dove l’autrice pretende ci sia una conoscenza del suo estro poetico.
Un buon libro.

Il libro di Nino Di Paolo Il primato della pietà descrive una magnifica e sincera autobiografia dell’autore, con racconti anche inventati. Un libro che parla del quotidiano, del vissuto dell’autore, descrive anche i favolosi anni '70, anni anche molto duri storicamente e politicamente; la lotta armata, le manifestazioni. Un bellissimo libro, scritto molto bene dall’autore.

Il libro di Gladys Basagoitia  Il fiume senza foce narra una storia autobiografica dell’autrice da quando era una bambina alla sua adolescenza fino ad ora che è una donna adulta. Un libro con un forte senso di pudore e riservatezza.
Un buon libro.

Il segreto del poeta di P.G. Kien racconta del ritrovamento di un vecchio manoscritto di un poeta del secolo XII con tutti i racconti che il poeta scriveva, le sue avventure ecc.
Un viaggio nel Medioevo antico, tra gli antichi cantori, i giullari, le storie del Re Artù, di Lancillotto e Ginevra, di Tristano e Isotta.
Un viaggio tra Francia, Inghilterra, Scozia e Cornovaglia.
Questo libro ricorda un po’ la storia del libro di Umberto Eco Il nome della rosa. Un libro leggendario e favolistico.



Il libro di Franca Fabbri  Sto consumando l’ultima casa ci offre delle poesie sul tema della morte, anche nel modo più tragico e cattivo. Un libro duro e sconvolgente, doloroso. Mi raccomando non leggete questo libro se siete appena reduci da un brutto lutto, vi sconvolgerebbe troppo. Un libro interessante da leggere.

In Storie minime Maria Pina Ciancio scrive poesie che trattano dei luoghi della propria anima, della storia silenziosa di un popolo: il libro ci narra storie poetiche di emigrazione.Un libro descrittivo di abitudini, valori, coraggio e anche della Resistenza. Ci descrive il Sud (il meridione)  delle contraddizioni, tra l’arcaicità e la modernità  del presente e degli attuali mutamenti. Un buon libro.

Nel libro Tra disastri e desideri Marco Statzu ci offre poesie magiche, strane, contemplative, religiose; ma anche con una perfetta tecnica scritta, ci sono anche degli esperimenti poetici.
Un buon libro.


In Objects Alberto Mori descrive una poetica moderna, folle, intrigata, con una buona tecnica di scrittura: una poetica giovane, ma esperta. Una poetica alle volte obliqua e poco chiara, ma alle volte con un linguaggio forte, non volgare, ma tagliente.
Un buon libro.

La tirannia dell’intimità di Francesca Mannocchi contiene poesie che sono epigrammi, telegrammi, poesie che ci vogliono fotografare delle sensazioni, degli amori e delle relazioni particolari in modo oggettivo. Ci porta a mondi in chiaro o scuro come foto in bianco e nero, come quelle che ci sono nel libro: belle foto fatte da una eccellente fotografa.
io lei e la romagnaPoesie intrise di dolore e di entusiasmo. Un bel libro.

Benedetto XVI ovvero il coraggio della misura

di Bernardo F.M. Gianni
Prendendo a prestito il titolo di un saggio dedicato nel 1998 a Pietro di Montmoittier, celebre abate di Cluny , e cioè “Pietro il Venerabile il coraggio della misura”, per dare una riassuntiva etichetta alla valore e ai contenuti del discorso tenuto da Papa Benedetto al Collegio dei Bernardini, potremmo anche noi dire Benedetto XVI a Parigi ovvero il coraggio della misura, adoperando con “misura” una parola chiave che molto può essere utile per comprendere qualcosa della vita monastica e del perché in essa il Papa ha trovato più che una ispirazione in un discorso certamente non solo storico, non solo erudito, ma soprattutto –e non poteva essere diversamente- in un discorso autenticamente “pastorale”, di quel Pastore cioè che osa avventurarsi con umile e sapiente coraggio oltre i confini della Chiesa per camminare nelle strade delle nostre città dove Dio, dice il Papa, è ormai “diventato veramente il grande Sconosciuto e lì incontrare –novello Paolo all’areopago ateniese, - le moltitudini in cui, nonostante tutto, “resta presente la domanda circa il Dio ignoto”, e quindi la mite ma ferma convinzione con cui riposizionare come legittima e feconda “quella domanda circa Dio”, che se fosse liquidata da un settario neopositivismo come domanda capricciosa e irrazionale significherebbe, dice ancora il Papa “la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura”. Questo il culmine allo stesso tempo polemico e pastorale del discorso Parigino, del settembre 2008 tenuto in un luogo che il papa definisce emblematico: esso era infatti un antico centro di formazione accademica dei monaci cisterciensi fondati nel 1098 in Francia, edificato quando anche questi monaci, come già i grandi ordini mendicanti, percepirono alla fine del Medioevo la città come ineludibile luogo di confronto e accrescimento culturale, il College in anni recentissimi per volontà del Cardinale Lustiger è divenuto –dice ancora il Papa-   “centro di dialogo tra la Sapienza cristiana e le correnti culturali intellettuali e artistiche dell’attuale società”, un centro che ben a diritto potrebbe rientrare fra quegli auspicati “atrii dei gentili” di cui il papa avrebbe parlato poco più di un anno dopo Parigi, nel dicembre del 2009 quando rivolgendosi alla curia Romana egli scriveva “Come primo passo dell’evangelizzazione dobbiamo cercare di tenere desta la ricerca (di Dio); dobbiamo preoccuparci che l’uomo non accantoni la questione su Dio come questione essenziale della sua esistenza. Preoccuparci perché egli accetti tale questione e la nostalgia che in essa si nasconde. Mi viene qui in mente la parola che Gesù cita dal profeta Isaia, che cioè il tempio dovrebbe essere una casa di preghiera per tutti i popoli (cfr Is 56, 7; Mc 11, 17). Egli pensava al cosiddetto cortile dei gentili, che sgomberò da affari esteriori perché ci fosse lo spazio libero per i gentili che lì volevano pregare l’unico Dio, anche se non potevano prendere parte al mistero, al cui servizio era riservato l’interno del tempio. Spazio di preghiera per tutti i popoli – si pensava con ciò a persone che conoscono Dio, per così dire, soltanto da lontano; che sono scontente con i loro dèi, riti, miti; che desiderano il Puro e il Grande, anche se Dio rimane per loro il “Dio ignoto” (cfr At 17, 23). Essi dovevano poter pregare il Dio ignoto e così tuttavia essere in relazione con il Dio vero, anche se in mezzo ad oscurità di vario genere. Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di “cortile dei gentili” dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto”.
Ecco, potremmo forse dire che a monte di queste stimolante e lucida proposta culturale ed ecclesiale del papa, forse ancora oggi non colta in tutta la sua importanza, ci stia proprio il discorso di Parigi, l’urgenza cioè di ribadire alle culture del nostro tempo il fatto che totalmente inerenti alla dignità dell’uomo siano la sete di Dio e il bisogno di cercarlo, di ribadire come, a fronte di variegati settarismi culturali e di tecnologismi scientifici e a fronte di fanatismi e fondamentalismi di vario genere, del tutto legittima è la possibilità, suggerita dall’intelligenza della fede, che sia plausibile quell’aspettativa dell’uomo che fondandosi sull’universalità della sua ragione si apra ad un Dio che corrisponda in pienezza al desiderio di altrettanta universalità, un Dio cioè creatore di tutti e di tutto. Ma non tutto certo può esaurirsi qui: questo che potrebbe sembrare un generico  e indefinito quaerere Deum diventa autenticamente salvifico secondo il Papa per uno straordinario incontro che solo rende sensato e fruttuoso il quaerere stesso, quello stesso cammino di ricerca: “occorre –dice il papa- l’umiltà dell’uomo che risponde all’umiltà di Dio!”. Qui il paradosso e forse qui proprio la credibilità del Vangelo: Se l’umiltà dell’uomo è la scoperta del nostro umanissimo bisogno di Dio, l’umiltà di Dio, per un padre della Chiesa orientale, Isacco il Siro, è Cristo stesso, l’umile condiscendenza di un Dio cioè che si fa inerme per noi nella carne di Gesù, Logos eterno, parola eterna, al fine di colmare di luce e di pienezza la nostra ricerca di senso e la nostra indigenza creaturale. A Parigi il papa diceva: un Dio soltanto pensato e inventato non è un Dio. Se Egli non si mostra, noi comunque non giungiamo fino a Lui. La cosa nuova dell’annuncio cristiano è la possibilità di dire ora a tutti i popoli: Egli si è mostrato. Egli personalmente. E adesso è aperta la via verso di Lui. La novità dell’annuncio cristiano non consiste in un pensiero ma in un fatto: Egli si è mostrato. Ma questo non è un fatto cieco, ma un fatto che, esso stesso, è Logos – presenza della Ragione eterna nella nostra carne. Verbum caro factum est (Gv 1,14): proprio così nel fatto ora c’è il Logos, il Logos presente in mezzo a noi. Il fatto è ragionevole. Certamente occorre sempre l’umiltà della ragione per poter accoglierlo; occorre l’umiltà dell’uomo che risponde all’umiltà di Dio. Ecco forse il perché papa Benedetto, nel suo vivo, orante e insonne desiderio di riforma spirituale della Chiesa e dell’interiorità e dei costumi dei suoi membri e altresì nel desiderio di una sua ritrovata consapevolezza culturale nell’agorà del nostro oggi dal centro complesso e caotico di Parigi, capitale del XIX secolo ma forse della intera modernità, guarda ai monasteri, non certo per banali nostalgie metastoriche, ma col realismo pratico proprio del cristianesimo. I monasteri: scuola di umanità, che attraverso la pedagogia dell’umiltà si scopre nella sua vera misura di fragilità e di dignità –e dunque altro scopo non ha il monaco se non quello di quaerere Deum ovvero cercare la matrice celeste di quella dignità; e i monasteri come scuola di amore –schola dilectionis, diceva Benrardo- dove cioè l’uomo impara ad amare quel Volto, il Volto di Cristo, che rivelandogli la sua più vera immagine e somiglianza gli dice –col dono della Parola contenuta nella Scrittura- Chi solo dovrà ascoltare se davvero desidera tornare al luogo che con il nostro peccato di disobbedienza, cioè di non ascolto, abbiamo a suo tempo perso: e dunque Nihil amori Christi praeponere RB 4,21, “niente anteporre all’amore di Cristo”. Tale movimento, tale dinamismo fra la nostra fragilità e la nostra dignità, fra il mistero di Dio e il Suo Rivelarsi nel Volto di Cristo è un cammino –dice il Papa a Parigi- non misurabile nella lunghezza”. Senza misura è infatti il cammino che connette cielo e terra, Creatore e creatura –suspensa expectatio diceva mirabilmente il padre cisterciense Guerrico d’Igny- ma tutto il resto acquisisce una misura in forza di questa umile, gloriosa consapevolezza che la fede in Cristo dona e di cui i monasteri, con la loro bellezza e la loro pace voglio evocare, come manifesto anche estetico di un ritrovato umanesimo. Misura nella relazione fra uomo e Dio, anzitutto, ma anche fra persona e comunità, fra voce e silenzio, fra ricerca e contemplazione, fra fedeltà alla Parola e Sua interpretazione e, infine, fra preghiera e lavoro. Le ultime due coppie di relazione-Parola e interpretazione e preghiera e lavoro, per la loro importanza, sono esplicitamente evocati dal papa: il primo richiama l’importanza di comprendere che il monaco nella lectio divina cerca la Parola nell’insieme della scrittura, che sottopone ad una ricerca insonne. “La Parola di Dio stesso, infatti, non è mai presente già nella semplice letteralità del testo. Per raggiungerla occorre un trascendimento e un processo di comprensione, che si lascia guidare dal movimento interiore dell’insieme e perciò deve diventare anche un processo di vita. …Che cosa significhi il trascendimento della lettera e la sua comprensione unicamente a partire dall’insieme, egli l’ha espresso in modo drastico nella frase: “La lettera uccide, lo Spirito dà vita” (2 Cor 3,6). E ancora: “Dove c’è lo Spirito … c’è libertà” (2 Cor 3,17). La grandezza e la vastità di tale visione della Parola biblica, tuttavia, si può comprendere solo se si ascolta Paolo fino in fondo e si apprende allora che questo Spirito liberatore ha un nome e che la libertà ha quindi una misura interiore: “Il Signore è lo Spirito, e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà” (2 Cor 3,17). Lo Spirito liberatore non è semplicemente la propria idea, la visione personale di chi interpreta. Lo Spirito è Cristo, e Cristo è il Signore che ci indica la strada” Da qui secondo il papa una preziosa consapevolezza circa la centralità della misura in ordine al rischio oggettivo di una dittatura dell’arbitrio, del soggettivismo, dell’irrazionalismo. Da questa passione oggettiva e oggettivata per la Parola, direi storicamente ancorata a Cristo, nasce, e il papa non lo trascura, questa cura tipicamente monastica per la filologia, per l’erudizione di cui i monaci medievali hanno fatto una disciplina che dice quanto la ragione sia essa stessa necessaria in ordine alla conoscenza ed esperienza di Dio. Prima teologia è dunque la filologia intesa come scienza razionale della parola.
E ancora, la relazione vitale e delicatissima fra il quaerere Deum e il lavoro, che tanto caratterizza il mondo monastico. In tempo come i nostri in cui il lavoro o è sciaguratamente assente o eccessivamente preponderante e in cui le capacità tecniche dell’uomo lo rendono capace di trasformazioni di portata planetaria la parola del Papa a Parigi appare lucida e ineludibile: Dio stesso è il Creatore del mondo, e la creazione non è ancora finita. Dio lavora, ergázetai. Così il lavorare degli uomini doveva apparire come un’espressione particolare della loro somiglianza con Dio e l’uomo, in questo modo, ha facoltà e può partecipare all’operare di Dio nella creazione del mondo. Del monachesimo fa parte, insieme con la cultura della parola, una cultura del lavoro, senza la quale lo sviluppo dell’Europa, il suo ethos e la sua formazione del mondo sono impensabili. Questo ethos dovrebbe però includere la volontà di far sì che il lavoro e la determinazione della storia da parte dell’uomo siano un collaborare con il Creatore, prendendo da Lui la misura. Dove questa misura viene a mancare e l’uomo eleva se stesso a creatore deiforme, la formazione del mondo può facilmente trasformarsi nella sua distruzione.
Questa relazione fra l’uomo e Dio chiamata dal papa così mirabilmente “misura” recupera una secolare tradizione umanistica circa la dignità e l’eccellenza di Adamo creato –in debite e ben misurate proporzioni -a immagine e somiglianza di Dio. In questo nostro inquieto oggi, segnato da una così drammatica dismisura in tutto, che è un altro modo per dire la nostra disumanizzazione, che i monasteri, col loro ineludibile primato assegnato a Dio e alla ricerca del Suo Volto da amare sopra ogni cosa e con la centralità assegnata alla discretio come quotidiana e coraggiosa capacità di misurare ogni forza e ogni debolezza, che i nostri monasteri tornino ad essere, come un tempo, scuole di un ritrovato umanesimo e, dove possibile, atrii attraverso i quali riaccendere nel cuore dei più il desiderio di Dio  e l’amore per la Sua Parola.

sabato 15 maggio 2010

SAFFO (BLESA) a Genova 20 mag


testo e regia di Massimo Sannelli
interpretata da Elisa Calvi e Massimo Sannelli

RASSEGNA TEGRAS università
giovedì 20 maggio ore 20.30 - ingresso libero
teatro Akropolis - via Mario Boeddu, 10 - Genova (Sestri Ponente)

*Saffo (blesa)* è la ricostruzione teatrale, in metrica chiusa, dei frammenti di Saffo (Elisa Calvi), accompagnata dalle azioni di un servo muto (Massimo Sannelli). La leggenda della bruttezza di Saffo è corretta, in questa versione: Saffo è giovane e bella, ma blesa e ferita dal ricordo dei "fianchi larghi e poco seno bianco". Tutto è riportato al mondo di oggi, dagli abiti alle azioni. Questa performance è la prima uscita pubblica in forma teatrale (la prima lettura, non drammaturgica e parziale, fu eseguita da Rosaria Lo Russo a Macerata nel 2007). Saffo verrà ripetuta il 3 luglio 2010 presso
Casa Strobele (Borgo Valsugana), con il patrocinio dello CSAO (Centro
Studi Archivio d'Occidente) e della Finestra editrice (Trento).

***
un frammento di Saffo (blesa)

ma tu eri una donna

di fianchi larghi e poco
seno bianco.
                      ma tu
eri una donna giovane,
i fianchi belli e il seno
buono, che non scoprivi.

e dormivi con me,

senza spogliarti – e io
attenta, come mamma
che non ti tocca ma
protegge la bambina:
custodivo e guardavo…

la madre è lì, è solo
questa la gloria delle madri: esserci

e non mi baci mai…

ma ci fossero donne
come te! – ti dico
apertamente  – fossero
tante donne così

che la mano non esita
e il coraggio non manca
neanche il fiato umano
manca a me saffo
e non ho perso il sonno

no        (e neanche la vita)

io ho perso
la perfezione (bianca
e bionda) della pelle

e non manca la voglia
se tu ti stringi a me

e dici «io sono un gatto
e ora ti toccherò»

non mi manca la voglia
anche se tu mi chiami senza pace

non ho la lingua sciolta

venerdì 14 maggio 2010

Ascensione del Signore (Anno C)

Omelia del giorno 16 Maggio 2010

Gesù ascende al cielo

Negli Atti degli Apostoli è narrata la solennità di oggi: Gesù, che dopo la sua missione tra gli uomini - diremmo noi - 'torna a Casa': ma è un ritorno che, in altro modo, assicura la Sua Presenza - come è di fatto - tra di noi.

«Nel mio primo libro – così inizia S. Luca, riferendosi al suo Vangelo – ho già trattato, Teofilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui, dopo avere dato istruzione agli apostoli, che si era scelto nello Spirito Santo, egli fu assunto in cielo.
Egli si mostrò vivo ad essi, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del Regno di Dio. E mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre: 'quello che avete udito da me: Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni'. Così, venutisi a trovare insieme Gli domandarono: 'Signore, è questo il tempo in cui ricostruirai il regno di Israele?: Ma egli rispose: 'Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti in cui il Padre ha riservato la sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra.' Detto questo fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. E poiché stavano a guardarlo, fissando il cielo mentre se ne andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: 'Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù che è stato tra di voi assunto in cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo.'» (At 1,1-11)

Forse ci saremmo aspettati, alla fine del breve racconto dell'Ascensione, che si evidenziasse l'afflizione degli Apostoli per la partenza ormai definitiva del Maestro.
Ma non è così, perché non vi fu tristezza, come racconta, sempre Luca, nel suo Vangelo:

«Poi li condusse fuori verso Betania, e alzate le mani li benedisse, Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. E gli apostoli, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio, lodando Dio.» (Lc 24,46-53)

C'è una bella differenza rispetto al Venerdì santo, quando erano stati lasciati nella paura e nello smarrimento... come se tutto avesse avuto una fine inaspettata.
Sulla croce era apparso un 'uomo' privo dì dignità e di grandezza. Come se Gesù, che era stato seguito come il Maestro, il Signore, si fosse sbriciolato sotto i colpi della superbia umana: un 'giocattolo' di estrema fragilità, che pareva non resistere al paragone con l'apparente potenza dell'uomo. Non avevano ancora capito che era proprio quella croce a glorificarlo.
Era vero: gli uomini, nella loro stupidità, non avevano fatto alcuna fatica a 'demolire' la potenza del Figlio dell'uomo... almeno esternamente. È un poco quello che accade anche tra di noi, quando crediamo di poter annientare la potenza di Dio, per dare posto alla nostra immensa fragilità, che cerchiamo di nascondere con la superbia.
Non si erano resi conto, e a volte non ce ne accorgiamo neanche noi, che 'quella' era stata la scelta dello stesso Gesù: non era stato crocifisso, ma si era lasciato crocifiggere, dando di propria volontà la vita, estremo atto di amore per noi.
Era difficile però, per gli Apostoli, capire il trionfo di Gesù sulla croce e la sconfitta dei crocifissori. Erano poveri uomini, con l'ignoranza e la cecità di spirito, che sperimentiamo anche noi.
Ma ora Gesù, con la sua resurrezione, ha messo fine, ai loro e nostri dubbi: ha cambiato completamente la verità della fragilità nella nostra vita, chiamata ad una gloria, che solo Dio, il Figlio di Dio, poteva conquistare per noi. La resurrezione ha ormai tracciato strade, che possono conoscere l'infinito di Dio. Gesù 'passa le pareti', non conosce più spazio né tempo: ci ha aperto la porta della vita eterna.
I discepoli ormai sanno che ora il Maestro sarà sempre con loro... e dovremmo saperlo anche noi! L'Ascensione chiude solo l'esperienza terrena di Dio tra noi, ma continua la più grande storia di amore mai scritta o immaginata. Adesso sappiamo che la nostra vita non è un'esperienza di poco conto, senza alcuna speranza nel dopo... al contrario, anche se può essere o apparire un Calvario, ci conduce ad ascendere con Gesù. Chi davvero crede e vive, preparandosi all'eternità, sa quanta nostalgia prende a volte di entrare nel Cielo.
Tutte le volte che mi reco a Lourdes, stando ai piedi della grotta, e ancora più alla sera, durante la processione con le fiaccole, in quello scenario che tanto rende vicino il Paradiso, al canto 'Andrò a vederla un dr, sempre mi assale il desiderio di salire in cielo, abbandonando questa terra, che propone così tante sofferenze. E confesso che sarei felice se Dio ascoltasse la mia nostalgia.
Dando uno sguardo al mondo, proprio non capisco perché questa nostalgia non appaia, forse troppo “appagati” dal nulla di questa terra.
Così presentava l'Ascensione di Gesù al Cielo il nostro sempre caro Paolo VI, che ci guida nelle riflessioni:

«L'avvenimento finale della vita di Cristo sulla scena della storia umana, è la sua ammirabile ascensione al Cielo, il suo passaggio da questa terra, da questo nostro mondo, a noi conoscibile, in cui noi siamo immersi come pesci nell'oceano, ad un altro mondo, ad un altro universo, ad un'altra forma di esistenza, della quale abbiamo la certezza, ma ancora scarsa notizia e, forse, nessuna esperienza. Si chiude così quel breve periodo di presenza dell'umanità del Figlio di Dio tra di noi, e comincia quell'altro periodo che dura tuttora e che chiamiamo storia del cristianesimo.
Perciò da un lato il nostro pensiero, il nostro culto è rapito in alto nello sforzo amoroso di seguire Gesù, che scompare al nostro sguardo, e si sottrae alla nostra conversazione terrena: non lo vedremo più, fino a quell'ultimo giorno, non da noi calcolabile e in cui ritornerà per giudicare i vivi e i morti.
Dall'altro canto il nostro ricordo di tale avvenimento misterioso e storico ad un tempo, ci fa sentire la nostra solitudine, la nostra condizione di seguaci di Cristo, di credenti in Cristo, di legati a Cristo, rimasti in terra senza la sua visibile presenza. Nasce nei fedeli, privi del rapporto sensibile con Gesù, lo sforzo di comunicare ugualmente con Lui; nasce cioè la ricerca di vincoli che tuttora ci uniscono a Lui; una ricerca che sarà subito ricca di risultati, fino a darci la prova della promessa realizzata di una sua dolcissima parola di commiato: 'Non vi lascerò orfani, verrò da voi' e di quell'altra parola solenne, che proclama Cristo presente nei secoli: 'Ecco io sono con voi fino alla fine del mondo'. E noi vogliamo metterci nei panni degli apostoli, che scomparso Gesù dai loro occhi, se ne tornarono a Gerusalemme, si raccolsero con Maria nel cenacolo in attesa dello Spirito Santo.» (maggio 1963)

Dovremmo anche noi ritrovare quanto hanno provato gli Apostoli il giorno in cui Gesù salì al Cielo: “Tornarono a Gerusalemme can grande gioia”, una gioia che diverrà, con la Pentecoste, forza e capacità di trasmetterla a tutti.
II giorno dell'Ascensione, gli Apostoli sanno ormai - e dovremmo esserne certi anche noi - che Gesù sarà dovunque essi si troveranno. Quando parleranno diranno 'Parole Sue'; Lo troveranno nel cuore, riempito dalla Sua pace, anche quando saranno arrestati; i loro gesti saranno i 'Suoi gesti', per continuare la Sua opera, segno del grande bene che il Padre ci vuole, quella carezza che quotidianamente Dio, se abbiamo fede, ci fa, perché dimentichiamo le frustate dell'indifferenza, della cattiveria e violenza cieca. E per sentirseLo ancora più vicino, ogni volta parteciperanno, parteciperemo, all'Eucarestia, lasceranno il posto principale libero, perché a presiedere sia sempre Lui.
Con passo deciso, illuminati dalla certezza del nostro futuro con Lui, camminiamo per le strade del mondo, testimoni del Risorto, a 'predicare' Lui, salvezza di tutti.
Sono venti secoli che questa Presenza divina nella Chiesa si fa strada nella storia, tessendo la vera nostra storia, che non conoscerà più tramonto.
Oggi davvero tutti noi, che crediamo, alzando le mani al cielo, indichiamo il Maestro che si eleva su di noi ed è assiso alla destra del Padre, eppure continua a camminare al nostro fianco!
Questa è davvero la gioia dell'Ascensione di Gesù al Cielo per noi.

Con madre Teresa di Calcutta preghiamo:

«Signore, nostro Dio, tu hai dato te stesso per noi.
Noi vogliamo essere a tua disposizione per essere tuoi, affinché un giorno possiamo possederti e per ricevere tutto ciò che dai e dare tutto ciò che chiedi, con un sorriso.
Prendi ora tutto di noi, perché ti serva di noi come ti piace, senza tentennamenti. Prenditi la nostra volontà e tutta la vita affinché tu possa compiere le tue opere con le nostre mani,
e così un giorno possiamo ascendere in cielo con te. Per sempre.»



Antonio Riboldi - Vescovo –

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