domenica 28 giugno 2009

Passato e presente ne Il fiume senza foce di Gladys Basagoitia



recensione di Vittoria Bartolucci

Ritornare dopo tanto tempo nel paese in cui si è nati, si sono vissuti i primi anni di vita e che a un certo punto si è dovuto lasciare è certamente un'esperienza molto dura perché fa rivivere strappi che solo cercando in mille modi di dimenticare permettono di rassegnarsi a passare i giorni che restano in quella che, pur considerandola una seconda patria, resta sempre una terra d'esilio.
Tale esperienza è stata fatta da Gladys quando l'anno scorso, prima di pubblicare il suo libro, si è recata in Perù, ma del senso di smarrimento che essa deve averle procurato è solo nel titolo, Il fiume senza foce, che ha sostituito l'altro, Il sorriso del fiume, (dove "il fiume" è il Caplina, che un tempo faceva "del paese un giardino", il cui "sorriso" aveva "il colore del sole" e oggi è in gran parte coperto di cemento) che si sente l'influenza, dal momento che se non fosse stato da lei rimosso avrebbe forse reso vano il suo proponimento di scrivere pagine che sono necessarie visto che, come lei stessa dice, sono "più che memorie, la presenza di persone mai dimenticate", "persone" che desidera intensamente, così afferma, ringraziare "per la ricchezza " che le hanno dato.
E così tale pubblicazione costituisce un viaggio nel passato di cui, oltre a "la gringa", sono protagoniste le "persone", grazie ai cui doni, dichiara Gladys, "pur non avendo tante cose, non sono né sarò mai povera", ma anche un viaggio nel presente dal momento che tale affermazione racchiude quella che è e che sarà sempre la sua filosofia di vita e molte delle"persone" a cui fa riferimento sono protagoniste delle poesie che ancora oggi scrive.
Vediamo così passare davanti ai nostri occhi: sua madre, suo padre, i suoi fratelli, amici, sconosciuti incontrati per caso ma che hanno lasciato una traccia indelebile nei suoi pensieri, uomini e donne rimasti a condurre l'esistenza nel suo paese lontano e con cui è ancora in contatto o che ha perso di vista da tempo tanto da non ricordare più il loro volto, uomini e donne emigrati in altri paesi o ormai scomparsi… Ma vediamo anche apparire qua e là il suo "fiume", strade, case, piante, animali, oggetti il cui ricordo è incancellabile e soprattutto il Perù con i suoi misteri, le sue meraviglie, le sue contraddizioni di sempre e di cui, a conferma di quanto si è sopra affermato, l'autrice de Il fiume senza foce dice a quanti ne leggeranno le pagine: "Vorrei darvi un'idea del mio paese, dove ho vissuto i primi anni della mia vita", ma anche (ed è un'affermazione che si riferisce al presente): "Il mio amato Perù che mi fa così male, se penso alle sue ferite mortali…".
Ma a quale tipo di "ricchezza" fa riferimento Gladys? Di sicuro i doni più importanti sono quelli che consistono nei preziosi insegnamenti di sua madre disseminati nel suo libro e che sempre sono stati da lei seguiti nella sua vita, come dimostrano gli anni che sono venuti dopo quelli da lei raccontati e i versi delle sue numerose raccolte. Addirittura sono dedicate a sua madre altre pagine che non erano presenti nella precedente edizione ed è sempre a lei che è affidato il compito di spiegarci che cos'è "il vero amore" e di concludere il suo lungo racconto, sua madre che ancora oggi spesso ci parla attraverso le sue liriche.
Per quel che riguarda "la gringa", veniamo a conoscenza, vedendola muoversi bambina e adolescente tra i protagonisti della sua pubblicazione, di altri fatti che poi sono risultati fondamentali nella vita dell'autrice: la nascita della sua poesia, del suo amore per la musica, i suoi primi contatti con quella che poi sarebbe diventata la sua "seconda lingua": "Cominciai a scrivere le mie prime poesie. Ma non volevo che le scoprissero e perciò le strappavo. Le imparavo a memoria. Ora le ho dimenticate, tranne alcune, soprattutto la prima che scrissi, intitolata, FAME", "In un paese come il mio (leggiamo in queste parole l'impegno che Gladys dimostra da sempre in difesa di chi soffre e che da sempre affida ai suoi versi), era inevitabile scrivere sulla fame", "Come tutti in famiglia amo la musica. Però non mi basta ascoltarla…", "Lunedì la suora mi punì, facendomi rimanere dopo l'orario a scrivere per cento volte in italiano: HO MANCATO ALLA MIA PAROLA; CHE VERGOGNA! È tutto l'italiano che mi rimase per anni, finché lasciai la scuola italiana (in quarta elementare) per la scuola statale. Allora non potevo immaginare la mia vita da adulta che mi avrebbe portata… a cercare di conquistare con tutta me stessa la mia seconda lingua…" E queste ultime parole ci portano al presente e a questo libro, appena pubblicato, che dimostra confrontandolo anche con la precedente edizione ( i termini sono più appropriati, il periodo più ben costruito, il discorso più fluido) come ormai l'autrice possieda la sua "seconda lingua", pur conservando caratteristiche immutabili(l'uso del verbo ora al passato ora al presente, quel parlare di sé usando a volte la prima persona singolare e ora riferendo le sue azioni a "la bimba", quel frequente inserimento nel discorso di parole spagnole) del suo modo di esprimersi.
Decisamente al presente appartengono poi le parole che riportiamo di seguito: "Se io fossi una brava scrittrice, potrei scrivere un romanzo su quel periodo della mia vita. Non lo sono. So solo scrivere versi e questo perché mi vengono in modo naturale. Poiché amo la Poesia, faccio un lavoro di limatura perché non siano solo versi e perché diventino Poesia o quello che io intendo per Poesia."
E sono infine una conferma del fatto che di questa pubblicazione, nelle cui prime pagine Gladys ci avverte di avere intenzione di raccontarci la sua infanzia nel suo paese d'origine, siano protagonisti sia il passato che il presente, le tre foto: quella iniziale di lei bambina insieme con la sua famiglia, quella di lei a dodici anni e quella da cui, nell' ultima pagina, ci sorride dolcemente e sotto la quale è visibile la scritta "Gladys oggi", oggi che ha voluto per sempre ancorare alla carta alcune delle esistenze che, come il suo "fiume", ogni giorno all'improvviso sulla Terra scompaiono senza lasciare traccia di sé.

venerdì 26 giugno 2009

WEBLETTERATURA ITALIANA

La casa editrice Il Foglio Letterario sta preparando un libro dedicato alla “Webletteratura italiana”. Si tratterà di un volume che raccoglierà alcuni degli esempi più originali e interessanti della nuova letteratura nata e sviluppata in internet.
Il libro è a cura di Mario Gerosa, giornalista ed esperto di mondi virtuali e social network. I vari contributi saranno selezionati dai membri del comitato scientifico.
Diviso in varie sezioni, il libro documenterà attraverso numerosi esempi le nuove forme narrative sviluppate nei vari social network.
Ecco qui di seguito le principali:
- Gli “status” di Facebook: gli utenti di Facebook vengono costantemente invitati a raccontare qualcosa di loro o ad esprimere il proprio stato d’animo attraverso una breve frase. Alcune di queste frasi sono particolarmente efficaci.
- Conversazioni tra avatar di Second Life o di altri mondi virtuali: ogni giorno milioni di persone conversano in Second Life o in altri mondi sintetici. E talvolta danno vita, anche inconsapevolmente, a frammenti di letteratura nata in tempo reale.
- Topic di forum: talvolta nelle aree di discussione di determinati siti prendono corpo delle conversazioni particolarmente interessanti, degne di un’antologia.
- Messaggi di Twitter: alcuni messaggi lanciati in Twitter sono veri e propri aforismi, altri sono frammenti di storie, altri ancora sono micro-racconti.
- Raccontare coi blog: da tempo è stata riconosciuta una certa autorevolezza a molti blogger, che declinano questo strumento come una forma letteraria. Basti pensare alla blogger cubana Yoani Sanchez, di cui Rizzoli ha pubblicato recentemente il libro “Cuba libre”.
- Narrativa con Skype: storie scritte al telefono utilizzando Skype.
- Raccontarsi con LinkedIn: certi profili di LinkedIn sono costruiti talmente bene da sembrare profili di personaggi della letteratura.
- Storie scritte da vari utenti online: ci sono racconti scritti da diverse persone che collaborano al medesimo progetto narrativo. Un esempio è “La torre di Asian”, scritto da vari residenti di Second Life. Altri esempi sono realizzati con la piattaforma di Wikipedia.
- Racconti di viaggio: descrizioni di luoghi reali o immaginari, proposte sia nei blog di viaggio sia in conversazioni tra avatar di mondi virtuali.
Chiunque voglia segnalare un esempio significativo di webletteratura può farlo, attenendosi a queste norme:
- Il testo deve essere scritto in italiano.
- Il testo non deve superare le 1500 battute.
- Deve essere un testo pubblico (in ogni caso, poi saranno richieste le liberatorie degli autori)
- Non devono esserci contenuti osceni
Si può inviare o un testo proprio oppure un testo trovato nel web. In ogni caso, vanno specificati i riferimenti del sito da cui il testo è stato preso, con il rispettivo link.
Nel caso di conversazioni in Second Life o in altri ambiti, va specificato il nome dell’avatar o il nickname.
Tutti i testi selezionati per la pubblicazione riporteranno anche il nome delle persone che li hanno segnalati. Non è previsto alcun compenso per le segnalazioni.
Le proposte vanno inviate entro e non oltre il 31 ottobre 2009 al seguente indirizzo mail:
webletteratura@gmail.com

giovedì 25 giugno 2009

Sannelli recita il Prometeo in Trentino 3 lug

CASA STROBELE
38051 Borgo Valsugana (TN)
scala telvana, 5

3 luglio 2009, ore 18

Massimo Sannelli reciterà il Prometeo.

Il testo è stato pubblicato sulla rivista

internazionale «Le Acque di Ermes», diretta

da Massimo Maggiari

e pubblicata dalla Finestra editrice (Trento).

La performance di Massimo Sannelli è patrocinata

dalla casa editrice LA FINESTRA e

dallo CSAO (Centro studi Archivio d'Occidente)


*

[ da Prometeo ]

non mi furono spenti
gli occhi. gli occhi sono
sempre il meglio di noi.
tolti ad un altro, spenti
dopo, un altro li chiude
da solo, quando l’uomo
parla contro se stesso;
i miei occhi non furono
spenti mai. e, dopo,
«volto fraterno, Antigone»,
«piedi veloci, Achille»,
dopo, dopo, dopo. ecco
quello stile, che chiamo
la memoria del mondo,
che io insegno. muore
oggi lo stile primo.
c’è una gloria più piena
– sei un dio anche tu –
in me e la mia gloria
non è una cosa fredda,
e a noi hai più pensato?
no. e furono per questo
lasciati gli occhi, a me.
io vedo. io vedo. io vedo.

giovedì 11 giugno 2009

“Le lampadine fulminate di Marisa”

Dai racconti dell’alba di Antonietta Gnerre

Ogni destino è una storia di vite che si scontrano dove lo spazio s’incrocia col tempo.

Lungo il tempo le lampadine delle aspettative, mutano forma. Questo è il destino di ogni persona divorata dal tarlo delle ingiustizie e delle raccomandazioni. Marisa camminava con i suoi pensieri stretti nella borsa della speranza quel giorno, per fuggire dal suo paese. I sogni erano distanti, racchiusi in lunghe code noiose e snervanti. L’hotel dei posti di lavoro, ospitava tutti i passeggeri di questa terra, anche quelli con il piumaggio rossiccio, che assomigliano sempre di più a strani indiani. Senza possibilità di usufruire di questo lusso, del posto di lavoro, la coscienza di questa esile donna proseguì voltando le spella all’ipocrisia, per inseguire un viaggio monitorato da una patologia progressiva che aumentava di ora in ora. La strada era buia e tortuosa e i piedi le sembrarono un’unica cosa con gli infradito colorati dai brillantini; un blocco di roccia deformato da un dolore atroce indovinato dalla breccia che cresceva intorno a i suoi piedi. Da lontano con le prime luci dell’alba, arrivò in un posto inesistente. Sentì solo il suono di un violino, e la voce di due donne che la circondarono con note incrociate. Questo piccolo viaggio, fatto di illusioni e sbadigli suscitò molti dubbi. Le due donne sembravano uscite dalla tela di un quadro degli anni trenta, distrutte dalle fatiche dei campi. Le case in questo viaggio della mente apparivano strettissime e quadrate, tappezzate da tanti volti che sembravano incubi. Le case erano accarezzate a mezzogiorno dalla luce del sole e dal suono delle campane. Tutti i ricordi sbucarono dai tetti modellati da colline pettinate di verde. Marisa era in viaggio per cambiare se stessa. E queste due donne apparivano davanti a i suoi occhi come figure complesse e distanti. Vestivano una sorta di abiti stracciati e disordinati con i capelli neri e lunghi, raccolti a coda dietro la nuca. Nessuna di loro parlò con la giovane donna guardarono insieme intensamente, senza respirare e senza muoversi, la cerniera della lunga coda di grano, che scorreva dai cambiamenti imminenti del paesaggio. La sera si aprì improvvisamente e sfilò di nuovo con le sue lampadine fulminate e rotte. Due passi avanti, uno indietro; il corpo, quello di Marisa, con le braccia aperte crollò in un sonno lunghissimo come la morte. Vibrò solo il suo olfatto offeso dai rifiuti. I rifiuti che fissarono quel corpo nei ripostigli arrotolati del tempo. E si guardò come spiga dall’alto, impastata sulla terra succhiata dalla vergogna. Il ritmo lento e continuo della voce di quelle due donne moltiplicò le sue speranze senza intaccarle. Queste due donne con umiltà e coraggio la ricondussero sulla strada delle lancette. Marisa doveva ritornare di nuovo nel tempo. E come nell’infanzia tutto le sembrò possibile e più accettabile per schizzare di nuovo tra la gente e senza rimpianti. Il rigido vetro della paura, spuntò di nuovo come la gramigna. La realtà era ancora impregnata di rinunce e di privilegiate ombre che si trasformano di continuo. Il sole quel giorno le sembrò diverso. Per ritornare all’ordine meraviglioso e per sviare il passo lento delle file delle attese, Marisa doveva riparare tutte le lampadine: una ad una con pazienza e coraggio. E doveva riparare tutte le aspettative della gente che sembravano rapite dalle civette che facevano la fila davanti alle urne bianche del potere. Il sogno senza sogno strisciò di nuovo, sulle pagine delle vertebre e nel bozzolo fermo delle attese, sotto il metallo liquido del cielo. Marisa guardò quella lunga via fatta di foschia e di teli in detrito, dove il respiro prendeva forma per mutare in qualcosa. La porta del cielo non si era ancora spalancata per lei. Le gioie i tormenti i sussulti le sembrarono lontanissimi. E quel crescere della parola aumentò ancora per comprendere lo spettacolo meraviglioso dell’ancora. Il pensiero e la realtà non si scontrarono più nell’incendio della sensibilità. Marisa doveva lottare contro l’ingiustizia, doveva solo attraversare i suoi giorni, per trascrivere sulla superfici della carta, la vibrazione della luce racchiusa nella libertà di pensare.





mercoledì 10 giugno 2009

Frank Spada vince

VinciRobin

Il concorso

A chi manderà il racconto breve (max 20 righe) contenente al suo interno tutti i titoli dei libri annunciati nella nostra newsletter, e che risulterà essere il preferito dalla redazione, invieremo una copia di ognuno dei suddetti libri (tutte le spese sono a nostro carico).

Per partecipare devi avere ricevuto almeno una Newsletter, per cui affrettati a iscriverti cliccando qui oppure utilizzando il link che trovi sulla Home Page del sito.

L'indirizzo email al quale inviare il testo del vostro racconto è vincirobin@robinedizioni.it


Vincitore newsletter del 10 giugno 2009

Appunti per un abbecedario minimo sul jazz di Frank Spada

Art: soprannome Donkey Drunk, un nero testardo come un mulo e spesso ubriaco da non reggersi appeso al suo strumento, fu cacciato dal ‘gregge’ di Hermann durante una tournée in California. Qualche ingaggio al Haig o al Lighthouse di Rumsey a Hermosa Beach e l’ultima volta che fu visto in piedi, il fermo immagine di Claxton lo fissò al The Black Hawk a San Francisco. Poi sparì dal giro. Art aveva un’amichetta, una curve e languori piena di quattrini (vedi il caso dell’eredità Duchien – Santa Monica, fine anni ’50) che impazziva per il jazz, e per Art che aveva il dono crudele di saper innalzare al ritmo del be-bop acuti ‘no press’ da stordire chi sta in cielo. La ragazza lo cercò nei localini sparsi lungo la west-coast, ma di Art rintracciò soltanto i suoi amici neri. Loro dissero che il naufragio di quel trombettista era già scritto fin dal momento che era nato (pare che la madre, una con la sete da non accettare compromessi, avesse fatto ciucciare al piccolo i primi drinks cantandogli dei blues). E la faccenda finì lì. Art invece, più o meno nel frattempo, fraseggiava su una nave diretta a occidente e fumava erba suonando rumbe lente; scambiando battute senza swing con quattro bianchi. A Rotterdam, Art lavorò per un po’ al Van Hess Club, poi andò oltre Manica. Ospitato in un villino fuori Londra, la proprietaria, certa Miss Aberd, una zitella con trent’anni su ogni fianco e un auricolare sempre acceso, lo teneva a pensione come un figlio. Un mattino, che non era ancora l’alba, Art sparì sul serio. Mistero nell’Aberdeenshire, la stampa titolò per qualche giorno; sottotitolando: “Musicista americano dissotterrato da un cane in un giardino”. Poi più nulla. Spulcio tra le cronache del tempo e scopro che il vicino fu arrestato qualche anno dopo, accusato di omicidio. Se questo fosse avvenuto dalle mie parti, beh, si sarebbe capito subito che chi ha ammazzato er sumaro giù l’orto non sopportava i suoni alti. In ogni caso, la commedia è finita senza acuti, povero Art – avanti con la B.


Archivio

Vincitore newsletter del 20 marzo 2009

LE MURA DEL CUORE a Genova 19 giu

commedia romantica di Paolo Bozzo

interpretata dalla Compagnia delle Coccinelle
con la regia di MASSIMO SANNELLI

TEATRO VON PAUER
Genova (Via Ayroli)

19 giugno 2009, ore 21

prevendita biglietti : 340 2578038



Massimo Sannelli, scrittore e attore per il cinema e il teatro, dirige questa commedia romantica, scritta dal giovane autore genovese Paolo Bozzo e interpretata dagli attori della Compagnia delle Coccinelle. La trama è semplice – una storia di amore contrastato, con equivoci e lieto fine – e la regia di Sannelli ne accentua la delicatezza.
In primo luogo, Sannelli ha imposto una recitazione poco accademica a tutti gli attori, compresi quelli professionisti (la compagnia è composta di professionisti e di validissimi non professionisti); quindi ha rinunciato a qualsiasi decorazione scenica, creando tre zone separate sul palco (una pseudotorre, una pedana, uno scivolo) e lavorando sulle luci; in terzo luogo, ha inventato situazioni e suoni sostitutivi, più affini al teatro d’avanguardia che a quello borghese o usuale (la suoneria del telefono cellulare deriva da un normale campanello d’ottone, il rumore del treno è una rielaborazione dei rumori delle officine nel Deserto rosso di Antonioni, e così via). Il risultato, nelle intenzioni del regista, dovrebbe essere questo: una simulazione giocosa, non un rito teatrale in senso stretto (e in questo caso Sannelli ha dovuto dare un altro peso alle proprie convinzioni sulla performance come rito). Non è necessario complicare un testo che nasce semplice: se è possibile, il meglio è semplificarlo ancora, o puntare ad una leggerezza d’altri tempi. Per questo motivo, la regia ha accettato volentieri le improvvisazioni – goliardiche o poetiche – degli attori, e le ha inserite a pieno titolo nel lavoro. Quindi: nessuna enfasi, ma solo la poesia naturale di quello che c’è e di quello che verrà simulato.

Massimo Sannelli opera nel campo della letteratura (come autore, critico, traduttore, editor) e in quello dello spettacolo (nel 2009 ha recitato in proprie opere, come il Prometeo messo in scena a Roma, Genova e Trento, e in opere di altri, come Verso la luce nel buio, realizzato al Teatro Duse di Genova; ha scritto per il teatro il monologo Antigone, interpretato da Esnedy Milán Herrera). Per il cinema, appare nel nuovo film di Pietro Marcello e nei primi due episodi della serie di cortometraggi di Gabriele Casassa. A settembre, sarà coprotagonista del Rivoluzionario, scritto e diretto da Denis Astolfi. Nell’estate 2009 girerà, in collaborazione con il regista svedese Robert Fogelberg, un film (di cui sarà anche il protagonista e il coautore dei testi) ambientato negli anni della Seconda Guerra mondiale. Nel 2009 apparirà presso Fara editore la sua edizione commentata della Divina Commedia di Dante Alighieri, per la prima curata da un poeta.

martedì 9 giugno 2009

Mistiche a Roma altre news da Maria Di Lorenzo

Carissimi amici ed amiche,

nella prima metà del Novecento vissero a Roma due grandi mistiche che, pur nella loro profonda diversità, hanno impresso un solco nella memoria dei loro contempranei che si è protratta fino ai nostri tempi. La prima, morta nel 1927, si chiamava Giuseppina Berettoni, per la quale si è aperto negli anni scorsi il processo di canonizzazione, tanta fu in vita e dopo la sua fama di santità. Leggete un mio articolo su di lei cliccando su Una volta, a Roma, in via dei Condotti...

La seconda era di origine svedese, il papa Giovanni Paolo II l'ha proclamata Beata nel grande Giubileo del 2000. Si chiamava Maria Elisabetta Hesselblad e fece della Casa di S. Brigida in piazza Farnese, dove era arrivata anni prima per rifondare l'antico Ordine creato secoli prima dalla grande S. Brigida di Svezia, un ostello di carità ecumenica, molto in anticipo sui tempi, tanto da essere annoverata di recente anche fra i Giusti delle Nazioni per il suo grande zelo di carità manifestato verso gli ebrei perseguitati di Roma. Leggete il mio articolo che parla di lei cliccando su Una straordinaria pioniera

Il primo giugno scorso è partito sul web un nuovo lit-blog chiamato Flannery, un forum letterario dedicato alle donne che scrivono. Si tratta di un blog collettivo aperto a tutti, uomini che donne, che lo costruiscono insieme giorno per giorno con idee, spunti, riflessioni, provocazioni in ambito letterario. È presente sulla piattaforma del Gruppo Kataweb – L’Espresso e lo potete trovare all'indirizzo web: http://flannery.blog.kataweb.it. Argomento d’inizio, dato il titolo stesso del forum letterario, è la grande Flannery O’Connor, scrittrice cattolica americana vissuta il secolo scorso, oggi autrice “di culto”. La conversazione attualmente in corso verte su un suo famoso romanzo: Il cielo è dei violenti

Ma posso già anticiparvi che il 12 giugno (e fino al 30 di questo mese) sarà la volta di un romanzo straordinario, Tu non dici parole di Simona Lo Iacono, una storia ambientata nella Sicilia del 600 con una donna bruciata sul rogo dall'Inquisizione per il suo smodato, eversivo, amore per le parole. E per luglio e agosto un solo grande tema su cui riflettere tutti insieme: Perche' scrivono le donne? L'atto della scrittura e l'immaginario femminile.

È uscito il nuovo numero della rivista In Purissimo Azzurro con molti interessanti servizi, tutti da leggere. Su: www.inpurissimoazzurro.info

Vi segnalo in particolare tre recensioni da me realizzate, che è possibile leggere nella rubrica "Visto si stampi":
- Lo sciopero dei pesci di Salvo Zappulla
- Il vento racconta di Alessandra Corsini
- Allo specchio e altri racconti di Laura Badaracchi.
Trovate i testi da leggere sul link: www.inpurissimoazzurro.info/visto_si_stampi_2_09.htm

La rivista "In Purissimo Azzurro" bandisce un concorso letterario riservato agli inediti diviso in tre sezioni: poesia, narrativa, saggistica. In palio c'e' per chi vince la pubblicazione, e l'intero bando lo potete trovare su www.inpurissimoazzurro.info/concorso_2009.htm

Volevo infine dirvi che sul web potete trovare una pagina sul mio ultimo libro: Nasconditi dentro il mio cuore http://www.mariadilorenzo.net/nasconditi.htm
Chi mi volesse cercare su Facebook, mi può trovare facilmente in questo social network ed aggiungere ai suoi amici cliccando la pagina:
http://it-it.facebook.com/people/Maria-Di-Lorenzo/1522177465

Grazie, carissimi, della vostra attenzione. A tutti voi auguro un felice tempo d'estate e... arrivederci a settembre!

Maria Di Lorenzo

sabato 6 giugno 2009

U STISSO SANGU - Storie più a Sud di Tunisi

*ANNUNCIO PRESENTAZIONE A CATANIA*

Ci siamo. Ci sembra di aver già sentito questa frase, almeno tutte quelle volte in cui ci hanno chiesto a che punto era il film.
Ma questa volta ci siamo davvero. Il film è in fase di stampa, pronto ad uscire. E, come un figlio che si aspetta da tempo, nel momento in cui verrà alla luce e tutte le copie saranno stampate, avrà già pronto tutto ciò che gli serve per affrontare il mondo: a cominciare dal Patrocinio della

*Facoltà di Lingue dell'Università di Catania*, che in parte nobilita i suoi intenti, e la diffusione da parte della casa di distribuzione

*Malastrada*, con la quale muoverà i primi passi nei giusti circuiti.

E poi, naturalmente, noi autori, che gli facciamo un po' da genitori, e che saremo molto premurosi nel prenderci cura di *"U STISSO SANGU"*. Infatti ci stiamo già muovendo per presentarlo in diversi eventi: primo tra tutti questi, l'anteprima nazionale, quella di *Catania* di giorno *15 Giugno*, presso la Facoltà di Lingue: una sorta di "ingresso istituzionale" in quel mondo culturale dove vorremmo che il nostro "prodotto" trovasse spazio. E, a seguire, le altre presentazioni su cui vi aggiorneremo strada facendo. Cogliamo quindi l'occasione per annunciarvi il lieto evento, e per invitarvi a partecipare alla diffusione di *"U STISSO SANGU" - Storie più Sud di Tunisi - .*
Appena attiveremo il Nostro Ufficio Stampa, riceverete i dettagli della presentazione del *15 giugno a Catania.*

A presto,

Francesco Di Martino
Sebastiano Adernò
www.ustissosangu.com

giovedì 4 giugno 2009

Equinozio in Austria


Indice PROGETTO BABELE 19



LE INTERVISTE

>>Il soldato e la Morte, intervista ad Arturo Pérez-Reverte
a cura di Marco R. Capelli
>>Misteri d’Italia e utopie, a cena con Tobias Jones
A cura di Luca Toni e Marco R. Capelli
>>L’uomo che scrive a un tiro di sasso dal cielo
Una intervista di Pietro Pancamo a Beno Fignon
>>Ugo Malaguti: storia di una intervista quasi mancata
a cura di Marco R. Capelli
>>Fabio Monteduro, ovvero l'orrore dietro l'angolo
a cura di Marco R. Capelli

IN PRIMO PIANO
>>Nel cristallo un vino astale, Antologia di poeti italiani contemporanei
A cura di Alessandro Canzian
>>PB PRESENTA: Colonne D'Ercole, compagnia letteraria
A cura di Dario Alfieri

I RACCONTI

>> Ho incontrato me stesso di Iuri Lombardi
>> L'amore a te dovuto di Valeria Francese
>> La casa colorata di Carlo Santulli
>> La tribù di Fabio Calabrese
>> La via d'uscita di Giorgio Ottaviani
>> Le cose cambiano di Francesco Maria Bologna
>> Lettera d'amore di Daniela Del Core
>> L’irritatore (El irritador) di Fernando Sorrentino
>> Missione compiuta di Mauro Gnugnoli
>> S.O.S. di Vittorio Baccelli
>> Sangue cattivo di Luca Occhi
>> Un colloquio di lavoro di Massimiliano De Santis
>> Un odio antico di Luigi Pagano

GLI ARTICOLI

>> Agosto, moglie mia non ti conosco, Tragedie in due battute, L’Eroe: in una parola, Achille Campanile a cura di Andrea Coco
>> Discussione fra una profia e due giovani appassionati bukoskiani. a cura di Angela Ravetta
>> I primi protagonisti della fantascienza italiana post-bellica a cura di Ugo Malaguti
>> Il Dottor Zivago, un capolavoro e tante polemiche a cura di Caterina Provenzano
>> Ipocondria ambientale a cura di Alberto Volpi
>> La fantascienza ed il fandom italiani (Un tentativo di inquadramento storico) a cura di Fabio Calabrese
>> La lezione di Pannunzio a cura di Giovanni Venezia
>> L’universo maledetto dei Contes Crépuscolaires a cura di Ilaria Biondi
>> Milly Molly Mandy (quattro libri: 1925-1948) di Joyce Lankester Brisley (1896-1978) a cura di Carlo Santulli
>> PSEUDOBIBLIA (Le biografie impossibili di Guido Marcelli): William Allan Poe (1809-1849) a cura di Guido Marcelli
>> Saba: appunti per un percorso di lettura a cura di Fortuna Della Porta
>> Ugo Malaguti: 47 intensi anni di fantascienza a cura di Vittorio Catani
>> Yukio Mishima: il martirio e l'estasi a cura di Fausto Zanchin

CONSIGLI DI LETTURA

>> Bukowski, Charles (1920-1994) a cura di Angela Ravetta
>> Ghelderode, Michel De (1898-1962) a cura di Ilaria Biondi
>> Hemingway, Ernest (1898-1961) a cura di Giampaolo Giampaoli
>> Mishima, Yukio (1925-1970) a cura di Marco Montanari
>> Pasternàk, Borís (1890-1960) a cura di Valeria Francese
>> Saba, Umberto (1883-1957) a cura di Massimiliano Marconi

LE TRADUZIONI

>> Un posto pulito, illuminato bene di Ernest Hemingway a cura di Marco Roberto Capelli

LE POESIE

>> 17 anni a Berlino di Fabio Molli
>> Autumnus di Alessandro Polo
>> Bianco di Sara Lorenzini
>> Commento alle poesie di Andrea Cambi di Pietro Pancamo
>> Incertezza di Manuela Zurru
>> Incontro a tutti di Elena Ridolfi
>> Lunare di Daniela manzini kuschnig
>> Ricordo di Giuseppe Costantino Budetta
>> Sei poesie di Beno Fignon di Beno Fignon

LE RECENSIONI

>> Anima Nera di Fabio Monteduro rec.di Marco Roberto Capelli
>> Assurdo virtuale di Mauro Antonio Miglieruolo rec.di Andrea Coco
>> Basso Impero di Claudio Comandini rec.di Enrico Pietrangeli
>> CyClone di Antonio Fazio rec.di Andrea Coco
>> Il cuore oscuro dell'Italia di Tobias Jones rec.di Marco Roberto Capelli
>> Philologia Pauli. Il corpo e le ceneri di Pasolini di Massimo Sannelli rec.di Pietro Pancamo
>> Utopian Dreams - In search of a good life di Tobias Jones rec.di Luca Toni
>> Aspides di Riccardo Merendi rec.di Salvo Ferlazzo
>> Color nostalgia di Fabrizia Scipioni rec.di Gina Sfera
>> Cosa ci fai tu, qui, con un fiore tra i capelli? di Alice Trabucco rec.di Carlo Santulli
>> Il pittore di battaglie di Arturo Pérez-Reverte rec.di Peter Patti
>> In una lingua che non so più dire di Tea Ranno rec.di Carlo Santulli
>> Per amore per lavoro, storie di donne espatriate di Francesca Prandstraller rec.di Karina Olivera
>> Poesie Fiabesche di Graziella Poluzzi rec.di Alessandro Canzian
>> Storie di cavalieri e di lituani di Aldo Marturano rec.di Giuseppe Raudino

Nota: questo indice automatizzato può essere incompleto, in quanto riporta esclusivamente i testi presenti sia sulla rivista che sul sito e non puo "vedere" quelli inseriti esclusivamente nell'edizione cartacea.


Racconti vincitori e segnalati del pubblica con noi 2009

Vincitori sez. Racconto (v. anche la sez. Poesia e l'attestato dei vincitori) del concorso Pubblica con noi 2009

I classificato

Gilgamesh di Piero Macrelli (Rimini)



Piero Macrelli, nato a Rimini il 02-07-1963, diploma tecnico di scuola superiore, lavora come dipendente in un supermercato.

Incipit dell'opera

Gilgamesh scrive:
ma allora sei marchigiana…
Rosadilima scrive:
non lo dico quindi non puoi sapere se lo sono
Rosadilima scrive:
sì, come no
Gilgamesh scrive:
ti ho scoperto. Sei marchigiana. Ed io, puro romagnolo, mi vado a mischiare con una marchigiana…
Gilgamesh scrive:
e pensare che stavo quasi per innamorarmi di te......
Gilgamesh scrive:
ahahahahahhaahhahahahha
Rosadilima scrive:
aahahahhaha
Gilgamesh scrive:
scherzo....
Gilgamesh scrive:
non ho nulla contro i marchigiani. ma l'accento di ascoli piceno fa piangere....
Rosadilima scrive:
fa cagare per meglio dire
Gilgamesh scrive:
anche io con la mie esse sibilanti da riminese non dovrei parlare.....
Rosadilima scrive:
assomiglia all'abbruzzese
Gilgamesh scrive:
ma se tu fossi della zona di ravenna....
Gilgamesh scrive:
magari all'interno
Gilgamesh scrive:
di fianchi generosi e non secca...
Gilgamesh scrive:
impazzirei per te...
Rosadilima scrive:
io ho i fianchi stretti e sono magra come un giunco
Rosadilima scrive:
sono alta e magra
Gilgamesh scrive:
fianchi maschili?
Rosadilima scrive:
nooo
Rosadilima scrive:
ma ho le forme al posto giusto
Rosadilima scrive:
sono femmina dalla testa ai piedi
Rosadilima scrive:
non ho niente di maschile (per fortuna)
Gilgamesh scrive:
saresti disposta ad ingrassare 5-6 chili per amore?

Motivazioni

(Morena Fanti)
Ben de-scritto il senso di straniamento, un allontanarsi da sé stesso per guardarsi da fuori e vedere agire l’altro, quello che gira in internet con un nick e che acquista una sua identità a scapito di quella del protagonista: “Già dai primi approcci alla chat mi resi conto che ero stato catturato in un vortice emotivo che andava ben oltre la mia comprensione. L’alter ego da me creato, dopo i primi incerti passi, cominciò a muoversi con una sicurezza ed autonomia che non mi sarei mai aspettato”.
Un racconto molto attuale che tratta un tema forte vivendolo dall’interno, in modo semplice e diretto.

(Angelo Leva)
L'analisi introspettiva è fatta in maniera aperta, con argomenti chiari e condivisibili perché fanno parte dell'esperienza comune. Linguaggio chiaro senza scadimenti retorici, banali e prevedibili. Ricorda Il male oscuro di Giuseppe Berto che a metà del Novecento fece riconoscere migliaia di Italiani nel protagonista del libro.
(Nino Di Paolo)
In una storia che sembrerebbe “solo” una storia di disagio mentale sono invece contenuti due momenti “letterari” importanti: uno di contenuto ed uno stile.
Quello di contenuto è il racconto del passaggio, per il protagonista maschile, dal solo leggere allo scrivere, da “Urania” alle chat.
Quello di stile è nella descrizione dell’atto sessuale, uno degli scogli classici dello scrittore (come quello del discorso diretto) , sempre in bilico tra il banale ed il volgare, che qui viene brillantemente affrontato evitando questi due pericoli.
Racconto profondo e gradevole al tempo stesso. (Nino)

(Caterina Camporesi)
La certezza di avere un unico io indiviso non è più sostenibile, così la tecnologia, qualora la vita reale non offra più ruoli significativi e soddisfacenti offre l'opportunità di mettere in gioco altri ego virtuali per aiutare il difficile compito della sopravvivenza. La storia della relazione fra un uomo e una donna raccontata rappresenta il fallimento, quando l'io reale e quello fantastico si incontrano e si confrontano. L'eventuale speranza sembra comunque affidarsi al virtuale.

II classificato

Luca in the sky with diamonds di Mauro Simeone (Grottaferrata, RM)


Mauro Simeone ha trentadue anni e ha già pubblicato un titolo (Rocco Calcestruzzo – Dialogo con se stessi, 0111 Edizioni, 2008) e alcuni suoi racconti sono apparsi su varie antologie (Qui tutto va a puttane, Gingko edizioni, 2008).

Incipit dell'opera

Luca si presentò nel bar con la solita maglietta verde sdrucita, i bermuda sotto il ginocchio e un paio di scarpe da ginnastica scollate e sporche di terra.
Non era tipo da indossare t-shirt griffate per mostrarsi forte e vincente agli occhi degli altri anzi, gli dava fastidio avere Dolce & Gabbana o Fred Perry testimonial della sua anima. Fosse stato per lui sarebbe andato sempre in giro nudo.
Seduti al tavolino del bar c'erano i fighi del Pigneto, Alessandro e Marco più un terzo elemento che aveva visto solo di rado che aveva un pizzetto disegnato ad arte e lo sguardo annoiato.
Gli altri due invece li conosceva bene, erano tutti cresciuti insieme su quelle strade, erano stati amici d'infanzia, anche se amici non è proprio il termine corretto perchè lui aveva sempre dovuto pagare lo scotto della sua inferiorità; era lui quello che non era capace di impennare la bicicletta su una ruota, lui quello che nelle partite a pallone veniva scelto sempre per ultimo, lui l'ultima persona da chiamare e la prima da prendere in giro.
Per questi motivi crebbe con poca autostima e il senso di rivalsa nei loro confronti era cresciuto sempre di più, giorno dopo giorno e anno dopo anno, tanto che ormai, pur di suscitare il loro interesse, se ne inventava di tutti i colori:
– Ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare: ho visto pianoforti che volano, supposte grandi come dirigibili, zanzare che sventolano la bandiera della pace.
– Anche io ho visto cose che tu non puoi neanche immaginare – lo interruppe Alessandro, il vero leader della compagnia, quello che sfoggiava sempre l'ultimissimo modello di cellulare, vestiva Dolce & Gabbana ma soprattutto da bambino era capace di fare un chilometro intero su una ruota sola.
– Ho visto ragazze che ci stanno, camicie di Brook Brothers a quindici euro, ingressi omaggio al Kursaal.
Marco e l’altro ragazzo scoppiarono a ridere e iniziarono un fitto lancio di olive verdi di Gaeta contro Luca che rimase lì immobile, impassibile e umiliato.
Uscì fuori del bar con la convinzione che non sarebbe mai riuscito a ottenere la stima dei suoi coetanei, neanche se fosse stato un cacciatore di cyborg in Blade Runner.
– Vattene via drogato!
– Tossico che non sei altro!
– Fattone!
Gli appellativi che risuonarono da dentro il bar erano i soliti, niente di nuovo davvero. Luca non ricordava una sola volta che quelli che lui chiamava amici l'avessero chiamato col suo nome. Per muovergli accuse e insulti usavano sempre l'etichetta del drogato che effettivamente era ma a lui sarebbe piaciuto che qualche volta l'avessero insultato chiamandolo per nome e non usando un generico “tossico” o “drogato”.
No, sentirsi dire “Luca sei un coglione” non sarebbe stato affatto male.


Motivazioni

(Nino Di Paolo)
In quanti modi vediamo il drogato, il tossicodipendente, il tossicomane, il “tossico”?
Come uno che fa pena, come uno che se l’è cercata e si arrangi, come uno da curare, come uno da punire, come un fastidio, come…
Questo racconto, senza toni drammatici, scritto in modo semplice e gradevole, mi ha permesso di vedere, per la prima volta, in un testo, il drogato come una persona assolutamente come tutte le altre, cosciente di un bisogno rispetto al quale siamo spesso disattenti perché lo consideriamo acquisito od irrilevante per importanza: quello di essere chiamati per nome, cioè il massimo della normalità e, allo stesso tempo, della personale specificità, dell’irripetibilità di ciascuno.
Il testo è simpatico, appena appena ruffiano, certamente piacevole.

(Caterina Camporesi)
Ambientato in un quartiere di periferia di Roma nel periodo delle ferie estive, il racconto, scandito da citazioni di canzoni di Lucio Battisti, narra le vicende di una gioventù persa i cui tentativi di trovare senso e speranza nei valori dell'umanità e nel futuro sono brutalmente irrisi. Luca, il protagonista, con alle spalle un percorso di droga, impegna tutto se stesso affinché il bisogno d'amore e di riconoscimento umano e sociale venga accolto. Lo sforzo, non solo non dà risultati positivi, ma va verso un finale agghiacciante.


III classificato

Ultimo giorno di televisione ed altri racconti
di Giuseppe Cornacchia




Giuseppe Cornacchia, 1973, co-gestisce il portalino letterario www.nabanassar.com dal 2002. Vive e studia in Inghilterra. Ha pubblicato nel 2003 con Ass Cult Press di Pistoia, nel 2006 con Fara Editore di Rimini e in bilingue italiano/inglese nel 2008 con Erbacce Press di Liverpool. Variamente segnalato su carta e in rete.


Incipit dell'opera

Fredda mattina di novembre, mercoledì, ore 9. Cielo coperto.
"Miscredente", così il capo.
"Ma no, le assicuro, c'è un equivoco", così Barbaro.
"Furfante, truffaldino, brigante!"
"Le spiego, se mi dà un minuto le spiego"
"Avanti, sentiamo..."
"I-i-io, v-v-veramente..."
"Cialtrone! Buffone! Via, via, prima che ceda alla tentazione di prenderla a calci!"
Si era brillantemente concluso il colloquio col capo per un avanzamento di grado.
"Ehi, sembri stravolto, che t'è successo?", così un collega.
"Al diavolo!"
Era sicuro d'essersi guadagnato il licenziamento.
Passò dall'ingresso di servizio.
"Buongiorno, signor Barbaro", così la portinaia.
"Addio"
Che sciocca portinania.
Si infilò nel bar vicino.
"Un chinotto, per favore"
"Ecco a lei"
"Senta, che dice del tempo? Ha visto che nuvole, non è che pioverà? Sa, ho i panni sul balcone, non vorrei rilavarli"
"Mah, a occhio non piove. Se poi piove, non so"
"Ehi, amico, non piove, sta tranquillo". Un tipetto tosto, alle prese con un Martini caldo.
"Chi è lei, Mandrake?"
"Ah, ah. No, no, l'ho sentito alla radio"
"Bene, grazie. Il suo Martini lo pago io"
Per strada, importunando turiste non accompagnate.
"Hello, miss. Can I offer you a drink?"
Risatine.

Motivazioni

(Stefano Martello)
Qualche giorno fa, in mezzo al traffico di Roma, con una musica che non sentivo e con mille pensieri, ho visto due persone che si prendevano a schiaffi per qualche oscura ragione che aveva a che vedere con i cartelli stradali. Ho dato due colpi al clacson e ho pensato al film della sera. Con un dialogo brillante, secco e coinvolgente, questa è la trasposizione letteraria di quel giorno, e di tanti altri giorni. Di smarrimento del buon senso, di assorbimento passivo di ogni genere di dato e di assenza di un qualsiasi processo di elaborazione e critica. Ma il film in prima serata era veramente imperdibile!

(Nino Di Paolo)
Tre racconti, di cui il secondo, “Giovanni”, fantastico, sospeso tra l’incredibile ed il surreale, che esprimono la follia dell’esistenza e una ricerca impossibile di senso.
Incredibili e surreali ma, purtroppo, non inverosimili.
Si danno la mano la coscienza dell’assurdità del reale e la follia, e non in posizione di causa ed effetto. La scrittura è scarna, a frasi brevi ma illuminanti, visionaria e concreta insieme.


III classificato aggiunto

INSEKTA di Francesco Troccoli (Roma)



Romano, autore di genere fantastico/fantascientifico. Lavora come consulente di Marketing e Management. Si piazza finalista o riceve menzioni d’onore in occasione di vari premi di letteratura di genere, a volte con pubblicazione (Tabula Fati, Nuovi Autori Science Fiction 1, 2, 3, e 4, Apuliacon 2005, Racconti dall’Oltrecosmo 2005, Space Prophecies II, 2006, Racconti dall’Oltrecosmo 2007, Ferrara & Ghost 2008) e di narrativa generale (Il Prione 2005 e 2006, Interrete, Città di Melegnano, Racconti in Viaggio, Energheia, Alla Luce delle Mainarde, Prader Willi, La Voce delle Donne, Merano Europa, Zenone, Città dei Sassi, Chiave di Svolta, Pubblica con noi, Premio Letterario Casentino 2008, Premio Nemo Editrice 2008, Le Fenici 2008, Loris Biagioni 2008, Giorgio La Pira 2008, Alois Braga 2008, Duerre 2008, Erga Omnes 2008, Volo Rapido Porsche 2008); vincitore nella sezione fantascienza del premio Akery 2006 (al quale poi nel 2007 e di nuovo nel 2008 è giunto secondo), secondo classificato al Trofeo Rill 2008, vincitore del Premio Rasa Calogero, vincitore del premio di fantascienza Apuliacon 2007; al premio Parco Majella 2006 e al Premio Pennacalamaio 2007 vincitore con la prima raccolta di racconti, “Fantasie di Mondi Possibili”; vincitore del Premio Adeia 2008, vincitore del Premio Archimede - Siracusa 2008, infine vincitore del Premio Pennacalamaio 2008. Suoi racconti di genere fantastico sono stati pubblicati nelle antologie Fuga da mondi incantati, Nexus Editrice 2008, I Racconti del Prione 2005, e I Racconti del Prione 2006, entrambi per i tipi delle Ediz. Giacché - La Spezia, Nuovi Autori Science Fiction 1, 2 e 3, e 4”, La Voce delle Donne, Ediz. Fiori di Campo, I Racconti di Energheia, Ediz. Energheia, I Racconti dell’Oltrecosmo I e III, Space Prophecies I & II, 2006, Volo Rapido 2008 – Letteratura Creativa in 356 minuti, e nelle riviste letterarie «Il Club degli Autori», «Fondazione» e «Nugae».

Incipit dell'opera

Johanna correva veloce sulla spiaggia e gli andava incontro. Dall’alto della scogliera chiunque non avrebbe potuto distinguere che un puntino in rapido movimento, e per un istante fu come se anche Balkan avesse visto così quella scena.
Era certo che si trattasse di lei, anche se ancora non riusciva a vederla in volto; riconosceva la sua immagine da lontano, dal desiderio che la muoveva verso di lui, dalla leggerezza. Mentre la guardava avvicinarsi, Balkan non riusciva a sentirla, mentre lei lo chiamava per nome, perché la voce della donna era sovrastata dalle onde del mare; ma era così felice che lei fosse lì che questo non gli importava. L’idea di riaverla fra le sue braccia prevaleva su qualunque altro pensiero; per tutto il resto, le domande, i dubbi, le incomprensioni e lo stupore non sarebbe mancato il tempo, poi.
C’era solo una lingua sottile di sabbia fra il balzo della colossale parete basaltica e la marea che risaliva in fretta, ed un senso si urgenza si sovrappose alla placida bellezza di quella visione.
La risacca diventava sempre più vicina, e Balkan cominciò a pensare che non avrebbe avuto modo di salutare la sua amata nella maniera che avrebbe voluto, ovvero abbandonandosi ad un bacio senza tempo.
Il cielo appariva sereno, e la luce dei due soli era al massimo dell’intensità diurna. Non c’era dubbio, si trovava nel sistema binario di Darlan, uno dei luoghi più temuti della galassia, frequentato unicamente da pirati, predoni e trafficanti di ogni risma. Gente in mezzo a cui era cresciuto e con cui aveva imparato a vivere più che dignitosamente. Proprio per questo non riusciva a capacitarsi di come anche lei, che apparteneva a tutt’altro genere di mondo, potesse trovarsi laggiù, libera, e sola.
Si erano detti addio da qualche settimana, ma lei doveva aver cambiato idea.
Lo aveva dunque raggiunto e aveva corso un gran rischio per riuscire a rintracciarlo. Ne concluse che era ancora innamorata di lui, e questo era più che abbastanza.
Al diavolo la marea, le rocce, e i malviventi che infestavano il pianeta; come al solito, lui avrebbe trovato un modo per cavarsela, e anzi persino per trarre vantaggio dalla situazione, per sé, e per lei.
Per loro, insieme.
Johanna era ormai a poche decine di metri, quando Balkan vide la bestia. Un’aquila gigante, sbucata all’improvviso alle proprie spalle, stava picchiando dall’alto delle rocce verso la donna. Balkan rimase inebetito a guardarla, dubitando dei suoi stessi occhi; su Darlan IV non c’erano animali, escludendo le più meschine fra le razze del genere umano.
Non aveva mai visto da vicino quel genere di predatore, ma era come se ciò fosse avvenuto; quando era bambino, suo nonno gli narrava di aver visto i rapaci imperversare durante le razzie dei villaggi saccheggiati dai signori nei sistemi più lontani dal centro dell’Impero, prima della nascita della Lega. Ma non avrebbe mai sospettato che potessero esserci ancora degli esemplari selvatici in libertà, e di certo non su quel mondo abbandonato.
L’uomo estrasse la sua arma iniziò a correre verso la donna, sperando di riuscire a sottrarla alle grinfie di quel mostro.
Per quanto si sforzasse di precipitarsi in suo aiuto, Balkan si accorse con orrore che riusciva a muoversi molto lentamente; la gravità sembrava essere aumentata ad un livello intollerabile, e la bestia sarebbe arrivata su Johanna prima di lui. Non poteva permetterlo, proprio ora che l’aveva ritrovata.
Puntò il fucile paralizzante, sparò, e si rese subito conto che l’arma non funzionava; la gettò in terra con violenza rabbiosa, prima di lasciarsi andare ad un urlo disperato, disumano, che avrebbe spezzato il cuore a chiunque avesse avuto la cattiva sorte di udirlo.
– Balkan! Svegliati, accidenti! Sveglia, Balkan!
Le parole risuonarono nel silenzio.

Motivazioni

(Stefano Martello)
Non c’è nulla da fare; un buon racconto breve di fantascienza riesce a migliorarmi la giornata. Scritto bene, con una citazione nemmeno tanto nascosta a “Fanteria dello Spazio” nell’individuazione del nemico ed al “Gioco di Ender” (Orson Scott Card) nella visione di una guerra necessaria. E con degli spunti – e se essere invasi da un insetto non fosse una cosa poi così terribile? - che, forse, potrebbero trovare forza ed essenza in un romanzo, più articolato e meno costretto dalla formula del racconto breve.


Opere menzionate (non saranno pubblicati su carta)


Il gelsomino di Tiziana Ercole (Avezzano/Parigi)

Incipit dell'opera – Aperta la porta, trascinai la valigia fino a quella che sarebbe stata la mia camera da letto. Pochi metri, a dire il vero. Il soggiorno era più piccolo di quanto ricordassi, il cucinino, il bagno, piccolo anch’esso, e la casa finiva là.
I pochi mobili che arredavano la casa erano IKEA e tutto sommato non stavano male. L’appartamento era scarno, essenziale, ma pieno di luce.
Il palazzo invece, quanto di più anonimo potesse concepire un architetto, era un parallelepipedo su una collina. Intorno, tanti cloni grigi dello stesso contenitore. Chissà che soddisfazione replicare uno scatolone come quello.
Aprii la finestra e mi affacciai sul piccolo balcone da cui si vedeva una delle poche chiazze di verde di tutta la zona, una fetta di campagna bruciata dal sole. La ringhiera, in metallo bicolore non era altro che una rete irrigidita che sembrava non potesse reggere il peso di un uomo.
In fondo, una spessa lastra di vetro opaco divideva la mia porzione di affaccio con quella dei vicini, molto più piccola, sembrava.
Non avevo idea di chi abitasse nella porta accanto né mi importava saperlo.
Arrampicato a stento sul vetro che divideva il balcone, un gelsomino, sopravvissuto ai traslochi degli inquilini precedenti. Era in fiore e profumava incredibilmente, nonostante la terra coperta di crepe dall’arsura, come le madri africane ridotte pelle e ossa dalla fame che allattano ancora un bambino e il bambino è bello e il latte esce a gocce dal loro seno, nonostante loro, le madri, siano solo dei fantasmi.
Anche i fiori del gelsomino erano belli. Corsi ad annaffiarlo con un contenitore incrostato di calcare che avevano lasciato i miei predecessori.
Quanto a me, dovevo comprare tutto in quella casa.
Lo avevo voluto io. Lasciando Sergio volevo disfarmi di tutto il mio passato. Non che non fosse stato bello. Tutto il passato ha qualcosa di bello, a pensarci.
Io preferivo ricominciare, svegliarmi la mattina e vedere una stanza nuova, oggetti nuovi, anche scadenti ma privi di ricordi. Neanche i miei libri avevo voluto.
Non stavo male. Con Sergio era finita. Non sopportavo più quell’amichevole convivenza, quell’affetto che basta uno sguardo per capirsi, quel fare tutte le cose insieme, il nostro eros addomesticato, funzionale al fare di noi una coppia perfetta.
Sergio aveva accettato senza comprendere. Complice ancora una volta mi aveva lasciato andare. Quanto ai libri, potevo andarli a prendere quando ne avevo voglia, non c’era bisogno di avvertirlo prima e la casa la conoscevo.

Giudizio di Morena Fanti
Atmosfera sognante e scrittura delicata ma precisa, per questo bel racconto in cui la fantasia del sogno, del desiderio, ma anche la sconfitta della solitudine, porta alla creazione di persone e storie così sentite e intime da essere vere. E poco importa se alla fine tutto ciò che rimane è solo un cartoncino con la scritta “Jasmin”.
Anche quando sembra non esserci più niente, quando si misura solo il vuoto e il nulla, c’è sempre una possibilità e riuscire a coglierla è già avere qualcosa.

***

Quattro racconti di Frank Spada (Udine)

Incipit dell'operaDomenica di sera
– Ci vediamo domani, Timo. Ah! Dite agli amici che li ho aspettati, ma... stavo quasi per scordarmene, devo passare in redazione a prendere dei libri.
– Non si preoccupi, professore. Buonanotte, – dice quello sottraendo al ceppo braci con una paletta in mano, mentre un paio di braciole macerano sapori dentro una fondina lambita dalla fiamma e due clienti le tengono di mira dal tavolo lì accanto.
Un grappino al banco - anticipandosi gli esterni tra i baveri già alzati - e un uomo dall’aspetto giovanile esce dalla trattoria.
“La Patria del Friuli” in tasca, e la sua firma in calce all’editoriale quotidiano, e fuori trova la sequenza di stagione: la sentinella infreddolita che sorveglia l’atrio dell’ospedale militare, qualche persona che s’incrocia stringendosi le spalle, gli altri... chiusa la giornata se ne stanno in famiglia con le stufe accese.
Nevicherà? Il giornalista letterato alza lo sguardo – il cielo soppesa il fumo dei camini indeciso se appendersi a quegli appendiabiti insicuri o proseguire fino alle montagne per togliersi giù il manto. Chissà! L’uomo lascia il poetico fondale dei pensieri grigio-piombo e accosta l’andatura piegandola a sinistra – la quinta è chiusa dalle Grazie – rasenta la roggia che s’imbuca con una curva ai piedi della scala, sorvola la penombra dell’asfalto poi scricchiola le suole sulla ghiaia. Ammutolita, in centro al prato ovale, la fontana si specchia nella rotondità del gelo. Su in alto, l’angelo in silenzio sopra il campanile della piccola Patria impone con il dito il sostare della notte, ed ecco che il primo sfarinarsi bianco imperla il naso al nostro amico. Avverte così freddo che si fermerebbe per abbracciarsi a se stesso – se non fosse che sospende il passo per dare strada agli interni spenti sulla sagoma di un autobus che passano veloci sotto le pendici del Castello; poi sale verso l’arco dell’antica porta di mattoni. Sfiora tra le labbra il motivetto di una canzone popolare – arriva dalla radio del chiosco alle sue spalle attorniato da un giro di lampadine colorate – e giunto là sotto scruta quattro angoli pesti di buio. L’illusione di un duello ad armi pari per mutare il finale di una storia avviata da un politico che guarda interessato all’istituto regionale e arrotola il giornale allungando una stoccata contro un sicario prezzolato che salta su dal fondo – l’odore acre del piscio dei viandanti lo allontana non visto; l’altro... via a riferire!

Giudizio di Angelo Leva
La tecnica del racconto breve qui è ben interpretata anche se un po' debole nella chiusura. La costruzione di ogni racconto è complessa e paragonabile a quella di un giallo e per questo richiederebbe una maggior resa finale.

***

Schegge di Daniele Vergni

Incipit dell'operaJack
Una sola cosa era certa in quel momento, tutti noi volevamo uscire di li, la situazione era fuori controllo. Non potevamo stare ancora lì dentro, tutti stretti l’un l’altro, tutti insofferenti nei confronti degli altri.
Tutti in gabbia, soggiogati da scelte a cui non potevamo approdare, repressi e rabbiosi, una bomba ad orologeria chiamata pazzia.
Jack il rabbioso impulsivo aveva voglia di distruggere tutto, di controllare ogni cosa e lanciarla caoticamente in aria per poi farla cadere a caso e farla spezzare in mille frammenti che si sarebbero mischiati in maniera ancora più disordinata. Aveva il fuoco negli occhi e si muoveva in modo sconclusionato dirigendo gli arti su e giù, cercando cose che non c’erano, che non potevano esserci. Si rigirava e prendeva tutto con ostilità, distruggendo ogni cosa. Le sigarette frantumate e la voglia di fumare crescente, l’abat-jour decapitata con la testa penzoloni verso sinistra, non completamente staccata dal fragile corpo lesionato, soltanto una vertebra fuori posto, la radice stroncata.
Pochi attimi per dar posto al suo carattere e tutto era diventato un campo di battaglia con lui come unico sopravvissuto.
Proprio in quel momento Jack il paranoico fece il suo ingresso, sedendosi subito a terra, in un angolo, cullandosi freneticamente. Le mani, le une sulle altre, si sfregavano velocemente. Gli occhi correvano da sinistra a destra cercando strane presenze, fantasmi quotidiani. Le dita della mano sinistra si grattavano una guancia, scavando un solco che regalava attimi di speranza, poi subito verso la bocca per farsi serrare da denti che cercavano spigoli di unghie accorciate fino a sanguinare. Il terrore di essere scoperto, di far vedere lo stato delle cose, degli oggetti distrutti in camera, del suo viso sconfortato, dei suoi occhi instabili, gonfi di paura.
Appena le mani coprirono il volto iniziò a piangere in maniera affannosa, tanto da sembrare una preda in trappola, stretta da ferree morse intorno al collo. Pian piano il suo pianto si trasformò in una temibile risata. Il suo lancinante ghigno era inconfondibile. L’espressione così sardonica non poteva essere che quella di Jack il pazzo, il più temibile di tutti noi.

Giudizio di Stefano Martello
Più che schegge, frammenti, ritratti di persone; volti di sopravvissuti che cercano ragioni per affrontare la giornata. Racconti che – lo ammetto – mi hanno messo una certa inquietudine addosso, consapevole come sono del fatto che anche io, quando tira male, cerco un appiglio in un oggetto o in una nuova avventura che tanto nuova non è. Racconti sull’umanità, che è fragile e speranzosa. E un pochino inquieta.


***

Tre frammenti di Argiro Mellou (Atene/Bologna)

Incipit dell'operaFragmento archeoillogico
L’età di Scipione [una specie di riepilogo].
Non si può vivere senza nemici, questo innanzi tutto. Senza di loro non ci saremmo noi, né senza
loro la grandezza di Roma. Noi siamo qui per loro e loro qui per noi, e solo così noi ci possiamo
riconoscere, non essendo loro.
Salute fratello, se stai bene sono contento. Io sto bene.
Ti scrivevo il giorno seguente la presa di Cartagine Nuova, appena terminata la distribuzione del
bottino e dei prigionieri tra le truppe, mentre gli uomini ancora esausti si concedevano a un meritato riposo dopo il veloce assedio, la battaglia, la strage. Per tutto il pomeriggio ci aveva tenuti impegnati l’assegnazione della corona murale che, come ben sai, non è faccenda da poco quando più di un soldato ne vuole il riconoscimento. Erano in due questa volta a vantarsi, un certo Quinto Tiberilio, centurione della quarta legione, e il soldato della fanteria di marina Sesto Digito, e entrambi promuovevano il proprio merito con un tale entusiasmo da infervorare l’animo degli uomini dei loro reparti. Non fossero bastati i soldati, anche gli ufficiali presero a farsi di parte, e Gaio Lelio si schierò per Digito e Sempronio Tuditano per Tiberilio. Mi divertono sempre questi impulsi arroganti come di cani svelti su un brandello di carne e quel giorno mi mostravano nel suo massimo splendore il cameratismo dei nostri guerrieri, assai proficuo in battaglia ma da disciplinare nel campo. Decisi infine per una giuria e con Lelio e Tuditano feci sedere Cornelio Caudino, il tuo amico, che si mise a mediare tra i due con la solita ilarità. Prese a chiamare Lelio Straminchia e l’altro Macinachiappe, riuscendo a mischiare sorrisi di scherno alle urla sui volti dei soldati. Si stabilì infine di donare una corona a Tiberilio e una a Digito, ai quali dissi di avere avuto la certezza che fossero saliti nel medesimo istante sulle mura della città. I due rimasero soddisfatti, gli altri si rasserenarono tutti.

Pensavo ancora alla loro veemenza quando, tornando alla tenda, avvicinai il recinto del mio lupo, bellissimo e sempre propizio. Vedevo rivoli di fumo alzarsi ancora dai bastioni della città e
scricchiolii di legno arso e nuovi piccoli crolli precipitare in qua e in là. Il più delle costruzioni era rimasto integro comunque. Stava intanto arrivando Lelio dal luogo dell’adunata camminando come infastidito, scrollandosi lo stivale e sembrava che avesse schiacciato qualcosa. Voleva sapere se mi fossi risentito per la sua partecipazione alla disputa; gli ho risposto se mi avesse mai visto preoccupato per l’animosità dei soldati. Ha sorriso allora e mi ha posto un’altra curiosa domanda che diceva essergli sorta in mente durante l’incoronazione del suo milite, se cioè fossero gli uomini a fare la storia o piuttosto la storia a fare gli uomini. Credo intendesse dire se siamo liberi nelle nostre scelte. Una bella questione, non trovi? Gli ho risposto che ci avrei pensato su.

Giudizio di Caterina Camporesi
Il racconto di tre momenti nella storia dell'uomo: l'origine di Roma e la necessaria presenza del male perché essa sia e divenga ciò che è; Bologna nel suo andamento quotidiano. Infine i nostri giorni che debbono accettare la presenza se non la convivenza con figure extraterrestri con la possibilità di eliminarle con un semplice gesto quotidiano: getti di urina. Il tono è erudito, leggero e ironico in alcuni casi scanzonato e al contempo riflessivo.


***

Cristine di Maria Maltoni (Forlimpopoli, FC)

Incipit dell'opera – Cristine sedeva al computer come se stesse lavorando, ma in realtà guardava fuori dalla finestra, davanti a cui aveva posizionato il suo tavolo da lavoro. Questo le consentiva di osservare il volgere delle stagioni attraverso il cambiamento dell’aspetto degli alberi del giardino posto al centro di Place des Vosges. Aveva cercato a lungo quella casa e poi infine l’aveva trovata, in uno dei quartieri recentemente rinati di Parigi: il Marais. Hotel nobiliari e palazzi storici, certo, ma anche piccoli stabili dove, tra le viuzze del ghetto, un po’ alla volta erano arrivati artigiani e artisti. Girando per le strade potevi trovare piccoli atelier di sartoria, negozi di cappelli, librerie improbabili e cartolerie con colori pastello e a cera esposti in bella mostra in vetrina. Per non parlare del cibo, c’era solo l’imbarazzo della scelta. Dal ristorante russo kosher , con suoi pesci in salamoia ed i suoi blinis, fino alla sontuosa tavola libanese ed alle decine di pizze e fhelafel, che in fondo “ altro non erano che pizze ripiene di carne in versione araba”, così si ripeteva Cristine che aveva un certa quota di sangue italiano, come del resto molti francesi del Midì.
Gli alberi erano in fiore, non avrebbe saputo dire di quale specie di piante si trattasse, non era appassionata di botanica, ma il colore tra il viola ed il rosaceo delle infiorescenze le piaceva. Tutto quel colore le procurava come una leggera vertigine, uno stordimento, una allegria che le faceva comprendere che la primavera era finalmente tornata, dopo le nebbie e l’umidità dell’inverno.
In realtà quella piazza le piaceva anche perchè di lì era passata la Grande Storia. Caterina Dei Medici aveva fatto spianare i palazzi dopo la morte del re, suo marito, in un duello avvenuto proprio lì. Le piaceva quella regina italiana , spietata e macchiavellica nei comportamenti, ma ancora di più la sua fragile ed in qualche modo malinconica figlia , Margot. Cristine Blondel amava i processi e gli accadimenti storici, ben oltre il suo lavoro di insegnante in un liceo della capitale.
Aveva acquistato accessori colorati anche per il suo tavolo , un tappetino per il mouse rosso, evidenziatori multicolori ed anche un mazzo di tulipani rossi e gialli, che aveva appoggiato di fianco allo schermo del computer in un vaso di ceramica, anch’esso di colore rosso, regalatole da un’amica. La finestra e lo schermo del computer, erano in realtà due mondi simmetrici che si intersecavano, entrambi reali e mutevoli.
Aveva appena risposto ad una mail proveniente dall’Italia, con attenzione , ma anche con molta allegria. Non sapeva perché, ma tutte le volte che sul suo schermo appariva la sigla di quella università italiana, per lei sconosciuta fino a pochi mesi fa , diventava immediatamente di buon umore. L’occasione per entrare in contatto, era stato un progetto in cui erano state coinvolte varie scuole ed università dei due paesi, tra cui la sua.


Giudizio di Morena Fanti
Buona l’idea di raccontare l’evoluzione di un rapporto che inizia con l’attrazione sul piano intellettuale e ‘distante’ e prosegue sul piano fisico e ravvicinato.
I piani di comunicazione cambiano e il senso di realtà ha più presa sui protagonisti finché diventa tutto troppo ‘reale’ e Cristine deve fuggire da ciò che è diventato troppo coinvolgente fino a rappresentare una potenziale causa di dolore. Ben reso ma è tutto troppo “raccontato”. Sarebbe stato ancora più bello se i protagonisti avessero agito di più mostrandosi direttamente ai nostri occhi.


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Cuore di plastica e altri racconti di Marinella Galletti (Cento, FE)

Incipit dell'operaCuore di plastica
Salgo una scalinata realizzando progressivamente qual è la meta. Tutto mi appare esageratamente grande. Accolgo le informazioni visive nel momento in cui le immagini si fanno insieme di particolari. E vedo cornici della realtà. Meglio identificate. Marmo… i gradini della scala. Cemento…la parete di un grattacielo. Vetro…la porta d’ ingresso. Un meccanismo elettronico mi permette di entrare e qualcuno chiede dove dobbiamo recarci. Io ed altre persone, comunemente entrando, ci soffermiamo, ascoltiamo e qualcuno inizia a parlare. Relativamente a informazioni su quale piano riferito a uffici a persone. Ad appuntamenti presi.
Seguo un tragitto unanime fino all’ ascensore. Fermatosi a diversi piani, silenzioso, veloce. Rapidamente al mio piano infilo un corridoio luminoso, bianche le pareti. Esaltata la prospettiva come di chi guarda dal basso o, meglio, da più lontano di dove mi trovo.
Vengo subito ricevuta. E’ un uomo che, dall’ interno dell’ ufficio, la porta accostata, da dietro una scrivania, mi vede e dice “entra, accomodati”. Un sedile a poltroncina mi accoglie e avverto che la gonna che indosso mi sta stretta. Esageratamente si ritira lasciando vedere le gambe oltre il confine di calze autoreggenti. Consentendo la visuale di slip in tessuto elastico a righe. La superficie nuda del mio corpo visibile supera varie proporzioni. Indosso una camicetta bianca sbracciata allacciata in vita. Non indosso il reggiseno. Un top trasparente e rosa emerge. E’ visibile un corpo liscio e stirato. Senza pieghe o cuscinetti. Senza ritorno. Una linea continua mi definisce. Sottile.
I miei capelli una massa enorme di fili lunghi oltre la vita. Attorcigliati, una treccia non ben composta, ma saldamente legata da più nastri. Di molti colori avvinghiati così da trattenere la massa dove la treccia è lacunosa e ribelle.


Giudizio di Angelo Leva
È uno scrivere che sa creare attesa nel lettore. Le parti nel racconto sono svelate nei tempi giusti così da non creare mai scontatezze. Purtuttavia l'incipit e la chiusura sono in difetto di forza attrattiva e anche nella parte centrale si potrebbe essere più concisi.