giovedì 17 settembre 2009

Lettera aperta alla figlia di Guido DORSO

di Vincenzo D'Alessio

Gentile signora Le scrivo perché dopo celebrazioni e articoli giornalistici lo stupendo libro di Suo padre La Rivoluzione Meridionale è affidato esclusivamente alle mani, e allo studio, di poche persone; mentre dovrebbe costituire negli istituti secondari d’istruzione statale e nelle Università il saggio storico-politico più letto per riuscire a realizzare “il sogno” di una classe dirigente non trasformista che apprenda appieno il valore della parola “Mezzogiorno d’Italia”.

Dal dopoguerra ad oggi sono state sventolate, e tradite, le idee di Suo padre, e dei suoi ispiratori a cominciare da Giustino FORTUNATO per finire a don Luigi STURZO. Nessuno dei politici al governo della nostra nazione ha avvertito la necessità di farsi carico dei valori che, il libro scritto da Suo padre, hanno segnato quel primo solco in difesa della classe contadina (difesa da Pasquale VILLARI nel 1878) scomparsa definitivamente dalle plaghe del nostro Mezzogiorno. Con quelle moltitudini sono scomparsi anche i valori trasmessi per secoli nelle famiglie numerose che fecero scrivere al poeta Pier Paolo PASOLINI questi versi: “Oh generazione sfortunata! / Cosa succederà domani, se tale classe dirigente – / quando furono alle prime armi / non conobbero la poesia della tradizione / ne fecero un’esperienza infelice perché senza / sorriso realistico gli fu inaccessibile / e anche per quel poco che la conobbero, dovevano / dimostrare / di voler conoscerla sì ma con distacco, fuori dal / gioco.” (La poesia della tradizione, 1971)

Valgono anche i versi del rivoluzionario Pietro Paolo PARZANESE in difesa del corpus che dava alla penisola italica il meglio della sua energia nei frutti della terra, nei valori dell’esistere. Nel sangue dei martiri sul fronte del Carso Triestino; nelle trincee del finto impero fascista che fece scrivere al poeta Agostino MINICHIELLO nel 1949: “Quanti voi siete / che ci avete tolto il sangue, / raccattate la mia giovinezza / lungo le strade dell’Africa” (Le cose impossibili, 1949-1952). E ancora la lunga indefinibile fila degli emigrati in tutte le nazioni dell’America e dell’Europa; la scia della filiera che anche oggi sradica dalla Nostra Terra le migliori intelligenze. I figli tornano a volte. I nipoti hanno dimenticato e parlano un’altra lingua.

La classe politica che vediamo dirigere le sorti del Mezzogiorno parla delle nostre aree come di terra che non si ama, che non si conosce . La classe dirigente ha paura del confronto delle idee. Ha timore di invecchiare e farsi da parte. Accumula per sé e per i propri simili, senza badare che in questo modo uccide il valore degli uomini liberi, nati nelle loro città, nei loro paesi confinati sulle montagne, ai limiti di quelle province meridionali soffocate dai soventi terremoti, dalle alluvioni, dall’egemonia corrotta dello strapotere del denaro in mano a persone che non hanno sensibilità culturale perché non hanno letto il principio dei valori costituito dal libro La Rivoluzione Meridionale. Sono questi uomini, trasformisti e invecchiati nelle gare politiche, non nella saggezza ma nell’intemperanza del ruolo, che tradiscono le forze giovanili che Suo padre, Guido DORSO, ha difeso e valorizzato chiedendo loro di essere artefici del proprio avvenire. Come ha sintetizzato Carlo MUSCETTA, ricordando le idee di suo padre, e richiamando alla moralità il mondo dei politici dal Nord al Sud della penisola.

Noi viviamo oggi nella più cupa difficoltà dell’esprimerci liberamente. La libertà di divulgare le proprie idee è perseguitata e portata davanti ai tribunali dello Stato. Ci è imposto un clima di strapotere consolidato da troppi anni di silenzi e di insolvenze sull’operato dei politici del nostro Paese. Siamo uguali davanti alla Legge se lo Stato difende le proprie leggi e non soltanto gli uomini che lo rappresentano. La classe dirigente di un Paese democratico deve avere come obiettivo primario la sua integrità morale e politica. Così come scriveva suo padre nel volume che stiamo considerando: “Emerge, quindi, chiaro fin da questo momento che ad aggravare gli originari fenomeni di inferiorità economica e di patologia demografica che caratterizzano la costituzione sociale del Mezzogiorno, molto ha contribuito e contribuisce tuttora lo Stato, che da organo supremo del diritto, da fonte precipua ed unica di eticità, si trasforma in Italia in organo del privilegio, in fonte continua e perseverante dell’ingiustizia.” (pag. 215)

La democrazia nel nostro Paese è invecchiata di colpo. Le giovani generazioni sono costrette a sfuggire, a questa vecchiaia precoce, emigrando. I pensatori vengono isolati. Il potere, sotto ogni forma, tutela le sue basi e si rafforza. La terra Meridionale muore. Oggi più di allora, gentile signora, il “sogno” di Suo padre deve essere realizzato e letto per riuscire ad attuare quell’auspicio che chiude il libro: “Certo il cammino è lungo e pieno di ostacoli, ma sembra che sia già affiorata una generazione capace di spezzare gli ultimi ceppi di feudalismo. Incomincia anche per il Mezzogiorno l’evo moderno. Avellino, 15 dicembre 1924.”

Suo,

dr. Vincenzo D’Alessio

Irpinia, 16 settembre 2009


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